Era previsto. I dati sul PIL del secondo trimestre diffusi questa mattina da DeStatis, l’istituto statistico tedesco, e Istat confermano un rallentamento del ritmo di crescita sia in Germania sia in Italia. Trimestre su trimestre la crescita scende da +0,7% a +0,4% in Germania e da +0,3% a zero in Italia. Precedentemente, un calo era stato comunicato per la Francia dall’INSEE, da +0,7% a zero. Tutte e tre le maggiori economie dell’area euro rallentano, in un contesto dove meno di un mese fa il Fondo monetario Internazionale ha corretto di quasi mezzo punto al ribasso le stime 2016 di espansione del commercio mondiale.
I numeri del PIL nel secondo trimestre non risentono delle conseguenze della Brexit, sancita dal risultato del referendum del 24 giugno. Guardando ai prossimi trimestri, i previsori censiti nel numero di agosto dell’autorevole “Consensus” ipotizzano che nel 2017 la crescita del PIL inglese possa, per effetto della Brexit, ridursi a +0,6% rispetto a una previsione di +2,2% che veniva compiuta solo tre mesi fa. La media del Consensus esclude, però, la possibilità di una recessione nel Regno Unito. Guardando ai dati a consuntivo, nel secondo trimestre del 2016 il PIL del Regno Unito risulta essere cresciuto di un rotondo +0,6% sul trimestre precedente e di un +2,2% sul corrispondente periodo dell’anno precedente.
Riguardo all’Italia, il comunicato dell’Istat fa riferimento ad “un apporto positivo della domanda estera netta”. Considerando i riscontri dell’interscambio, il contributo positivo della domanda estera netta testimonia una relativa resilienza delle esportazioni italiane a muoversi nel difficile contesto di rallentamento del commercio mondiale. Tra il primo e il secondo trimestre del 2016 l’indice in volume delle esportazioni italiane è cresciuto di misura doppia rispetto a quello delle importazioni mentre una sostanziale invarianza è stata registrata dall’evoluzione dei valori medi unitari sia dell’export sia dell’import. Su base tendenziale e considerando i valori complessivi dell’interscambio, nel secondo trimestre 2016 le esportazioni italiane sono cresciute del 2,7% rispetto al secondo trimestre del 2015 mentre l’aumento delle importazioni si è fermato a +1,6%.
Sempre il comunicato Istat sottolinea come il dato italiano di PIL del secondo trimestre 2016 rifletta un lieve contributo negativo della domanda nazionale. In attesa di conoscere la ripartizione tra consumi delle famiglie e investimenti delle imprese vale ricordare come il ritardo nel recupero degli investimenti fissi caratterizzi da tempo il percorso di ripresa dell’economia italiana. Ciò vale soprattutto per la componente degli investimenti in costruzioni che nel primo trimestre del 2016 risultavano in Italia di ben 37 punti percentuali inferiori ai volumi pre-crisi a fronte, ad esempio, di una situazione francese dove gli investimenti in costruzioni sono (dati del primo trimestre 2016) solo 14 punti percentuali al di sotto del dato del primo trimestre del 2008.
Nel complesso, i dati di PIL del secondo trimestre 2016 segnalano, non solo per l’Italia, una debolezza della congiuntura i cui riscontri vanno letti nel contesto dei diversi gradi di sostegno anti-ciclico offerto dalla “stance” di politica fiscale. Per memoria, secondo le proiezioni della Commissione Europea, il rapporto tra deficit pubblico e PIL nel 2016 si collocherà al 2,4% in Italia, significativamente al di sotto del 3,4% previsto per la Francia e del 3,9% della Spagna. Un valore più basso del rapporto tra deficit pubblico e PIL ha caratterizzato la performance italiana in tutti gli otto anni intercorsi tra il 2008 e il 2015 e viene ugualmente proiettato negli scenari ufficiali formulati per il 2017.
In prospettiva, i dati di PIL del secondo trimestre segnalano la rilevanza che la formulazione delle manovre di finanza pubblica per il 2017 assumeranno per ravvivare il tono della ripresa in Italia come nelle altre economie dell’Area euro. Equilibrio e lungimiranza saranno necessari per assicurare il necessario compendio tra le esigenze della stabilità incardinate nelle regole del Fiscal Compact e le non meno rilevanti istanze di consolidamento della crescita.
Una migliore crescita economica – ottenuta attraverso le riforme strutturali, la politica fiscale e gli investimenti – aiuterà il percorso di rientro dell’alto livello di crediti deteriorati delle banche italiane: un rientro che i dati sulla formazione di nuovi NPL dicono essere già avviato da alcuni trimestri e che potrebbe ora rendersi evidente anche nell’andamento dello stock delle sofferenze lorde.