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Romani (First Cisl): “Tagliare gli Npl prima dei bancari: ci vuole una bad bank”

INTERVISTA A GIULIO ROMANI, segretario di First Cisl: “Il Direttore Generale della Banca d’Italia ha ragione a dire che lo snellimento degli organici delle banche è ineludibile ma che prima bisogna cambiare i modelli di business: il vero problema sono i crediti incagliati. Liberare le banche da questa zavorra è la priorità: ci vuole una bad bank. Puntare sulla consulenza”.

“Non basta mettere soldi per ricapitalizzarle, per salvare le banche va tolto il credito deteriorato”. Ha le sue idee sul presente e sul futuro delle banche italiane Giulio Romani, segretario generale First Cisl, sindacato che oggi conta circa 73mila bancari iscritti: “Ha ragione il Direttore Generale della Bancad’Italia, Salvatore Rossi, che nell’intervista rilasciata a FIRSTonline dice che lo snellimento degli organici è un processo ineludibile, ma va sottolineato – come lui stesso ha fatto – che questo è solo uno dei passaggi: prima bisogna cambiare i modelli di business delle banche italiane”.

La ricetta di Romani, che cita anche il caso Mps (“Nonostante le due ricapitalizzazioni e un taglio del personale da 30.000 a 25.000 unità, siamo ancora lì: perché non ci si è liberati degli Npl”), è chiara: più consulenza e meno Npl . Per andare incontro alle sfide della digitalizzazione, la banca deve dunque riscoprire il fattore umano, che può essere remunerativo e aiutare le Pmi a non trovarsi nelle condizioni in cui sono ora. “Più consulenza significa meno Npl, anche se per quelli ci vuole una bad bank di sistema alla spagnola”.

Il Direttore Generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, nell’intervista rilasciata sabato scorso a FIRSTonline, ha sostenuto, come ha fatto anche il premier Renzi a Cernobbio, che il business model delle banche va cambiato, che dipendenti e filiali sono troppi e che lo snellimento degli organici è un “processo ineludibile” anche se “non è l’unica risposta” al cambiamento: il sindacato è pronto a raccogliere la sfida?

“Certamente. Siamo consapevoli di questo e soprattutto sui casi emergenziali stiamo provvedendo a trattare le riduzioni degli sportelli e del personale. Fa bene però Rossi a specificare che non si tratta dell’unica risposta, del resto è un fatto di numeri: i crediti deteriorati o incagliati in Italia ammontano a 300 miliardi circa, mentre l’intero costo del personale a livello nazionale è di meno di 23 miliardi: ci si rende conto da soli che anche licenziando la metà dei dipendenti totali, ovvero 150.000, come ha detto Renzi a Cernobbio, si recupererebbero solo 11-12 miliardi. In compenso si finirebbero per chiudere troppe banche e verrebbero messe in difficoltà troppe famiglie”.

Dunque quale è la vostra ricetta?

“Come ha detto lo stesso direttore generale di Bankitalia, va rivisto il modello di business. Non serve solo diminuire i costi, ma anche aumentare i ricavi: le banche hanno capito che con i tassi a zero o addirittura negativi il credito non è più remunerativo e quindi le banche si sono orientate sempre di più alla vendita di prodotti finanziari. Questo ha comportato uno spostamento delle professionalità verso attività commerciali diverse dal passato. In pratica si è trascurata l’attività di valutazione del rischio del credito, affidandola al sistema automatico del rating. Questo tipo di valutazione però non si addice ai periodi di turbolenza. Il rating funziona come il pilota automatico di un aereo: ottimo per tenere la rotta in condizioni meteorologiche stabili, ma totalmente inadatto a compiere manovre complesse o ad attraversare le turbolenze. Per questo va riscoperto il fattore umano, migliorando la capacità di valutare i rischi e di offrire consulenza, specialmente alle Pmi. Il merito creditizio va stabilito anche sulla conoscenza del cliente e il cliente va poi ben consigliato è accompagnato alle soluzioni finanziarie più idonee a sostenerne lo sviluppo. Prendiamo le startup: difficilmente vengono finanziate dalle banche, perché non hanno una storia e il rating opera su sequenze statistiche relative al passato, dunque non intercetta le opportunità di un’innovazione. Se Facebook, all’inizio della sua storia, fosse stato valutato per il suo rating non sarebbe mai stato finanziato. Negli ultimi 20 anni le banche non hanno investito adeguatamente sulle professionalità connesse all’erogazione e gestione del credito e si sono orientate a valorizzare prevalentemente le capacità di vendita di prodotti finanziari. Nel frattempo, rinunciando a svolgere un vero ruolo consulenziale per le aziende, non hanno inciso sull’atavico vizio dell’imprenditoria italiana di sottrarre capitale alle proprie imprese. E a questo capitolo appartiene anche, evidentemente, quello dell’utilizzo di filiali allocate nei paradisi fiscali dove, forse, sono stati depositati denari che sarebbero potuti più utilmente restare a sostegno delle attività imprenditoriali”.

Una buona consulenza può significare più solidità finanziaria e dunque meno crediti deteriorati?

