Dopo otto mesi di campagna elettorale ecco finalmente il referendum sulla riforma costituzionale. Domenica 4 dicembre, 46.714.950 elettori saranno chiamati a decidere se cambiare la Costituzione o lasciare tutto così com’è.
Una scelta che determinerà in maniera sostanziale il futuro politico e istituzionale del Paese. La battaglia tra il fronte del Sì e quello del No ha raggiunto toni accesissimi, oltrepassando in alcune occasioni i limiti della decenza senza chiarire ai cittadini quale sia la reale portata delle modifiche né quanto esse influiranno sull’assetto del Paese.
A poche ore dal voto, vi proponiamo dunque in breve, una rassegna dei cambiamenti più importanti che la Costituzione subirà in caso di vittoria del Sì.
Referendum costituzionale: addio al bicameralismo paritario
Nel caso in cui il 4 dicembre vincesse il Sì l’Italia non sarà più caratterizzata dal bicameralismo paritario, il sistema in base al quale le due Camere del Parlamento possiedono gli stessi poteri e le stesse funzioni. Il superamento del suddetto bicameralismo rappresenta uno dei punti cardine della riforma ed è stabilito dal nuovo articolo 70 della Costituzione secondo cui sarà la Camera dei Deputati ad occuparsi del 95% delle leggi e a dare la fiducia al Governo, mentre le funzioni del Senato verranno drasticamente ridotte.
Nonostante ciò ci saranno degli ambiti nei quali le due Camere continueranno ad avere la stessa voce in capitolo:
– le leggi di revisione della Costituzione e sulle altre leggi costituzionali,
– le leggi “di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche”,
– i referendum popolari e tutti gli altri referendum previsti dall’articolo,
– le leggi riguardanti le funzioni e le istituzioni di Comuni e di Città Metropolitane, le leggi che determinano i rapporti tra Italia e Unione Europea,
– le leggi di ratifica dei trattati internazionali,
– le leggi che hanno a che fare con il funzionamento delle Regioni.
Per tutte le altre leggi invece sarà la Camera a decidere. Nel caso in cui i membri di Palazzo Madama vogliano intervenire, dovranno presentare una richiesta che dovrà pervenire entro 10 giorni dall’approvazione del provvedimento alla Camera. Ci saranno poi 30 giorni di tempo per esaminare la norma e proporre le modifiche, non vincolanti, da apportare al testo.
Referendum costituzionale: il nuovo Senato
Il Senato della Repubblica si trasformerà nel Senato delle Regioni, un organo istituzionale formato dai rappresentanti delle autonomie regionali e locali. Il numero dei senatori si ridurrà in maniera sostanziale, passando dagli attuali 315 a 100 rappresentanti.
Scendendo nel dettaglio, siederanno a Palazzo Madama 74 consiglieri regionali e 21 sindaci, cui si aggiungeranno 5 senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. Spetterà ad una legge che sarà adottata dopo la riforma stabilire i dettagli dell’elezione. Così come è stato concepito dalla riforma, il Senato avrà come funzione fondamentale quella di fungere da raccordo tra Stato, Regioni e Comuni.
I senatori non riceveranno più l’indennità da parlamentari, ma manterranno l’immunità garantita dalla Costituzione.
Referendum: come cambia il Titolo V
La riforma costituzionale del Governo Renzi prevede la revisione del Titolo V, la parte della Costituzione che regola i rapporti tra Stato e Regioni.
La riforma è stata concepita allo scopo di ovviare alle storture create dalla legge del 2001 che, oltre a causare un cospicuo rincaro dei costi per lo Stato, ha prodotto una mole enorme conflitti di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Per questo motivo, in caso di vittoria del Sì, le Regioni a statuto ordinario (quelle a statuto speciale non saranno coinvolte nei cambiamenti) perderanno parte della loro autonomia su alcune materie, che torneranno di competenza dello Stato. Tra esse figurano: ambiente, energia, produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia; assicurazioni, protezione civile, ricerca scientifica e tecnologica; tutela, sicurezza e politiche attive del lavoro, previdenza complementare e integrativa; esportazioni, ordinamento sportivo, delle professioni e della comunicazione; infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.
