Editoria, industria, Mezzogiorno ma anche Renzi, Emiliano e la nuova Confindustria di Boccia: sono tanti gli angoli visuali dai quali Alessandro Laterza, alla guida con il cugino Giuseppe della casa editrice barese e per quattro anni vicepresidente di Confindustria con delega per il Mezzogiorno e per le Politiche Regionali, guarda all’Italia di oggi. Ed è di questo che parla nell’intervista del weekend che ha rilasciato a FIRSTonline
L’editoria, l’industria e la Confindustria, il Mezzogiorno tra Renzi ed Emiliano: dottor Laterza, sono tanti i suoi punti di osservazione dell’Italia di oggi e di domani, ma qual è la sua valutazione sullo stato del Paese? I problemi dell’Italia e del Sud sono noti ma possono solo alimentare pessimismo e preoccupazione o finalmente – sul piano economico e civile – si intravede qualche segnale di riscossa?
Direi di sì, alcuni segnali positivi ci sono. Per essere meno generici, poche settimane fa Confindustria, insieme a Cerved – il maggiore Information Provider in Italia e una delle principali agenzie di rating in Europa – ha presentato il “Secondo Rapporto Pmi Mezzogiorno 2016” dal quale emerge che, pur con la permanenza di alcune debolezze, tra le quali spiccano soprattutto le difficoltà di accesso al credito, nel Sud del Paese i sintomi di ripresa sono evidenti. Tra pochi giorni pubblicheremo inoltre un rapporto dedicato al CentroNord Italia nell’ambito del quale vengono registrati dei miglioramenti tangibili, caratterizzati da un accelerazione ancora più forte di quella riscontrata nel Mezzogiorno.
Nonostante i dati rimangano inferiori a quelli esistenti nel periodo pre-crisi, la spinta positiva c’è. A questo punto occorre dunque andare avanti e cercare di capire se la ripresa si potrà consolidare. La risposta dipenderà sia da fattori esterni non direttamente controllabili, come la congiuntura internazionale. Ma anche da fattori interni, vale a dire un aumento degli investimenti pubblici e privati. Sotto il primo punto di vista sarà fondamentale la spesa in conto capitale, deficitaria ormai da molti anni. Nel secondo caso bisognerà invece mettere a frutto il superammortamento previsto dalla legge di Stabilità 2016 al quale, per il Sud Italia, si aggiunge anche uno specifico credito d’imposta operativo fino al 31 dicembre 2019 per un valore complessivo di 2,4 miliardi di euro.
Visitando il museo dei Bronzi di Riace a Reggio Calabria, il premier Renzi ha detto nei giorni scorsi che “non serve lamentarsi delle occasioni perdute” e ha lanciato la sua campagna per promuovere accordi locali e regionali nel quadro di un grande Patto per il Sud: può essere una strada in grado di dare frutti al Mezzogiorno?
Il Masterplan annunciato questa estate dal Governo, di cui i Patti per il Sud sono la diretta conseguenza, va visto per quello che è: un meccanismo finalizzato ad accelerare la spesa dei fondi attualmente a disposizione per il Mezzogiorno, dal Fondo di Sviluppo e Coesione, ai fondi di cofinanziamento nazionale fino ai cospicui fondi strutturali europei previsti dal ciclo 2014-2020. È uno strumento utile perché imprime un’accelerazione alla spesa in conto capitale, ma non è il cosiddetto piano Marshall per il Sud, non aggiunge ulteriori risorse rispetto a quelle previste, ma si occupa della gestione di quelle attualmente a disposizione per il territorio.
In questo frangente, è necessario anche ricordare che nell’ultimo decennio sia la spesa corrente che quella in conto capitale, espresse in termini procapite, nel Mezzogiorno sono state considerevolmente inferiori rispetto al CentroNord. Quattrocinquemila euro all’anno in meno per ciascun cittadino del Sud. Clamorosa differenza spiegata dalla spesa pensionistica, ma in nessun modo ridimensionata dalla presenza dei fondi strutturali europei e di quelli creati ad hoc per il Sud. Il Masterplan è uno strumento importante, ma i cittadini non devono avere l’illusione che ci sia un trattamento privilegiato del Sud, perché nei fatti non c’è se non in termini di parziale compensazione del ridotto gettito fiscale della parte meno ricca del Paese.
I meridionalisti più raffinati dicono da tempo che non c’è un solo Sud ma ce ne sono tanti e diversi e del resto la sua regione (la Puglia) è l’esempio di una terra che si sviluppa a macchia di leopardo: questo significa che oggi per il Mezzogiorno occorrono politiche territoriali differenziate ma con un denominatore comune fatto di infrastrutture materiali e immateriali, di lotta alla criminalità e anche di Fisco?
