Una mossa audace, che non teme il riscontro dei collezionisti, nonostante siano più d’una le incognite. Non c’è infatti un nome ufficiale dietro la provenienza delle opere, ma sono noti i nomi degli artisti che andranno all’incanto: Alice Pasquini, Mauro Pallotta, Diamond, Solo, Jerico, Mirco Marcacci, Mauro Sgarbi.
La trattativa con cui Arcadia vuol farsi pioniera nel mercato dell’arte urbana è stata condotta con massima riservatezza per scelta dello stesso proprietario, che vuol far sapere ben poco di sé. Una sorta di mecenate non avvezzo alle luci del mondo curatoriale, ma che ha saputo portare alla ribalta alcuni tra giovani talenti più noti, anche all’estero. Un mecenate mister x che, seguendo un po’ le orme del Banksy, ancor più notorio poiché anonimo, ha concesso alla Casa d’Aste Arcadia parte della sua preziosa raccolta, con l’intento di proporre tutte le sfaccettature di un’arte eterogenea, comprendente migliaia di codici.
Una provocazione? Un’operazione tesa a smascherare il passaggio graduale dell’arte urbana dalla ribellione al business, dalla controcultura al mainstream?
Non esattamente. Certo oggi siamo assai lontani dai tempi di Keith Haring o Jean-Michel Basquiat, momento in cui i graffiti erano pura ribellione e comunicazione controcorrente. Gli street artists nel 2016 sono ingaggiati dalle amministrazioni comunali per riqualificare le periferie, o addirittura vanno in mostra presso importanti musei, con buona pace della loro contrarietà, come per la mostra dedicata a Banksy a Palazzo Cipolla fino al 4 Settembre, o l’esposizione bolognese che chiuderà a breve e che ha appeso alle pareti di Palazzo Pepoli – dopo averli asportati dalle strade cittadine – muri, serrande, lastre, pietre, assi di legno con sopra i dipinti di Blu, Banksy, Ericailcane, Invader, Dran, Os Gemeos, Obey, Ron English.
L’intento della Casa d’Aste Arcadia, certo ancora acerba ma che proprio in virtù di questa freschezza può permettersi maggiore azzardo, non è tanto la provocazione, bensì la possibilità di fornire al collezionista una chiave per interpretare un tipo di arte così eterogenea e complessa da risultare spesso di difficile inquadramento in parametri economici. Si polemizza di frequente sul perché i cosiddetti graffitari passino con troppa facilità dal regalare le proprie opere fatte sui muri delle città, al farsele poi pagare profumatamente dai galleristi quando realizzate su altri supporti.
L’idea su cui Arcadia vuol puntare il 20 giugno è quella del doppio codice dell’arte urbana: un’arte nata in clandestinità e quindi da una parte veloce, atletica, fatta di corpo e caduca perché esposta alle intemperie; ma anche un’arte che si è evoluta in varie correnti e stili, acquisendo un esoscheletro qualitativo su cui potrebbe valer la pena investire come si fa per i nomi noti del panorama contemporaneo, che sono e saranno sempre altrettanto presenti in asta. L’arte urbana resta senza dubbio un occhio pubblico, sia essa realizzata sulle pareti della città, su oggetti o su tela. La sezione di Street Art dell’Asta n.3 di Arcadia non è dunque una provocazione. Si tratta piuttosto di un test su quel famoso orecchio di Van Gogh, metaforicamente citato dallo stesso Basquiat.