SU materie come istruzione, tutela della salute, turismo, beni e attività culturali, ecc. sarà lo Stato a fissare le disposizioni generali, mentre le Regioni dovranno occuparsi della competenza legislativa. Infine, la legge Boschi stabilisce che sia lo Stato ad occuparsi di materie di esclusiva competenza regionale se esse riguardano l’interesse della Nazione.
Ma la revisione del Titolo V conterrà anche l’ormai celeberrimo addio alle Province, che spariranno dalla Costituzione (eccezion fatta per Trento e Bolzano). Il loro posto sarà preso dalle Città Metropolitane.
Da punto di vista finanziario vengano cancellati i rimborsi a gruppi presenti nei consigli regionali, mentre l’indennità dei consiglieri non potrà superare quella erogata in favore del Sindaco del Comune Capoluogo di Regione.
Referendum: l’abolizione del CNEL
Uno degli effetti immediati della riforma sarà l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un organo ausiliario, previsto dall’attuale articolo 99 della Costituzione, istituito nel ’57 e regolato da una legge del 1986.
L’ente è dotato di funzioni consultive in relazione alle leggi di carattere economico e lavorativo, possiede iniziativa legislativa e può contribuire alle leggi di materia economiche e sociali. Nella sua storia ha prodotto 14 disegni di legge, tutti ignorati dal Governo e dal Parlamento. Data la sua scarsa incidenza, il Cnel è considerato da entrambi i fronti inutile e costoso. In caso di vittoria del Sì, l’art. 99 verrà cancellato dalla Carta costituzionale.
Referendum: l’elezione del Presidente della Repubblica
La riforma interviene anche sulle modalità di elezione del Presidente della Repubblica. Con la nuova Costituzione, il Capo dello Stato sarà eletto dalle due Camere riunite in seduta Comune, ma non verranno più ammessi al voto i 58 delegati delle Regioni che fino ad oggi partecipavano all’elezione.
Il testo prevede inoltre che, nel corso dei primi tre scrutini, per eleggere il Presidente della Repubblica sia necessario raggiungere la maggioranza dei due terzi dei componenti di Camera e Senato. Dal quarto scrutinio al sesto il quorum è fissato alla maggioranza dei tre quinti degli aventi diritto (oggi è a maggioranza assoluta), dal settimo scrutinio in poi sarà sufficiente il voto dei tre quinti dei parlamentari presenti in aula. La seconda carica dello Stato non sarà più il Presidente del Senato, ma quello della Camera.
Referendum e leggi di iniziativa popolare
Cambia il quorum necessario per far passare una legge sottoposta a referendum abrogativo. Attualmente, perché una norma venga abrogata bisogna raggiungere un quorum pari al 50% più uno degli aventi diritto al voto. Con la riforma, se la consultazione referendaria viene proposta da 800mila cittadini, il quorum si riduce al 50% più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche. Il nuovo testo prevede inoltre l’introduzione nel nostro ordinamento del referendum propositivo e del referendum di indirizzo, il cui funzionamento verrà stabilito da leggi successive alla riforma.
Per proporre una legge d’iniziativa popolare occorrerà raggiungere quota 150mila firme e non più 50mila come oggi. A differenza di quanto accade adesso però, nel caso in cui i vari comitati riuscissero a raggiungere il numero di firme necessario, le proposte verranno sicuramente esaminate dal Parlamento entro un lasso di tempo predefinito.
Referendum: l’elezione dei giudici costituzionali
Oggi è il Parlamento riunito in seduta comune ad eleggere 5 dei 15 giudici costituzionali (gli altri dieci sono scelti dal Presidente della Repubblica e dalla Magistratura). Se il prossimo 4 dicembre vincerà il Sì, cambierà anche la modalità di elezione della Corte Costituzionale. La riforma prevede elezioni separate per ciascuna Camera: tre giudici saranno eletti da Montecitorio, due da Palazzo Madama.
Referendum: il voto a data certa
In base a quanto previsto dal nuovo articolo 72 della Costituzione, il Governo avrà la possibilità di chiedera alla Camera di deliberare “entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorita` all’ordine del giorno”. Il suddetto provvedimento garantirà che il DdL venga respinto o approvato entro 70 giorni dalla deliberazione.