Da tempo l’analisi degli addetti ai lavori sulla rischiosità delle banche (organi di vigilanza, nazionali e sovranazionali, analisti del mercato, investitori istituzionali, società di revisione e di consulenza) è basata su modelli costruiti mediante una molteplicità di indicatori quanti-qualitativi, ritenuti tanto più attendibili quanto più complessi.
È dunque con una certa sorpresa che una delle ultime uscite della Bce abbia individuato nell’indicatore denominato Texas Ratio la misura di sintesi per ordinare le banche in relazione alla capacità di coprire con le proprie risorse (reddito e patrimonio) il rischio di credito, tenendo allineato il valore di bilancio dei prestiti malati a quello di mercato.
Il documento, appena uscito, si chiama “Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati”, nel quale, descrivendo le strategie che dovrebbero presiedere al governo dei crediti non performing, vengono messe a raffronto le situazioni dei sistemi bancari dell’Unione Europea. Il documento evidenzia la divaricazione prodottasi negli ultimi dieci anni tra i paesi del Nord e quelli del Sud.
Mentre nel 2007, infatti, i due raggruppamenti segnalavano valori del Texas ratio pressoché simili e attestati su livelli di assoluta sicurezza, oggi quell’indicatore è superiore alla soglia critica di 100 per il secondo gruppo e intorno al valore di 40 per il primo.
Ciò dimostra come la dinamica intervenuta nei valori patrimoniali al netto dei rischi di credito attuali e prospettici abbia registrato differenze profonde nelle politiche prudenziali messe in atto dal management delle banche nei diversi paesi.
Il coefficiente Texas va messo anche in relazione all’andamento dei non perfoming loans in percentuale dei crediti totali, che come evidenziato nel recente rapporto annuale della Bce, vede il nostro paese in posizione migliore soltanto rispetto a Cipro e alla Grecia.
Sempre in queste settimane, uno studio di Mediobanca ha calcolato il coefficiente Texas per le banche italiane su dati di bilancio 2015, mettendo in luce la condizione di fragilità di un centinaio di esse, di tutte le dimensioni e tipologie.
Senza addentrarci in noiose illustrazioni, il coefficiente Texas, a differenza dei requisiti patrimoniali di Basilea, è estremamente facile da calcolare, prestandosi ad un uso per non addetti di notevole efficacia esplicativa.
Proviamo a dire come si costruisce, quale è il suo significato e come il risparmiatore/azionista di una banca dovrebbe comportarsi nelle diverse situazioni.
Come si calcola e qual è il significato del coefficiente Texas
Si tratta di prendere l’ammontare dei crediti deteriorati (Sezione 7 Crediti verso clientela, Voce 70, Prospetto 7.1 composizione merceologica: crediti deteriorati) e rapportarli al valore del Patrimonio dell’impresa, che si trova nella Sezione 14, Prospetto 14.4 (patrimonio tangibile netto). E il gioco è fatto, grazie ad un rapido calcolo percentuale con la calcolatrice del proprio telefonino. Ripetuta con i dati dell’anno precedente, l’operazione da’ la possibilità di verificare la variazione intervenuta tra due esercizi.
Come in ogni rapporto percentuale, il risultato può essere minore di 100, ovvero uguale o superiore. Nel primo caso valore netto dei prestiti malati è inferiore al patrimonio e, quindi, si deve supporre che nel tempo si siano effettuate adeguate svalutazioni dei crediti grazie ai positivi risultati di periodo, senza intaccare i mezzi propri.
Diverso è il caso in cui il patrimonio della banca è interamente investito in attività prive di rendimento, ove la parte dei crediti malati eccedente il patrimonio è finanziata da mezzi raccolti a titolo oneroso. Riportare quel rapporto su un livello inferiore a 100 richiede di svalutare massicciamente i prestiti deteriorati, per correggere lo squilibrio.
Un breve esempio numerico aiuterà a spiegarci meglio. Se una banca ha un patrimonio di 200 e crediti malati netti per 270, il suo Texas ratio è pari a 270/200×100, cioè a 135. Se essa volesse riportarlo ad un valore fisiologico di 95, facendo svalutazioni dei crediti deteriorati per 80, dovrebbe procurarsi patrimonio aggiuntivo di pari ammontare, dato che le perdite che si produrrebbero farebbero a) diminuire di uguale importo il patrimonio in essere, b) aumentare il Texas ratio.
La banca non sarebbe dunque in grado di spezzare in via autonoma questo circolo vizioso, restando aperta la sola possibilità di ricorrere a operazioni di natura straordinaria (un cospicuo aumento di capitale o l’aggregazione con banche più solide).
D’altro canto, il rispetto dei requisiti di capitale di Basilea (CET 1 e TCR), anche in misura molto superiore ai minimi, indica lo stato di solidità di una banca a condizione che il processo di allineamento del valore di bilancio degli asset a rischio ai valori effettivi sia stato adeguatamente compiuto nel corso del tempo.
Purtroppo, come sappiamo, i tassi di copertura dei crediti malati delle banche italiane sono stati e continuano ad essere inferiori alle effettive probabilità di recupero, per cui il processo di riallineamento ancora da compiere esalta il significato del Texas ratio.
