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L’export italiano cresce in India (+10,35%), ma è solo l’inizio

Nonostante il deprezzamento della rupia, il Made in Italy si attesta su buoni livelli trainato dai macchinari. Ma senza accordi bilaterali efficienti, al netto dei problemi aperti dal caso Regeni, sarà difficile sfondare in un mercato che entro il 2025 avrà 69 città con 1 milione di abitanti ciascuna.

Nel corso del 2015 l’export italiano in India ha riportato un tasso di crescita a doppia cifra raggiungendo i 3,4 miliardi di euro (+10,3% contro il +2,2% dell’anno precedente). I dati del primo semestre 2016 (pari a 1,5 mld), tuttavia, indicano una diminuzione delle esportazioni italiane del 5,8% rispetto al medesimo periodo 2015, riconducibile alla contestuale riduzione dell’import indiano (-14,7%).

La contrazione delle importazioni è stata causata in primis dal deprezzamento della rupia indiana, generando un rinvio dei piani di investimento del settore privato che, tipicamente, è quello che alimenta la domanda di beni importati. La domanda domestica e, in particolare, gli investimenti, è trainata dalla spesa pubblica che privilegia le produzioni domestiche. Tuttavia, se si guarda all’anno fiscale si può notare come la quota delle esportazioni italiane sull’import indiano si attesti comunque in crescita, seppur marginale: dallo 0,9% nel 2014, per passare a 1,07% l’anno scorso e arrivare nel primo semestre 2016 pari a 1,15%. Va inoltre considerato come la performance dell’export italiano in India sia caratterizzata da una certa eterogeneità settoriale: a guidare le esportazioni italiane sono sempre i macchinari che, in valore assoluto valgono quasi 600 milioni, ma le cui vendite si sono ridotte rispetto allo stesso periodo del 2015 (-3,9%); allo stesso tempo, gli altri settori tradizionali del Made in Italy, continuano a far registrare invece tassi di crescita positivi.

Se si guarda più nel dettaglio il dato sui macchinari si può notare come, all’interno di questo comparto, i macchinari di impiego generale abbiano registrato una flessione mentre quelli per uso speciale, che rappresentano il 40% dei macchinari esportati e il 17% del totale delle esportazioni italiane in India, siano cresciute. Questo nonostante il calo generalizzato delle esportazioni italiane e con particolare riferimento alle macchine destinate alle industrie estrattiva, alimentare, e di gomma e plastica.

Alla luce della strategia che il governo locale vuole perseguire attraverso il Programma Make in India per trasformare il Paese nel nuovo hub manifatturiero asiatico, focalizzando gli investimenti in infrastrutture, digitalizzazione e processi produttivi, la quota di mercato italiana è ancora relativamente limitata (intorno all’1%). La pressione concorrenziale è pertanto elevata, specialmente da parte di Cina e Corea del Sud, i cui beni strumentali stanno sperimentando un miglioramento sotto il punto di vista qualitativo; mentre il Made in Italy presenta il più alto rapporto tra valore aggiunto esportato e volumi di export di meccanica strumentale tra le prime cinque economie esportatrici del settore: USA, Cina, Germania, Giappone e Italia.
 
Quello indiano resta un mercato molto sensibile al prezzo e con diversi ostacoli all’accesso, comportando costi aggiuntivi per le imprese esportatrici. Numerose sono le barriere in vigore, mentre il sistema fiscale è complesso e sono presenti imposte a diversi livelli. L’India ha consolidato solo il 70% circa delle linee tariffarie sui prodotti industriali e il livello medio dei dazi applicati per le tariffe non consolidate è del 30%, mentre per alcune merci arrivano al 150% (come vini e liquori) ai quali vanno poi aggiunte una serie di altre imposte post-sdoganamento. C’è inoltre un elenco di prodotti (circa 200) ai quali viene applicato un dazio anti-dumping e altri (come pietre, marmo o granito) sui quali vige una restrizione all’import. Ancora nel settore agricolo la normativa fito-sanitaria richiede standard che vanno molto al di là di quelli comunitari: molti prodotti sono soggetti a test di certificazione i cui requisiti superano quelli internazionali e il cui processo è spesso lento e poco trasparente, così come le procedure di rilascio di alcune licenze alla vendita possono risultare lunghe e gravose.

Il Paese si colloca alla posizione 130/189 nella classifica Doing Business stilata dalla Banca Mondiale. Ecco allora che, affinché l’export italiano possa raggiungere i risultati sperati, l’ultimo focus SACE suggerisce la stipula di accordi bilaterali in grado di superare gli ostacoli tariffari e non, così come alcuni mercati hanno già fatto (Corea del Sud, Cile, Giappone) o stanno facendo (sono in corso le trattative per un FTA con il Canada e con il Regno Unito). L’Unione Europea non ha ancora assunto una strategia commerciale chiara nei confronti del mercato indiano: tra tutti i trade agreement sottoscritti dal governo indiano, solo uno riguarda l’UE. La discussione per un accordo di libero scambio sono state aperte nel 2007 e sono ancora in corso.

Tuttavia, c’è un altro fattore di cui le imprese devono tenere conto. I consumatori indiani difficilmente seguiranno il percorso di quelli cinesi (ricerca della qualità, appetito per prodotti occidentali, lusso), quantomeno nel breve periodo. L’India è passata da Paese a basso reddito a Paese a reddito medio-basso solo nel 2007 (mentre per la Cina ciò è avvenuto nel 1999 e dal 2010 rientra nel gruppo dei Paesi upper-middle income). La classe media in India ammonta a circa il 15-20% della popolazione, mentre in Cina siamo ormai quasi al 70% (con una upper middle class pari al 14% del totale). Inoltre, l’urbanizzazione distingue tuttora i modelli di sviluppo e di consumo: in Cina più del 55% della popolazione vive in aree urbane, mentre in India siamo attorno al 30%. Da questo punto di vista il McKinsey Global Institute prevede, tuttavia, che entro il 2025 l’India avrà circa 69 città con un milione di abitanti ciascuna; ed entro il 2030 i consumi dei maggiori centri urbani potranno raggiungere i livelli di consumo che oggi caratterizzano le grandi città di Paesi a medio reddito, come ad esempio Malesia o Marocco.

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