Sicuramente esistono degli elementi di differenziazione che spingono a guardare il territorio sotto diversi punti di vista, facendo delle distinzioni a livello locale e regionale. Tenendo conto di quanto appena detto, è decisivo però riuscire a trovare il modo di coniugare la visione nazionale, che è indispensabile, con le diverse peculiarità locali. L’assenza di questa coniugazione è il motivo per il quale si sono verificati degli attriti tra il Governo centrale e territori come la Puglia e Napoli. In certa misura si tratta di fenomeni di concorrenza politica, che nulla hanno a che fare con il merito della questione. Ma anche di visioni differenti riguardanti la gestione del futuro a livello locale e regionale.
A mio parere la via giusta sarebbe quella della collaborazione. Il fatto che siano previsti dei programmi nazionali in cui prevalgano delle priorità di interesse generale è normale, ma non posso non tenere in considerazione che questi aspetti debbano essere coniugati con decisioni di carattere locali. È un gioco di equilibrio che va costruito per continuare la strada della ripresa. Evitando però blocchi e ostacoli che si ripercuotono sulla pelle di cittadini e imprese.
Impossibile non chiederle a questo punto delle scintille tra Renzi ed Emiliano: secondo lei è un problema di temperamento personale o s i scontrano due filosofie politiche opposte (il riformismo contro il neo-populismo)?
Temo che cercare delle ragioni valide e delle spiegazioni in questo campo sia vano. Si tratta di episodi riguardanti concorrenze e dibattiti che purtroppo si acutizzano nel vuoto della politica con la lettera maiuscola. Non c’è stata una discussione seria sul futuro dell’approvvigionamento energetico, né sulla decarbonizzazione come opportunità di sviluppo, ma un battibecco su un appuntamento referendario abbastanza evanescente. Nel momento in cui i diversi punti di vista non sono sostenuti da un dibattito politico di livello è normale che emerga solo la dimensione della contrapposizione di tipo personale.
Secondo me, la discussione sul cosiddetto referendum sulle trivellazioni ha assunto dei connotati surreali, dato che le preoccupazioni che avevano alimentato le origini della consultazione referendaria sono stare risolte prima del 17 aprile. Era un dibattito incentrato sul nulla e dunque è emersa solo la competizione politica.
La Confindustria ha un nuovo presidente designato che viene dal Sud come Vincenzo Boccia e c’è chi, eleggendolo, gli ha consigliato discontinuità, specie nelle relazioni sindacali, per far tornare Confindustria protagonista della scena economica, politica e sociale: pensa che lo farà?
A mio parere anche il dibattito su Confindustria ha assunto dei toni strani. Giorgio Squinzi ha più volte affermato che ci sono due terreni sui quali non si sente soddisfatto rispetto alle misure attuate nel corso dei suoi anni ai vertici della Confederazione: il primo riguarda i risultati del Sole 24 Ore, di cui ha recentemente assunto la presidenza; il secondo riguarda la contrattazione. Da questo punto di vista dunque, non c’è nessuna discontinuità da inaugurare, ma occorre piuttosto sostenere una linea che ridefinisca l’equilibrio tra salario e produttività attraverso la valorizzazione della contrattazione di secondo livello.
Questa era la linea portata avanti da Squinzi e questa sarà la strada percorsa da Boccia, una strada che risponderà a un cambiamento essenziale per l’assetto competitivo del sistema Italia. La prova del fuoco ci sarà – sia sul fronte datoriale sia su quello sindacale – nel passaggio dalle dispute sui massimi sistemi alla cucina operativa dei contratti di categoria. Lì misureremo la volontà di tutte le parti – non solo della Presidenza di Confindustria – di portare avanti un progetto che vada a favore di impresa e occupazione.
Il Governo non ama la concertazione con le rappresentanze sociali ma ha raccolto molte istanze delle imprese (dal Job Act ai primi segnali di riduzione della contribuzione e dell’Irap): qual è il suo giudizio complessivo sulla politica delle riforme di Renzi?
Ci sono stati dei passi avanti e dei risultati sono stati ottenuti, dalla decontribuzione sulle nuove assunzioni alla deduzione del costo del lavoro dall’Irap, all’insistenza sulla sterilizzazione della spesa per investimenti dai vincoli del patto di stabilità europeo. Positivo anche il mantenimento della rotta, già fissata dal governo Letta, sull’accelerazione dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione e sulla moratoria sui mutui. Per quanto riguarda il Jobs Act, gli effetti della riforma si vedranno nel tempo, ma è fuori discussione che dei miglioramenti ci siano.
Adesso bisogna però portare a compimento il programma di riforme, procedendo soprattutto con la semplificazione amministrativa locale e nazionale e con l’accelerazione dei tempi della Giustizia, due fattori importantissimi per dare maggiore efficienza alle imprese e sviluppare la capacità del nostro Paese di attrarre investimenti.