Quanto più esso è superiore a 100, tanto più le probabilità di default della banca sono alte e tanto più alti sono i rischi di perdita per i possessori di azioni, obbligazioni e depositi oltre la soglia protetta dei 100.000 euro per depositante.
Riassumendo, se la vostra banca ha un Texas ratio minore di 100 la situazione è di tranquillità, se l’indicatore è di poco superiore probabilmente può essere effettuata un’azione, per quanto decisa, di correzione, facendo un aumento di capitale ovvero tagliando i costi per aumentare i margini reddituali e poi compiere una adeguata svalutazione dei crediti malati.
Con valori superiori, la situazione, come detto, diventa critica, le chance di sopravvivenza della banca sono ridotte (come le probabilità di attirare nuovi investitori) e i rischi per i suoi creditori diventano elevati. Il suggerimento è di prepararsi ad abbandonare la nave, spostando almeno la parte dei depositi non protetti dai Fondi di Garanzia, verso una banca in condizioni migliori. Stessa valutazione di uscita finanziaria è da estendere alle obbligazioni (comprese, se possibile, quelle subordinate) e alle azioni che debbono essere liquidate.
Come comportarsi in assemblea
Se il nostro risparmiatore è anche azionista della banca, è bene che egli ponga alcune appropriate domande in sede di assemblea per l’approvazione del bilancio, prima di decidere il proprio voto.
Poiché informazioni sul Texas ratio non compaiono usualmente nelle relazioni di amministratori e sindaci, egli dovrebbe in primo luogo chiedere conferma del valore e farsi un’opinione della consapevolezza dei vertici aziendali in ordine all’eventuale situazione a rischio evidenziata da questo indicatore.
Di conseguenza sono legittime le domande sul da farsi per la sua correzione, quali: piani di rafforzamento del capitale, quantificazione delle svalutazioni dei crediti ancora necessarie, contatti con altre banche per aggregazioni, eventuali richieste da rivolgere ai fondi di garanzia volontari o obbligatori, prospettive di evoluzione, positive o negative, della situazione.
A questo proposito si tenga anche presente che le banche che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva comunitaria sul risanamento e la risoluzione di banche in crisi (BRDD), sono tenute a preparare e tenere aggiornato un piano di risanamento (“recovery plan”) che preveda l’adozione di misure volte al ripristino della situazione finanziaria dopo un significativo deterioramento. I piani di risanamento richiedono un notevole sforzo organizzativo interno, in quanto le banche dovranno, tra l’altro, (i) mappare la propria struttura legale e di business, (ii) individuare i settori c.d. «core» del business medesimo che devono essere preservati in caso di dissesto, (iii) individuare i rami d’azienda o le società partecipate che potrebbero essere ceduti in caso di dissesto e (iv) delineare gli scenari che il recovery plan si propone di affrontare.
Una più vivace dialettica su questi temi servirà all’azionista/risparmiatore anche per farsi un’idea dell’adeguatezza degli organi aziendali, specie quando viene chiamato a rinnovarne il mandato.
Di fronte al deterioramento della situazione è indifferibile promuovere una forte discontinuità con il passato, incidendo anche sulla prassi del numero indefinito di mandati o del passaggio da un incarico all’altro o su episodi di familismo.
Analogamente il rinnovamento degli organi va promosso nel caso di sanzioni di una certa gravità, in specie se recidive, comminate dalle Autorità di settore.
La richiesta di più analitiche informazioni vale infine in caso di aumenti di capitale o in seguito ad operazioni di trasformazioni societarie (da popolari a spa, da bcc a spa), qualora patrimonialmente onerose.
A proposito, sapete perché il Texas ratio si chiama così? Perché negli anni Novanta fallirono decine e decine di banche di piccole e medie dimensioni in quel grande stato americano e, ricostruendone a posteriori gli indicatori di bilancio, si scoprì che i crediti anomali netti erano per tutte superiori al patrimonio, deducendone la causa della morte.
In conclusione, l’educazione finanziaria, di cui si parla con crescente convinzione, consiste a) nella narrazione di vicende bancarie passate, affinché si possa far leva sulle lezioni apprese (gli ultimi 35 anni di crisi bancarie italiane sono purtroppo una storia molto istruttiva), b) in pochi essenziali strumenti per orientarsi circa la condizione di salute della propria banca (perché le differenze ci sono e sono anche marcate in termini di possibilità di sopravvivenza), c) in qualche suggerimento per comportamenti conseguenti.
Oggi l’Unione Bancaria Europea sta impiantando un nuovo quadro di regole, nel quale la centralità del cittadino consapevole è il fluido essenziale per il funzionamento di istituzioni e mercati e anche il nostro Paese, con gli ultimi provvedimenti, sembra essere decisamente orientato a rafforzarne le capacità critiche.
Passare dalle intenzioni ai fatti è il modo migliore per sollevare definitivamente il velo sui tanti sconcertanti episodi degli ultimi tempi, e auspicabilmente per impedirne di nuovi, grazie alla possibilità di ottenere un’informazione di sempre maggiore qualità.
Le assemblee delle banche italiane di queste settimane sono il naturale banco di prova per testare queste proposte.