L’elezione di Donald Trump ha decretato il sorpasso dei nuovi media sui media tradizionali. Twitter è diventato più importante della televisione nella comunicazione politica, e non solo in quella. Facebook è diventato il più importante formatore di opinioni e ha ampiamente sopravanzato il reach della grande stampa. Quest’ultima, paradossalmente, invece di essere azzerata dal suo manifesto e scioccante distacco dal paese reale nel descrivere il “fenomeno Trump”, ha registrato un imprevisto e sorprendete afflusso di lettori e abbonati che, evidentemente, stanno cercando un contrappeso alla informazione che circola sui nuovi media. La partita non è chiusa e c’è un vivacissimo confronto nell’opinione pubblica su quello che sta succedendo nell’informazione.
L’egemonia dei nuovi media è stata sanzionata anche a livello valore economico per il PIL. L’online attrae più investimenti pubblicitari della televisione, la regina indiscussa dell’adv. Questo sorpasso è avvenuto anche nell’Europa continentale che in genere viaggia con un certo ricercato ritardo.
Questo cambio di egemonia ha prodotto qualcosa di sconvolgente ne mondo dell’informazione e del giornalismo. I nuovi media, in nome della libertà, hanno stracciato le vecchie regole e gli antichi paradigmi e si stanno muovendo senza freni nel ciberspazio. Uno spazio che può essere veramente spaventoso come scrive Tom Friedman, un decano del “grande giornalismo”. Siamo entrati nell’era del post-giornalismo non solo nei contenuti e nei modi con i quali l’informazione viene costruita e servita, ma anche nei modi con il quale le società democratiche e le loro istituzioni si rapportano al fenomeno di trasparenza radicale e di mancanza di regolazione e autoregolazione dei nuovi media che non hanno più filtri tra il produttore dell’informazione e il suo consumatore. Su quest’ultimo ricade l’intero peso di giudicare la qualità di quello che gli viene offerto.
DIRITTO DI CRONACA O PRIVACY?
Quasi in contemporanea con il manifestarsi del “fenomeno Trump” si è consumato uno dei casi più emblematici del conflitto tra la “nuova informazione” rappresentata una delle sue più avanzate e penetranti manifestazioni, Gawker media, e le persone che si sono ritenute danneggiate nella loro privacy dall’azione di Gawker, il wrestler Hulk Hogan e il miliardario della tecnologia Peter Thiel. Ne è venuto fuori un conflitto tra due principi sacri di ogni società civile: il diritto di cronaca e la privacy. Nell’epoca dei mass media era stato sempre il diritto di cronaca a spuntarla una volta acclarata la veridicità della cronaca. Nell’epoca dei nuovi media i legislatori e la magistratura tendono a rivalutare il valore della privacy e della persona rispetto al diritto di cronaca, anche se questo si attiene al principio di veridicità, come nel caso in questione. La sentenza della corte di Tampa in Florida ha condannato Gawker a un risarcimento che ne ha determinato la chiusura.
Questo spostamento di baricentro è emerso proprio nella sentenza che ha dato ragione al wrestler Hulk Hogan, spalleggiato da Thiel, nella causa contro il sito di informazione Gawker. Una vicenda nella sua essenza piuttosto squallida e di scarso interesse per ogni persona ragionevole, ma che ha portato in evidenza uno dei temi cruciali del nostro tempo. Quello del rapporto tra diritto di cronaca e privacy.
Un libro, Il post-giornalismo. Il caso HulkHogan/Peter Thiel vs. Gawker. Privacy o diritto di cronaca? (editore goWare), discute, attraverso gli interventi di alcune grandi firme del giornalismo globale, le conseguenze di questa vicenda.
Di seguito riportiamo il testo della introduzione di Thomas Friedman, vincitore di tre premi Pulitzer e opinionista del New York Times.