“Proprio così. Peraltro oggi gli NPL sono la vera emergenza del sistema: se non si agisce per alleggerire le banche da questo fardello, le ricapitalizzazioni continueranno ad essere vanificate, come, per esempio, è successo al Mps. E se continui a chiedere capitale al mercato è ovvio che ti venga concesso solo dietro riduzione dei costi. Ma i tagli producono risultati di breve periodo, utili per gli speculatori, non per dare futuro alle imprese senza un progetto di innovazione. Per questo ho molto apprezzato la posizione di Rossi”.

Però bisogna tagliare: in che modi e in quali tempi va fatto?

“Distinguiamo: ci sono operazioni di riduzione dei costi che vanno fatte urgentemente e riguardano le banche in maggior difficoltà, come le due popolari venete, per esempio. I costi però non sono solo quelli del personale, perché proprio quelle banche sono esempi di grandi sprechi su cui si può agire, prima di pensare a ridurre i posti di lavoro, a partire dalle remunerazioni e dagli scandalosi benefit dei gruppi dirigenti. Altro tema è quello di una riorganizzazione connessa alla digitalizzazione. Io non credo che la presenza sul territorio delle banche sia destinata a diradarsi così velocemente come si vuol far credere: ci vorrà tempo perché tutta la popolazione, anche quella meno propensa a sfruttare le innovazioni digitali, diventi autonoma. E se le banche, nel frattempo, dovessero abbandonare la loro presenza nei piccoli centri assisteremmo ad un ulteriore massiccio trasferimento di risparmi dal sistema bancario a quello postale. La cultura finanziaria del nostro Paese, sia delle famiglie che delle imprese non è tale da poter rinunciare facilmente al rapporto personale. Fare banca è svolgere un servizio alla clientela che produca un valore aggiunto. È cosa ben diversa dal fare semplicemente finanza. E, peraltro, per paradosso, mentre si predica l’automazione, negli ultimi anni, il numero degli sportelli automatici si è ridotto. In ogni caso, per quanto riguarda le quantità, il taglio drastico suggerito da Renzi è inverosimile: se così fosse, in Germania dovrebbero ridurre il personale a un quarto di quello attuale, visto che hanno 1 bancario ogni 125 abitanti contro i nostri 205, e un bancario ogni 3,9 imprese contro le nostre 12,4. Attenzione: continuare a ridurre la quantità e la qualità del servizio bancario italiano, mentre all’estero si continua a investire, finirà col favorire la presenza di banche straniere a cui consegneremo la clientela italiana”.

Tornando agli Npl, quale può essere la soluzione secondo il vostro punto di vista?

“Noi pensiamo che occorra una bad bank di sistema. Il problema degli NPL non è circoscrivibile a singole banche, ma è un problema complessivamente rilevante. Poi, in alcuni casi è una questione vitale, mentre in altri la struttura patrimoniale della banca consente di sopportare meglio i crediti deteriorati presenti in bilancio. Ma in ogni caso sono un freno alla crescita o al risanamento delle aziende. Si prenda il caso Monte dei Paschi: dall’esplosione del “caso derivati” ha fatto ben due aumenti di capitale ma oggi capitalizza in Borsa solo 700 milioni. Ha dunque bruciato oltre 10 miliardi di euro, nonostante abbia ridotto di ben 5.000 unità la propria forza lavoro, da 30.000 a 25.000. La soluzione? Il Fondo Atlante ha risorse limitate, e può supportare realtà più piccole, ma se si vuole risolvere il problema del sistema occorre una bad bank, semplificando, sul modello spagnolo, che gioverebbe non solo alle banche ma a tutta l’economia”.

Cioè?

“Una bad bank vigilata e partecipata dal pubblico non svenderebbe i crediti deteriorati ai soggetti che hanno interesse a ricavare un buon margine di profitto in tempi brevissimi, ma potrebbe svolgere una vera e propria attività di gestione dei crediti deteriorati, sostenendo, quando possibile, i debitori con piani di rientro, magari più lunghi, ma compatibili con la possibilità di non mettere in ginocchio famiglie e imprese. Un po’ come è avvenuto con SGA, la società di gestione degli attivi deteriorati del vecchio Banco di Napoli: un’operazione realizzata in circa 20 anni con la quale si è recuperato oltre il 90% dei crediti”.

E’ dunque d’accordo con la Banca d’Italia che dice che il primo obiettivo deve essere la ricerca di “soluzioni che preservino la stabilità finanziaria in Italia e in Europa” al di là della natura della proprietà delle banche in questione?

“Sì sono d’accordo, per questo dico che non serve tanto mettere soldi quanto togliere di mezzo il credito deteriorato”.

A che punto è il confronto sui temi più caldi con l’Abi?

“Abbiamo avviato formalmente un confronto, aspettando la fine dell’estate e la loro assemblea annuale per incontrarci operativamente. Sul tavolo ci sono principalmente tre questioni. Il primo è chiaramente quello relativo all’occupazione, e in particolare a come gestire insieme gli ammortizzatori sociali. Poi i modelli di business, più remunerativi ma anche più etici, che producano utile ma anche più fiducia. Il terzo punto è proprio quello della fiducia nel sistema, che va rilanciata e per questo servono controlli molto più rigidi affinchè non riaccada quanto accaduto negli ultimi anni, in cui c’è stato un deficit di controlli non solo da parte di Consob e Bankitalia ma anche dalle stesse banche. Servono controlli più indipendenti, i clienti vanno tutelati e aiutati”.

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