Matteo Renzi ingrana la quinta e lancia il congresso prima delle elezioni. Chiunque voglia sfidarlo si faccia avanti, ma rispetti il risultato e dia una mano al vincitore. Nessuna volontà scissionista da parte sua, chi vuole andarsene però non usi l’alibi del calendario. L’ex Premier non pronuncia mai la tanto attesa parola “dimissioni”, spiazzando la minoranza che si aspettava una remissione formale del mandato: “Si chiude un ciclo alla guida del Pd”, ha dichiarato il segretario.
È una direzione tesissima, allargata anche a parlamentari e segretari locali, indetta allo scopo di mettere in scena la tanto attesa resa dei conti dopo la pesante sconfitta referendaria e tracciare la road map da seguire nei prossimi mesi. L’obiettivo è chiaro: rilanciare il PD, individuato come l’unico, vero partito del cambiamento e arginare l’ondata populista che sta inondando l’Italia e l’Europa. Al termine della riunione passa largamente la mozione di maggioranza: si terrà il prossimo week end l’assemblea nazionale che dovrà “avviare l’iter congressuale con le stesse regole del 2013”. Non è stata votata, in quanto superata, la mozione di minoranza. Bersani D’Alema, Boccia votano no alla linea del segretario. Il ministro della Giustizia, Orlando, che finora era considerato nella maggiornaza, a sorpresa si astiene.
I democratici erano chiamati a confrontarsi su numerosi temi: dalla leadership del partito alla data del voto, passando per il pericolo scissione paventato alcune settimane fa da Massimo D’Alema e dalla minoranza del Pd. Presenti all’evento, anche l’attuale Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e i ministri Graziano Delrio, Andrea Orlando e Dario Franceschini. Seduti nelle prime file anche i “grandi oppositori”: Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. Il primo è intervenuto, il secondo no.
Matteo Renzi prende la parola subito e parte all’attacco, lanciando la sfida agli “avversari” interni : “Dopo il 4 dicembre le lancette della politica sono tornate indietro, quasi ai tempi della Prima Repubblica. Sono tornati i caminetti e le discussioni autoreferenziali. La domanda principale nel Pd é quanto dura il governo, con una politica soprattutto in casa nostra improntata ai litigi più che alle proposte. Resa dei conti nel Pd? Anche basta, amici e compagni, diamoci una regolata”. A chi lo accusa di non aver discusso a sufficienza sull’insuccesso referendario l’ex Premier risponde: “L’analisi del voto l’abbiamo fatta: io ho pagato il pegno, mi sono dimesso. Se l’errore principale della campagna elettorale è stata la personalizzazione ho evitato la personalizzazione anche del post referendum”.
Il segretario del PD analizza la realtà politica nazionale e internazionale: “Se guardiamo fuori da noi, Sel sta per scindersi, Salvini e Berlusconi litigano, i Cinque stelle sono dilaniati al loro interno con una ferocia non immaginabile fino a poche settimane fa”.
Dopo un lungo preambolo che fa salire la suspance nel quale tratta numerosi argomenti (dalla Cina agli Usa di Donald Trump, fino alla campagna elettorale di Marine Le Pen), Renzi arriva ad uno degli argomenti principali della giornata: la scissione, che lui definisce come un “ricatto morale” di chi la sostiene. “In questo quadro il più grande partito della sinistra europea che fa? Discute della scissione e su quali basi? Se il segretario non farà il congresso prima delle elezioni sarà scissione? È un ricatto morale. È buon senso da parte di chi ha responsabilità di conduzione di una comunità accettare l’invito al congresso prima delle elezioni. Io non voglio scissioni, ma se scissione deve essere, che sia una scissione senza alibi”.
Poi un primo affondo agli oppositori interni: “Molti pensano che il Congresso del PD debba trovare un’alternativa al renzismo. Troppo semplice” – continua – “Agli amici della minoranza voglio dire che mi dispiace se sono il vostro incubo, ma per noi non sarete mai i nostri avversari. I nostri avversari non sono in questa stanza”.
Renzi non risparmia nemmeno l’Unione Europea: “A questa Europa bisogna dire che è finito il tempo della doppiezza per cui si chiudono gli occhi di fronte a quello che succede in Italia, ma si alza la voce per quello che fa Trump. Io non voglio violare le regole europee, io se possibile voglio cambiarle le regole europee, guardo con interesse Schulz, le elezioni in Germania, lui ha posto un argine all’austerity”.
E ancora: “L’Europa non può essere solo la maestrina che ci chiedo lo 0,2, tra l’altro ha sbagliato momento. Certo che dobbiamo trovare un punto d’intesa con l’Europa, ma quello che è cruciale è che l’Europa non sia solo questa roba qua”.
Alla fine si arriva al punto: “Non sarò mai il custode dei caminetti, preferisco il mare aperto della sfida che la palude. Facciamo il congresso e chi perde il giorno dopo dia una mano, non scappi con il pallone, non lasci da solo chi vince le primarie, non faccia quanto avvenuto a Roma”. Di più: “L’esercizio di democrazia interna non è solo chiedere il congresso, è rispettare l’esito del voto”.
Cosa intende dire è chiaro: Matteo Renzi chiede il Congresso, con le stesse regole del 2013, ma sulle elezioni fa un passo indietro: “La data del voto non la decido io”. L’ex Premier però separa le due cose: il Congresso è una cosa, le elezioni un’altra. “Da qui ad un anno si dovrà votare, facciamoci trovare pronti”.
Il segretario conferma lealtà a Gentiloni: “Il premier deve avere la massima stima da parte di tutto il Pd”. Il discorso si conclude con gli auguri a chi ha deciso di candidarsi alla guida del partito, ovvero Emiliano, Rossi e Speranza: “Se vinceranno loro sarò il primo a congratularmi. Sarà affascinante potersi confrontare”.
Una volta concluso l’intervento di Renzi, a prendere la parola sono Gianni Cuperlo e Graziano Delrio. Poi è il momento di Pierluigi Bersani che sembra aver messo da parte le volontà scissioniste delle ultime settimane. L’ex segretario traccia quella che secondo lui è la strada da seguire: lasciare che Gentiloni Governi, fare una legge elettorale entro giugno e a quel punto avviare il congresso. Il governo governi, entro giugno si faccia la legge elettorale e a giugno, con calma, si avvii la pratica del congresso: “Sto dicendo una assurdità? Non sto parlando da bersaniano, ma da italiano. Se decidessimo diversamente, cotta e mangiata, si apre un problema molto serio. Quando si governa non si mette l’Italia nel frullatore. Chi ha più buon senso ce lo metta”.
“Creare ore X – ha continuato il leader della minoranza – appuntamenti dirimenti ci ha portato bene? Il Paese pensa che governiamo noi. Chi governa deve trasmettere sicurezza, linearità, non ansia. Prima di tutto il Paese. La prima cosa che noi dobbiamo dire è quando si vota. Non mi si dica, Matteo, che è una cosa da addetti ai lavori. Comandiamo noi. Possiamo lasciare un punto interrogativo sulle sorti del nostro Governo. Mettiamo l’Italia nei guai. Noi diciamo che garantiamo la conclusione normale della legislatura? Lasciare l’interrogativo o parlare come la sibilla non possiamo, dobbiamo dire qualcosa di preciso su questo e dobbiam dirlo qui”, ha insistito Bersani. Il governatore della Puglia Emiliano si è invece candidato alla segreteria in alternativa a Renzi. Ma su questo deciderà il congresso.