E’ un Paolo Gentiloni a tutto campo quello intervenuto ieri alla conferenza sulla crisi libica organizzata dall’Istituto Affari Internazionali a Roma, pochi giorni dopo un passo cruciale nella direzione di una stabilizzazione del Paese nordafricano: la liberazione di Sirte, nella cui zona sorge un importantissimo bacino energetico che sta per essere sottratto alle forze dell’Isis.
SIRTE – “L’avanzata dimostra che un’azione dei libici contro l’Isis è possibile, e su questo lavora l’Italia”, ha detto il Ministro degli Esteri italiano nel corso del suo lungo intervento. “I progressi su Sirte dimostrano che l’Italia ha fatto bene a evitare il cortocircuito interventista, contro il quale mi sono battuto per settimane: tre mesi fa c’era chi parlava di 8.000 jihadisti a Sirte. Ora dicono che sono rimasti in 120. Abbiamo lavorato come Italia perché fossero i libici ad affrontare l’Isis e credo che abbiamo fatto bene”.
Gentiloni ha rivendicato l’operato del governo guidato da Fayez Serraj, costituito a fine 2015 da una risoluzione delle Nazioni Unite che hanno annunciato, con il sostegno della comunità internazionale, un nuovo governo ad interim con base in Tunisia ma né il parlamento di Tobruk né Tripoli accettano di riconoscerlo. Proprio il generale Khalifa Haftar, che comanda le forze armate collegate al parlamento di Tobruk, ha recentemente ribadito lancia la sua sfida al “governo di accordo unità nazionale” (Gna) del premier designato Serraj, agiungendo: “Non ho tempo da perdere con le Nazioni Unite”.
STABILIZZAZIONE POLITICA – A tal proposito Gentiloni ha specificato che l’operazione a Sirte è stata condotta dalle milizie di Misurata e dalle guardie delle infrastrutture petrolifere: “Il generale Khalifa Haftar non ha avuto nessun ruolo, su Sirte è stato assente”. Sul ruolo di Haftar, il ministro degli Esteri ha ribadito che le forze che sostengono il generale devono riconoscere il processo politico unitario e il governo. Il momento “difficile per Haftar, che si era accreditato come unico baluardo contro l’Isis mentre ora a Sirte avanzano altre forze, deve spingere ad aprire uno spiraglio per rendere il governo più inclusivo perché la priorità è l’unità della Libia”.
Su questo, ha tuttavia avvertito Gentiloni, “c’è molto lavoro da fare. Negli ultimi due mesi e mezzo sono stati fatti dei significativi passi avanti ma sono passi avanti che la comunità internazionale deve coltivare e rafforzare, perchè restano ancora molte questioni aperte. Considerare vinta la scommessa in Libia sarebbe imprudente – ha detto Gentiloni -, la realtà libica resta ancora estremamente frammentata, il processo di stabilizzazione è molto complicato. L’Italia può svolgere un ruolo significativo, ma non da sola”.
Secondo quanto detto dal ministro degli Esteri alla conferenza dello IAI la gestione diplomatica della crisi libica vede tuttavia le posizioni dei diversi paesi più vicine di quanto non si registri per la crisi siriana: “Non c’è paragone tra il clima e il contesto diplomatico. Il Governo italiano ha lavorato e continuerà a lavorare affinchè si arrivi ad una piena stabilizzazione del paese, coinvolgendo tutte le forze in campo e puntando sempre di più a rafforzare la legittimazione del governo Serraj”.
IMMIGRAZIONE – Gentiloni non si è risparmiato nemmeno sul capitolo immigrazione. “E’ sbagliato pretendere che in Libia, dove il nuovo governo è ancora fragile ed embrionale, si formi una barriera per contrastare i flussi migratori”, ha detto il ministro degli Esteri italiano. “Le previsioni degli analisti sull’aumento dei flussi migratori sulla rotta del Mediterraneo centrale sono state smentite e allo stato attuale gli ingressi dalla Libia sono inferiori rispetto allo scorso anno”, ha detto il titolare della Farnesina, precisando che negli ultimi due-tre mesi vi è stato invece un aumento dei flussi dall’Egitto. “Questo non vuol dire che la guardia costiera libica faccia chissà quali operazioni. La collaborazione sarà graduale e anche l’addestramento della guardia costiera libica è un percorso che vorrà i suoi tempi. Non dobbiamo caricare un’aspettativa che non sta in piedi”, ha aggiunto il capo della diplomazia italiana.
ENI – Al convegno era presente anche Eni, società presente da decenni in Libia, dove ha continuato a operare nonostante le tensioni degli ultimi anni. A rappresentare la società che ha fatto del Paese nordafricano un avamposto strategico era il direttore degli Affari Istituzionali Pasquale Salzano: “Eni è presente sin dagli anni ’50 con impianti in tutta la Libia, alla cui popolazione ha poi negli anni anche fornito energia elettrica. Il nostro rapporto col Paese è molto solido e il nuovo governo insediato tra dicembre e gennaio è sicuramente una nuova opportunità per il processo di sicurezza energetica voluto dalla stessa Ue: il bacino del Mediterraneo, soprattutto quello orientale con le nuove scoperte in Libia e Egitto, è un hub di approvvigionamento per tutta l’Europa”. Il manager di Eni ha ricordato che la Libia è il primo Paese africano per produzione di petrolio, il nono in tutto il mondo: “Prima della crisi del 2011 la Libia produceva 1,7 milioni di barili al giorno, oggi solo 300-400mila”.