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IL CIBERSPAZIO, QUALCOSA DI SPAVENTOSO DI THOMAS L. FRIEDMAN
È accaduto che nell’inverno del 2016-2017 il mondo ha raggiunto un punto di non ritorno grazie all’azione di un pugno di improbabili attori: Vladimir Putin, Jeff Bezos, Donald Trump, Mark Zuckerberg e il grande magazzino Macy’s. Avete udito il botto?
E che cosa è stato questo punto di non ritorno?
È stato il momento in cui ci siamo resi conto che una massa critica delle nostre vite e del nostro lavoro è scivolato via dal mondo terracqueo in direzione del regno del ciberspazio. O meglio, una massa critica delle nostre relazioni si sono trasferite in un territorio dove tutti sono connessi ma nessuno è il responsabile.
Dopo tutto non ci sono riflettori nel ciberspazio, non ci sono poliziotti che pattugliano le strade, non ci sono giudici, non c’è Dio che punisce i malvagi e premia i buoni e certamente non c’è il telefono amico da chiamare se Putin rapina le elezioni presidenziali americane. Se qualcuno insulta su Twitter o Facebook, a meno che non contenga una minaccia mortale, buona fortuna se si desidera che il post sia rimosso, specialmente se è anonimo, cosa che capita spesso nel ciberspazio.
E il ciberspazio è il territorio nel quale adesso spendiamo ore ed ore della nostra giornata, dove facciamo la maggior parte nostri acquisti, la maggior parte dei nostri incontri, dove coltiviamo le nostre amicizie, dove apprendiamo, dove svolgiamo grande parte dei commerci, dove insegniamo, dove ci informiamo e dove cerchiamo di vendere le nostre merci, i nostri servizi e le nostre idee.
È dove il Presidente degli Stati Uniti come pure il leader dell’ISIS può comunicare con la stessa facilità con milioni di seguaci tramite Twitter, senza bisogno di editor, verificatori, studi legali e altri filtri.
E, sono sicuro, il 2016 sarà ricordato come l’anno nel quale abbiamo verificato quanto sia terrificante tutto questo, come sia facile per un candidato presidenziale twittare menzogne e mezze-menzogne prima che qualcuno possa smascherarle e correggerle, come sia stato semplice per la Russia intervenire a favore di Trump e violare i computer del Partito Democratico e come snervante sia stato sentire dal capo della sicurezza di Yahoo!, Bob Lord, dichiarare che la sua società non è in grado di identificare chi nel 2103 ha violato i suoi server impossessandosi di oltre un miliardo di account Yahoo! con le loro informazioni sensibili.
Perfino il Presidente Obama è stato spiazzato della velocità con la quale si è raggiunto questo punto di non ritorno. “Penso di aver sottovalutato il grado di impatto sulle nostre società aperte di questa nuova epoca dell’informazione, o meglio della cattiva informazione e del cyber hackeraggio”.
UN NUOVO BLOCCO SOCIALE NEL CIBERSPAZIO
A Natale Amazon.com ha dato una dura lezione al commercio tradizionale mostrando quando sia spietato per loro il punto di non ritorno del cyber commercio. Macy’s ha annunciato di tagliare 10mila posti di lavoro e chiudere dozzine di negozi, perché secondo il Wall Street Journal “Macy’s non è in grado di gestire la migrazione dei consumatori verso lo shopping online”.
Inizialmente Zuckerberg, il fondatore di Facebook, ha insistito sul fatto che la falsa informazione circolata su Facebook “non ha sicuramente avuto alcun impatto” sulle elezioni e che affermare il contrario era “un’idea piuttosto folle”. Ma in prossimità delle elezioni questa idea non era per niente folle.
Facebook, che mira ad appropriarsi di tutti i lettori e gli investitori pubblicitari della grande stampa senza voler schierare editor e controllori d’informazione, sta prendendo adesso molto sul serio il suo ruolo di fornitore d’informazione nel ciberspazio.
