Se si fa una ricerca sul web con “Italexit” come parola chiave il primo risultato è che “uscire dall’euro conviene”. La “notizia” trae fondamento da un rapporto di Mediobanca (curato da Guglielmi e Minenna – ex assessore-lampo della giunta Raggi) pubblicato alla fine di gennaio e masticato e ridotto in pillole dalla rete. Se non è una fake news poco ci manca. E il rapporto ci mette del suo ad alimentarla.
Se infatti, da una parte, non dice solo che dall’uscita dall’euro si risparmierebbero 8 miliardi ma che l’eventuale beneficio si va rapidamente esaurendo in quanto, dopo l’entrata in vigore delle regole europee CAC nel 2013, i titoli che vengo emessi non sono eventualmente ridenominabili in una nuova lira (e quindi man mano che i titoli pre-2013 vengono sostituiti con nuove emissioni il nostro debito diventa sempre meno “convertibile” in lire), sotto altri aspetti il rapporto adombra ipotesi un po’ avventate.
Ad esempio dietro il saldo positivo di 8 miliardi vi è l’ipotesi che i BTp acquistati dalla Bce siano ridenominabili per il 50%, percentuale che uscirebbe da una fantomatica negoziazione con gli altri paesi dell’Euro al momento dell’incorporazione del Fiscal Compact nel legal framework dell’Unione e che il conseguente debito in lire venga monetizzato dalla Banca d’Italia (pag. 30 del rapporto).
Non è chiaro perché l’Italia dovrebbe aver voce in tale votazione una volta deciso di lasciare l’Euro; la parte del rapporto dedicata agli effetti sul bilancio della Banca d’Italia è inoltre nel complesso piuttosto approssimativa. E gli effetti negativi sul debito privato, pur trovando menzione nel rapporto, svaniscono nel messaggio finale.
Ma oltre a questa parzialmente lacunosa contabilità finanziaria, sono trascurati gli effetti economici e finanziari: a quali tassi di interesse ci potremo finanziare una volta abbandonata la moneta unica? Quale sarà l’effetto sulle banche? Potrebbe sopravvivere la libertà di movimento dei capitali?
E anche il nesso causale tra caduta della produttività ed euro – che sembra essere il fondamento dell’analisi, evocato all’inizio e in conclusione del rapporto – è affermato apoditticamente. Tanto più se si considera che il calo della produttività si registra – drammatico – soprattutto nel settore dei servizi, tipicamente poco aperto alla concorrenza internazionale, mentre i livelli (non la dinamica) della produttività nel settore manifatturiero non si presentano così catastrofici (lì siamo ancora competitivi rispetto alla Germania).
L’episodio rappresenta un caso emblematico di come l’analisi economica, basandosi su analisi parziali, possa gettare in pasto a stampa e web notizie quasi false, subito utilizzabili per alimentare opinioni su cui i politici possono facilmente mietere consensi. Sorge il dubbio se una banca, tanto più se italiana, non dovrebbe valutare attentamente il rischio di “turbativa del mercato politico” (quello finanziario è già agitato di suo con l’incertezza politica che è seguita al referendum) quando mette in circolazione un rapporto su un simile argomento senza averne accuratamente esplorato tutti gli aspetti.
A pensar male, vista anche la seppur breve (per ora) militanza politica di uno degli autori, sorge il dubbio che questa turbativa sia un effetto non indesiderato del rapporto. Posso immaginare come il povero Enrico Cuccia osservi da lassù disperato i suoi successori, per la disinvoltura con cui hanno abbandonato i canoni della riservatezza, per mezzo secolo marchio della casa Mediobanca.