Nel quadro della transizione che il Paese sta attraversando per uscire non solo dalla recessione ma anche dalla crisi, come si colloca oggi in Italia l’industria editoriale e quella dei libri in particolare? Il consolidamento, che ha prodotto l’integrazione tra Mondadori e Rizzoli Libri, è una via inevitabile e avrà riflessi anche su una casa editrice come Laterza?
Per rispondere alla sua domanda occorre prima sottolineare che l’operazione Mondadori – Rizzoli nasce semplicemente dall’esigenza di Rcs di risolvere un problema di cassa e di indebitamento. Non c’è, in questo, alcuna strategia straordinaria legata a nuovi scenari evolutivi. L’integrazione comporterà però una forte modificazione del quadro di mercato, causando dei problemi a tutti gli attori della filiera, partendo dagli editori fino ad arrivare ai terminali di distribuzione, siano essi indipendenti o catene.
Perché? Potremmo ripercorrere l’istruttoria dell’Antitrust che purtroppo ha avuto un risultato molto modesto cioè l’ingiunzione dell’Autorità di cedere la casa editrice Bompiani e la partecipazione in Marsilio.
L’operazione ha permesso a due gruppi di unirsi ottenendo una posizione di controllo pari a circa il 30% del mercato, una realtà mai vista in nessun luogo del mondo industriale. Non è un problema di principio, ma nel momento in cui Bur e Oscar Mondadori controllano il 60% del mercato tascabile, è chiaro quale sia il problema. Nonostante non ci sia alcun connotato di volontarietà, la concorrenza viene distrutta in maniera automatica, perché qualunque sia il prezzo o la condizione commerciale che questa aggregazione vorrà stabilire nel futuro, sarà quello il parametro cui l’intero mercato italiano sarà costretto a conformarsi. Nessuno avrà più la possibilità di competere e verrà meno quella componente di concorrenza che per definizione rappresenta il fattore regolativo del mercato.
Gli effetti di questa aggregazione saranno molto pesanti. Intravedo uno scenario difficile che si innesta su una realtà, quella dell’editoria libraria, che pur non destando le stesse preoccupazioni dei giornali, ancora oggi si trova sotto i livelli del 2010. Nel 2015, per la prima volta dopo cinque anni, il calo sembra finalmente essersi arrestato. La concentrazione non aiuterà la ripresa e potrebbe infine causare un impoverimento dell’offerta.
Sull’industria libraria pesa di più la riduzione del reddito subita in questi anni dagli italiani o la sfida di Internet e delle nuove tecnologie e come intende rispondere la Laterza?
Per quanto riguarda le componenti che hanno più inciso sulla crisi dell’editoria libraria, il motore dei problemi è stata senza dubbio la riduzione della capacità di spesa degli italiani.
Questo fattore si è intrecciato con l’evoluzione dell’editoria digitale che nel corso degli ultimi anni ha fatto dei buoni progressi, ma che rappresenta ancora oggi una quota marginale del mercato.
In questo frangente non posso non sottolineare il condizionamento del mercato derivante dall’avanzata di Amazon e di tutti gli intermediari che vendono eBook e libri sul supporto cartaceo. Questa componente ha inciso molto sull’equilibro della catena di distribuzione, creando uno scompenso che non è ancora stato assorbito.
Parlando invece dell’evoluzione tecnologica, e in questo campo esprimo un parere prettamente personale, più dell’impatto di internet che c’è e c’è stato sui libri, ma in maniera minore rispetto a quanto accaduto nel giornalismo, ha contato molto l’avvento del digitale terrestre e del satellitare.
La Tv multicanale ha creato un’offerta che ha catturato l’attenzione dei cittadini e, come osservo spesso, dà al pubblico trasmissioni di buona qualità. Tra un programma di Rai Storia, per esempio, e la lettura di un libro di storia, molti scelgono il primo. In termini funzionali sono consumi culturali fungibili.
Ad oggi si intravedono dei fattori di cambiamento strutturale e congiunturale. L’unico modo di rispondere è quello di presidiare i settori tradizionali, e io tra essi inserisco anche l’eBook, cercando di essere presenti con impegno sia sulla carta che sul digitale. Bisogna inoltre introdurre degli elementi di differenziazione. Nel nostro caso, ci occupiamo della promozione di Festival, come quello dell’Economia di Trento, e di cicli di lezioni. Attraverso queste attività intendiamo valorizzare la competenza peculiare dell’Editore che è quella di selezionare e organizzare contenuti. Inoltre queste occasioni diventano anche delle opportunità per produrre nuove iniziative. Da esse può nascere un libro, una trasmissione televisiva o un nuovo format digitale.