È ufficiale: i lavoratori precoci in condizioni disagiate potranno andare in pensione una volta raggiunti i 41 anni di contributi. Lo prevede uno dei decreti attuativi firmati questa settimana dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che contemporaneamente ha dato il via libera all’Ape social.
Qualcuno parla di Ape anche per i precoci, ma in realtà si tratta di misure diverse. L’anticipo pensionistico può essere di due tipi: volontario (che impone di chiedere un prestito ventennale con tanto d’interessi bancari e premio assicurativo) o social (interamente a carico dello Stato). Ma nessuno dei due coincide con la pensione vera e propria, perciò è scorretto parlare di pensione anticipata. L’Ape volontario e l’Ape social sono misure di sostegno al reddito di cui si può beneficiare fino al giorno in cui scatta il pensionamento di vecchiaia da parte dell’Inps. Dopo di che si interrompono.
Per i lavoratori precoci il discorso è diverso. Nel loro caso si tratta realmente di una pensione anticipata, perché vengono ridotti i requisiti per accedere al trattamento di vecchiaia (cosa che non accade con l’Ape).
1. CHI SONO I LAVORATORI PRECOCI?
Sono definite in questo modo le persone che hanno iniziato a lavorare molto giovani, a 18 anni se non prima. In particolare, per rientrare nella categoria è necessario aver versato almeno 12 mesi di contributi, anche non consecutivi, prima di aver compiuto 19 anni.
2. QUALI PRECOCI SONO INTERESSATI DALLE NOVITÀ SULLE PENSIONI?
Per avere diritto alla pensione anticipata, però, non basta essere classificabili come lavoratori precoci. Lo sconto sui requisiti previdenziali è previsto solo per chi rientra anche in una delle seguenti categorie svantaggiate:
– disoccupati che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali da almeno tre mesi;
– invalidi con una riduzione accertata della capacità lavorativa di almeno il 74 percento;
– persone che svolgono da almeno sei anni consecutivi uno dei lavori considerati usuranti (professioni infermieristiche e ostetriche; insegnanti d’asilo; badanti; facchini; addetti allo spostamento delle merci; operatori ecologici, raccoglitori e separatori di rifiuti, personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru e di macchinari mobili per la perforazione delle costruzioni; autisti di camion e mezzi pesanti; conduttori di treni e personale viaggiante; conciatori di pelli e pellicce);
– persone che da almeno 6 mesi beneficiano dei permessi previsti dalla legge 104 per assistere il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap.
3. QUALE ANTICIPO È PREVISTO PER LE PENSIONI DEI PRECOCI?
Per questi soggetti, l’ultima legge di Bilancio ha ridotto a 41 anni il requisito contributivo unico. Significa che tutti i lavoratori precoci appartenenti alle categorie svantaggiate di cui al punto 2 potranno andare in pensione di anzianità con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età. La misura non prevede distinzioni di genere, di conseguenza l’anticipo massimo sarà di un anno e 10 mesi per gli uomini e di soli 10 mesi per le donne (queste ultime, infatti, beneficiavano già di un requisito contributivo unico inferiore di un anno a quello previsto per gli uomini: 41 anni e 10 mesi contro 42 anni e 10 mesi).
Tuttavia, la tanto sospirata “quota 41” sarà adeguata in futuro alle previsioni dell’Istat sulla speranza di vita. Si tratta di un aggiornamento biennale che, secondo le stime, comporterà un aumento di 4 mesi nel 2019 e di altri tre mesi nel 2021.
4. SI PUÒ LAVORARE UNA VOLTA IN PENSIONE?
I precoci che sfrutteranno il nuovo requisito per accedere alla pensione non potranno incassare redditi da lavoro (né dipendente né autonomo) durante il periodo corrispondente all’anticipo ottenuto. Esempio: se un uomo ottiene uno sconto di un anno e 10 mesi, per quello stesso intervallo di tempo non può cumulare la pensione con redditi da lavoro.
5. SI OTTIENE ANCHE LA BUONUSCITA IN ANTICIPO?
I lavoratori pubblici no. Per loro la riduzione del requisito contributivo unico non comporta un analogo anticipo del trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs). In altri termini, dal primo maggio i lavoratori pubblici precoci e appartenenti a una categoria svantaggiata potranno andare in pensione di anzianità con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età, ma riceveranno la buonuscita dopo un anno e 10 mesi se uomini e dopo 10 mesi se donne.
6. CHE SUCCEDE SE I SOLDI STANZIATI DALLO STATO NON BASTANO?
La quota 41 per i lavoratori precoci in condizioni di difficoltà è stata finanziata con stanziamenti precisi: 360 milioni per il 2017, 550 milioni per il 2018, 570 milioni per il 2019 e 590 milioni a partire dal 2020. Se questi soldi non basteranno, le pensioni slitteranno in avanti fino a far quadrare i conti.