Quattro milioni di posti di lavoro che non vengono assegnati per il motivo più assurdo, in un Paese dove la disoccupazione è uno dei temi più scottanti, essendo salita fino al 12% negli ultimi anni: non ci sono i candidati. Ne ha parlato con La Stampa uno che il lavoro se l’è inventato e pure molto giovane: Davide Dattoli ha fondato nel 2014, quando aveva solo 23 anni, il coworking di creativi digitali Talent Garden, diventata ora la più grande piattaforma d’Europa per i talenti nel digitale, che punta alla quotazione in Borsa nel 2018.
“Sì – spiega Dattoli parlando di una voglia di crescere spesso zavorrata dal malfunzionamento di scuola, imprese e amministrazione -, i posti disponibili in Italia che non si riesce ad assegnare per mancanza di candidati con le giuste competenze sono valutabili in quattro milioni. Ma dò anche la colpa ai genitori. Dicono ai figli “prendi una laurea tradizionale che sei tranquillo” e alla fine creano solo nuovi disoccupati”.
Davide problemi di impiego non ne ha. I suoi Tag, i giardini dei Talenti organizzati su 18 campus in sei paesi si intersecano 150 aziende, sono “piattaforme fisiche per talenti digitali” per giovani, professionisti e grandi imprese come Uber, Deliveroo e Tesla. Ma come nascono i posti che non trovano autore? “La causa principale è il rapido cambiamento delle professioni. Una volta studiavi Legge e pensavi di avere lo stesso lavoro tutta la vita. Ora devi accettare di rinnovarti quattro o cinque volte. I mestieri digitali cambiano ogni dieci anni. Poco tempo fa tutti cercavano esperti per i social media, ci sono state opportunità per migliaia di persone, ma in futuro sarà diverso. Il pubblico farà da solo. E loro dovranno riciclarsi”.
E quali sono questi lavori che nessuno è in grado di fare? “Diversi, anche nei settori tradizionali. Vedo ad esempio richiedere sviluppatori di software, esperti di marketing digitale, di e-commerce e user experience, di design digitale. Sono profili ricercati. Ce ne chiedono a decine. Ma non ci sono”. La sfida è dunque, secondo Dattoli, quella di connettere il mondo del lavoro con la formazione: “Ad esempio, col numero chiuso sulle università, così per produrre solo i laureati che servono e orientare meglio i fondi per lo studio, così si sostiene non chi fa più corsi, ma chi sforna più studenti preparati”.
Altri mestieri svaniranno, con la quarta rivoluzione industriale. “Fra cinque anni sarà di nuovo tutto diverso. Nella Silicon Valley si comincia a parlare tanto di centralità della persona. Non ho una risposta. La sfida è capire che la popolazione deve essere più creativa che manuale. La crescita deve essere un tema culturale più che industriale”.