L’orribile massacro di Dacca è soltanto l’ultimo di una catena di attentati dello stesso genere: Parigi, Tunisi, Sousse, Bruxelles, Bagdad, ecc. Questa volta però, come purtroppo al Museo Bardo di Tunisi, sono stati direttamente colpiti gli italiani, e questo ci dimostra – se ce ne fosse stato bisogno – che nessuno è al riparo. E alla catena di attentati corrisponde una litania di considerazioni, quasi sempre le stesse. Non fa eccezione il Corriere di lunedì 11 luglio, che dedica il commento di Ernesto Galli della Loggia alle “Parole che l’Islam non dice“.
IN PRIMO LUOGO I RESPONSABILI
Il Ministro Gentiloni dice che la rivendicazione di Daesh è attendibile. E, naturalmente, farebbe un gran comodo poter pensare ad una “spectre” del male alla quale poter attribuire tutti questi massacri. Tagliamo la testa al serpente, e tutto finirà. Ma è davvero così?
Ormai tutti si rendono conto che i due principali vespai in Siria ed in Iraq hanno i giorni contati. E si sa che calpestando un vespaio, gli insetti si spargono ovunque. Ma soprattutto il vantaggio di quella che chiamiamo Daesh è di potersi attribuire ogni atto criminale. Un assassinio diventa terrorismo purché lo si inquadri in una cornice “islamica” come una invocazione a Dio o un versetto del Corano. Viene il sospetto che cattivi maestri trovino nelle comunità più disadattate e arrabbiate una ottima manovalanza e che sia troppo facile, almeno oggi, ricollocare gesta criminali sotto l’ombrello dell’Islam.
Più che una regia quello che abbiamo sotto gli occhi è quindi una specie di franchising senza schemi e senza struttura, facilissimo da attivare, da rivendicare, o da negare, se necessario.
Però, quello che interessa alla maggior parte di noi è cosa possiamo fare. Per saperlo occorre un piccolo sforzo di riflessione in più.
Consideriamo l’obiettivo: il terrorismo è fatto per terrorizzare, ma terrorizzare chi? E per ottenere che cosa? E siccome è difficile pensare che i terroristi ritengano di riuscire ad impaurire gli Stati Uniti, la Germania, l’Inghilterra o la Francia, viene il fondato sospetto che un altro obiettivo, forse addirittura il primo, sia anche quello di ottenere grandi reazioni repressive e un odio diffuso per la diversità, che inevitabilmente coinvolgeranno molti innocenti nel mondo arabo – e non solo – aiutando i terroristi a portare dalla loro parte anche molte comunità islamiche che non avevano mai condiviso ne attuato la violenza. L’assassinio del nigeriano a Fermo è il risultato di questo odio, e anche lui ricollega la violenza che pratica ad una ideologia, che è quella della tifoseria del calcio: in assenza di religioni o ideologie serie tutto fa brodo!
Non è pensabile rinunciare a difendersi e quindi non perseguire i colpevoli di crimini così orrendi. Ma l’obiettivo deve essere perseguito con metodi adeguati, che non possono limitarsi ai servizi di intelligence, alle polizie e agli eserciti.
Gli abitanti di Ben Gardane, una piccola cittadina tunisina alle frontiere con la Libia, hanno inseguito i terroristi per le strade reagendo come una intera comunità, confermando che la vittoria contro tutte le organizzazioni criminali e le mafie può essere garantita soltanto dal consenso delle comunità umane.
E’ facile e molto più rapido colpire da un drone o effettuare qualche arresto, che organizzare programmi e progetti di mutua conoscenza e di collaborazione con le immense comunità del mondo arabo, che non condividono e non supportano il terrorismo. Molti parlano di azioni di questo genere, ma quasi mai si accenna a contenuti o a fondi disponibili: eppure non ci vorrebbe molto se si avessero obiettivi chiari e politiche definite. Per esempio, sostenere i media del mondo arabo, i giornalisti, gli studenti, le donne, i sindacati, i partiti, ecc. ma non quelli fra questi che sono “dalla parte nostra” ma tutti, che abbiano o meno la barba o un foulard sulla testa.
LE PAROLE CHE L’ISLAM NON DICE
Solo il dialogo di tutti con tutti, all’interno di un singolo palazzo o in uno Stato può fare emergere positivamente le radici dell’orrore, aiutando le famiglie e le comunità a produrre gli anticorpi e ad essere solidali con le istituzioni degli Stati. Esperti, specialisti, attori e comparse dei talk show televisivi si affannano a chiedere al mondo arabo di chiamarsi fuori dai terroristi e dai loro atti, ma anche quando vi sono dichiarazioni in tal senso, esse non sono mai sufficienti, sottintendendo che in fondo per molti arabi i terroristi continuano ad essere “compagni che sbagliano”. In realtà se è vero che molte componenti del mondo arabo hanno manifestato condanna e sdegno, bisogna cercare di comprendere il silenzio di molte altre. Chi conosce bene quel mondo sa che le maggioranze rimangono silenziose per due ragioni. La prima è la paura, visto che stiamo parlando di organizzazioni criminali che non esitano ad intimidire ed uccidere i dissenzienti.
La seconda è certamente una “sindrome del guado”, come dire: se condanniamo i compagni che sbagliano ce li troveremo contro, ma senza essere sicuri che saremo accolti nel mondo occidentale – che tanto protesta e chiacchiera – in una patria comune, fondata sul rispetto della democrazia e dei diritti umani.
Le soluzioni repressive sono giuste e inevitabili, ma se rimarranno le uniche soluzioni, allora il terrorismo conquisterà molte più anime perse e le maggioranze silenziose del mondo arabo saranno sempre più piccole e sempre più in difficoltà.