L’oro va al belga Greg Van Avermaet ma l’eroe di una gara tanto bella quanto spietata per la durezza e le insidie del percorso è stato Vincenzo Nibali. Criticato per aver utilizzato il Tour come una allenamento sul Teide in vista della gara olimpica, lo Squalo era l’osservato speciale della cavalcata di Rio in uno scenario unico sospeso tra monti e oceano, su un tracciato che prevedeva 40 km di salita con ben 4mila metri circa di dislivello.
Mai vista in un’Olimpiade una gara tanto dura. E lo Squalo, con l’orgoglio che lo contraddistingue, ha fatto una corsa perfetta, assumendo il comando delle operazioni al momento giusto: di concerto con Aru aveva iniziato ad attaccare al secondo dei tre giri previsti di Vista Chinesa – l’ascesa più ostica da affrontare tre volte – una scrematura del gruppo che faceva tra le vittime illustri anche Valverde, all’improvviso svuotato di forza e rassegnato al suo destino.
L’altro big spagnolo, Joaquin Rodriguez, aveva più gamba ma fin lì non pungeva. Quanto a Froome, era il solito Froome di quando non lo si incontra sulle strade del Tour, molto più terrestre che marziano. Il britannico tenterà una frullata negli utlimi trenta km quando ormai però i buoi erano scappati.
La caccia all’oro esaltava Nibali che con un ulteriore allungo nell’ultimo giro provocava una nuova selezione seminando clienti scomodi in un arrivo in volata come Van Avermaet. Cedeva di poco anche Aru ma il tifo azzurro era tutto concentrato sull’azione imperiosa dello Squalo. Gli ultimi ostacoli da abbattere erano il colombiano Henao e il polacco Majka che pur con fatica riuscivano a ritornare sulle sue ruote.
L’olimpiade sembrava ormai un partita a tre: da decidersi in discesa o in volata? Nibali, ricordando come trionfò al Giro gettandosi come un falco giù dalla Lombarda, sceglieva la prova di forza sfidando le insidie di una picchiata con curve e tornanti che avevano già messo fuori corsa non pochi corridori tra cui Richie Porte e Geraint Thomas. In un attimo, ecco la beffa: un palmer che slitta e il sogno olimpico di Nibali si infrangeva sull’asfalto quando mancavano 11 km al traguardo. Una brutta caduta insieme ad Henao metteva fine alla sua gara fin lì senza errori: da terra, con la spalla e il polso spezzato, vedeva malinconicamente fuggir via Majka, sopraggiungere e scomparire in un baleno Van Avermaet e Fulgsang, passava anche Aru, poi Rodriguez, Froome e gli altri.
Niente oro, né argento né bronzo, da Rio Nibali ripartirà mestamente solo con il gesso ma con l’immagine di uno dei pochi campioni veri che sanno entusiasmare ed emozionare la folla. Lo Squalo rientrerà in Italia con l’aereo di Matteo Renzi e quanto prima verrà operato per ridurre le fratture. A vincere l’oro, succedendo nell’albo d’oro a Alexander Vinokourov trionfatore quattro anni fa a Londra, è Van Avermaet, il belga che nel giro di un mese tra l’oro di Rio e le due vittorie al Tour più maglia gialla ha raccolto molto di più che nei nove anni precedenti di carriera professionista. Secondo, medaglia d’argento, è il danese Jacob Fuglsang. A completare il podio, terzo posto con il bronzo (e con tanto broncio), è il polacco Rafal Majka che si è visto raggiungere proprio nell’ultimo km dai due inseguitori dallo spunto più veloce. Quarto Julian Alaphilippe che a 22” precede nell’ordine Rodriguez e Aru, il primo degli italiani.