Alan S. Cohen, responsabile commerciale della società di cyber sicurezza Illumio, ha fatto notare in una intervista a siliconAngle.com che questo punto di non ritorno dal ciberspazio è arrivato prima del previsto perché molte società, governi, università, partiti politici e individui hanno concentrato la massa critica dei loro dati in data center affidandoli a imprese di c.
Dieci anni fa, prosegue Cohen, i malintenzionati non avevano la possibilità di accedere a questi dati ed estrarli, ma adesso lo possono fare e succede anche che strumenti creativi come i big data e l’intelligenza artificiale possono diventare delle armi micidiali. Si tratta di un problema enorme di natura morale e strategica e richiederà, a parere di Cohen, “un nuovo blocco sociale” per risolverlo.
I GIOVANI E LA CYBER INFORMAZIONE
Il lavoro per costruire questo nuovo blocco inizia con gli insegnanti che si devono far carico di divulgare l’educazione civica. E deve iniziare rendendo consapevoli i ragazzi che Internet è una cloaca a cielo aperto d’informazioni non verificate, non filtrate che devono essere prese con beneficio d’inventario e con spirito critico da parte di legge e prodotte con un minimo di decenza civica da parte di chi le scrive.
Uno studio della Stanford Graduate School of Education pubblicato a novembre 2016 ha scoperto “un’imbarazzante incapacità da parte degli studenti di ragionare sull’informazione che leggono su Internet. Gli studenti, per esempio, hanno difficoltà a distinguere la pubblicità dalle notizie o identificarne la fonte… I ricercatori di Stanford hanno assegnato un compito agli studenti della scuola media richiedendogli di spiegare perché non dovrebbero fidarsi di un articolo su un progetto finanziario scritto da un dirigente di banca e sponsorizzato da una banca. Hanno così scoperto che molti studenti non citano la fonte o lo sponsor di un articolo come una ragione determinante per prenderlo veramente sul serio”
Sam Wineburg, il responsabile della ricerca, ha dichiarato: “Molta gente pensa ritiene che i ragazzi essendo abili con i social media siano ugualmente capaci di saper discernere quello che vi trovano. La nostra ricerca dimostra il contrario.”
In un’epoca nella quale le nostre vite si trasferiscono sempre più nel regno digitale, questo è decisamente spaventoso.
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THOMAS FRIEDMAN
È uno dei più ammirati e seguiti commentatori del giornalismo globale. Ha vinto tre premi Pulitzer, due come inviato in Medio Oriente – prima per il Washington Post e poi per il New York Times – e un terzo, nel 2002, per i suoi reportage dall’Italia. Originario di una famiglia ebraica di Minneapolis (dove è nato nel 1953), tra i maggiori esperti mondiali di politica mediorientale, negli ultimi dieci anni ha rivolto la sua attenzione ai temi della globalizzazione e della mutazione climatica. Sulla globalizzazione ha scritto tre libri tradotti in italiano da Mondadori. Uno di questi, Il mondo è piatto, ha ottenuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Steve Jobs, che aveva sviluppato una fortissima avversione nei confronti del giornalisti che soleva prendere a pesci in faccia, ricercava spesso l’opinione di Friedman su temi etici e di politica generale. Nell’ultimo scorcio di 2016 è uscito l’ultimo libro di Friedman Thank you for being late: an optimist’s guide to thriving in the age of accelerations (grazie del ritardo: la guida di un ottimista per prosperare nell’era delle accelerazioni). La tesi del libro è questa: la nostra capacità di adattamento sarà messa a durissima prova dalle tre accelerazioni che stanno imponendosi con la logica delle legge di Moore: l’accelerazione della tecnologia, quella del mercato e quella del cambiamento climatico, ma, alla fine, ce la faremo ancora una volta. Un messaggio ottimistico elaborato prima dell’elezione di Donald Trump che è stata vissuta malissimo dal giornalista del New York Times.