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Bcc, in 15 pronte a formare un gruppo bancario fuori da Federcasse

Quindici Bcc del Nord, Centro e Sud d’Italia sono pronte a dar vita a un secondo gruppo bancario cooperativo nazionale fuori dall’influenza di Federcasse: hanno sul territorio nazionale 156 sportelli e 1.107 dipendenti, fondi propri per 709 milioni di euro, un totale attivo di 8,8 miliardi e un ratio patrimoniale del 17,1% – Per realizzare il progetto bisogna però costituire un miliardo di euro di patrimio interamente versato

Bcc, in 15 pronte a formare un gruppo bancario fuori da Federcasse

Quindici Bcc (banche di credito cooperativo), diffuse in tutto il territorio nazionale, sono pronte a dar vita a un secondo gruppo bancario cooperativo fuori e in alternativa alla Federcasse, di cui contestano apertamente il monopolio, e si appellano al Parlamento e alla Banca d’Italia perché vigilino sulla corretta applicazione della recente riforma. Per realizzare il progetto di un secondo gruppo cooperativo nazionale bisogna però costituire, secondo quanto prevede la recente riforma delle Bcc, un patrimonio di un miliardo di euro interamente versato e non è un obiettivo da poco. Ma nel mondo delle Bcc le acque si stanno muovendo in varie direzioni e la presenza soffocante di Federcasse, a cui si  sono rivolte anche le critiche del Governatore della Banca d’Italia Visco nell’assemblea del 31 maggio, può scatenare a breve importanti novità.

Le 15 banche che hanno preso l’iniziativa in vista di un secondo gruppo cooperativa sono banche presenti al Nord – come la CRA di Borgo San Giacomo nel bresciano e la veneziana Bcc Marcon – , al Centro – come le Bcc di Castagneto Carducci, di Pisa e Fornacette, di Viterbo e di Civitanova Marche – e al Sud – come le salernitane Bcc di Aquara, di Monte Pruno e di Buonabitacolo, le pugliesi Bcc di San Marzano e di Monopoli e le siciliane Bcc di Regalbuto, di Mazzarino, di Messina e la Bcc Credito Etneo Catania.

In tutto le 15 Bcc che hanno firmato l’appello a tutto il movimento del credito cooperativo dichiarano di poter mettere in campo 156 sportelli, 1.107 dipendenti, fondi propri per 709 milioni di euro, un attivo totale di bilancio di 8,8 miliardi di euro, una raccolta diretta di 6,5 miliardi, impieghi per 4,5 miliardi, utili netti 2015 di 36 milioni di euro e un ratio patrimoniale medio (TCR) del 17,1%.

Le 15 Bcc non nominano esplicitamente la Federcasse ma si appellano al Parlamento e alla Banca d’Italia perché temono che, se la riforma stessa sarà mal applicata, ne possano derivare “una compressione dell’autonomia con perdita della creatività cooperativa”, costi eccessivi, “perdita del’immagine localistica delle Bcc sul territorio” e perdita di redditività delle singole aziende. Per questo le 15 Bcc propongono che “via sia un cambio di mentalità della classe dirigente” del credito cooperativo con “un periodico ricambio degli amministratori”, una concreta autonomia delle Bcc e che “alla guida della capogruppo vi siano solo persone che provengano dalle Bcc senza criticità perché altrimenti diamo un pessimo segnale ai mercati e alla logica della meritocrazia”.

Contro le logiche più politiche che industriali in cui si sta muovendo la Federcasse per la formazione del gruppo bancario cooperativo nazionale s’è del resto espresso anche il Governatore della Banca d’italia nelle sue recenti Considerazioni finali all’assemblea del 31 maggio. Ed è proprio questo il punto dolente su cui insistono le 15 Bcc sostenendo che “la capogruppo deve rappresentare solo delle opportunità per tutti per migliorare i bilanci e per avere più redditività ma non deve assolutamente essere, anche velatamente, una camicia di forza o un commissariamento per chi produce buoni risultati in termini di redditività e di basso rischio creditizio, altrimenti – anziché progredire – avremo il risultato opposto, se solo andiamo a comprimere la libertà e la creatività delle persone”. E purtroppo “i primi passi di questa riforma stanno togliendo entusiasmo e certezze al mondo del credito cooperativo”.

L’appello delle 15 Bcc si conclude chiedendo al Parlamento di vigilare sull’applicazione della riforma perché essa non porti a “trasformare le Bcc in semplici sportelli al servizio della Capogruppo centrale” cioè della Federcasse, e alla Banca d’Italia perché detti “norme precise sulla composizione qualitativa degli organi di governo delle Bcc e soprattutto della Capogruppo, affinché non si applichi il manuale Cencelli del credito cooperativo”.

Poi la stoccata finale a Federcasse con l’appello a tutte le Bcc “affinché prendano atto che da questa situazione – tipo Corea del Nord – si esce solo creando una seconda Capogruppo in grado di realizzare competitività ed efficienza nel rispetto della sana e prudente gestione. Il mercato si regge sulla concorrenza e non sul monopolio e chi dice il contrario è in malafede. Né Banca d’Italia né il ministro Padoan hanno mai parlato di gruppo unico”.

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