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Libri sportivi: boom in tutto il mondo

Libri sportivi… questi sì che funzionano! La crescente importanza – e qualità – della letteratura sportiva in Europa e nel mondo – Febbre da calcio ma non solo – Sempre più biografie e autografie dei campioni dello sport

Libri sportivi: boom in tutto il mondo

La letteratura sportiva sta diventando una faccenda molto seria. Ormai è un genere a sé che abbraccia  la saggistica, la storia del costume, la memorialistica e la narrativa d’invenzione. È un fenomeno che non è certo sfuggito a uno dei più intelligenti e vigili osservatori dell’evoluzione dei nostri costumi e della nostra mentalità, Simon Kuper che tiene una rubrica fissa sul “Financial Times”. Pubblichiamo di seguito un suo articolo “How books about sport got serious” pubblicato sul supplemento del weekend “life & arts” del quotidiano economico di Londra. La traduzione italiana e l’adattamento sono di Giuseppe di Pirro. Un articolo interessantissimo per il quale vale la pena di spendere 10 minuti del nostro tempo.

Simon Kuper, editorialista sportivo del “Financial Times”, ha iniziato a lavorare nella testata economica di Londra dal 1994. Scrive di sport e anche di libri. È nato in Uganda ma è cresciuto nel Paesi Bassi, in Svezia, in Giamaica e negli Stati Uniti. Ha studiato a Oxford e Harward e al Politecnico di Berlino. La sua rubrica sul “Financial Times” cerca di inquadrare lo sport e gli atleti all’interno del loro paese, tempo e società oltre, naturalmente, a parlare di sport in sé

La fioritura della letteratura sportiva in Europa

Quando avevo 10 anni, la mia famiglia si trasferì in California per un anno, ed ho scoperto il baseball. Mio padre mi comprò due antologie di articoli sul baseball, che ho letto a pezzi. I libri li ho ancora, le pagine sporche delle briciole del cibo dei primi anni ’80. In uno c’era un profilo di Ted Williams, il famoso giocatore dei Red Sox di Boston, scritto da un certo John Updike. Non avevo mai sentito parlare di Updike, ma l’articolo è rimasto con me. È stato migliore di qualsiasi testo di argomento sportivo in cui mi sia mai imbattuto crescendo in Europa. I buoni scrittori europei allora raramente si interessavano allo sport.

Tutto ciò è cambiato. Da 25 anni esiste un premio, il William Hill Sports Book of the Year, per per il libro sportivo dell’anno. Nel 2015 è stato vinto da David Goldblatt per il suo libro sul calcio nelle isole britanniche. In effetti da quando l’allenatore di canottaggio Dan Topolski vinse il primo riconoscimento nel 1989 per True Blue: The Oxford Boat Race Mutiny, la letteratura sportiva è fiorita in Gran Bretagna e, successivamente, in tutt’Europa.

Uno sguardo oltre oceano

Gli scrittori americani hanno sempre preso sul serio lo sport. Ernest Hemingway, Damon Runyon, Ring Lardner, Norman Mailer e Jack Kerouac hanno tutti lavorato come giornalisti sportivi. Hemingway una volta ricevette 30.000 dollari da “Sports Illustrated” per un pezzo di 2000 parole sulla corrida. Philip Roth, Bernard Malamud e Don DeLillo hanno ambientato dei romanzi nello sport. Richard Ford ha addirittura scritto un romanzo intitolato The Sportswriter.

Spesso nella letteratura americana, l’atleta ha incarnato il “sogno americano”. Era il ragazzo venuto dal nulla che raggiungeva la grande fama, ma che rischiava sempre di ridimensionarsi e tornare al nulla. Ecco perché, quando il sogno americano è passato di moda dopo la seconda guerra mondiale, la letteratura americana divenne popolata da atleti ridimensionati ex stelle delle scuole superiori: Brick Pollitt in Cat on a Hot Tin Roof [Il gatto sul tetto che scotta] di Tennessee Williams, il Coniglio Angstrom di John Updike, Biff Loman di Arthur Miller e, molto più tardi, lo “svedese” Levov in American Pastoral [Pastorale americana] di Philip Roth. Gli ex pugili interpretati da Marlon Brando in A Streetcar Named Desire [Un tram chiamato desiderio] e On the Waterfront [Fronte del porto] appartengono alla medesima tipologia. Un tempo eroi all-American, rappresentano sogni americani infranti.

La letteratura sportiva nel vecchio continente: la Gran Bretagna

Tuttavia in Europa una rigida divisione aveva separato per lungo tempo la cultura “alta” da quella “bassa”. L’opera rappresentava l’alta cultura e lo sport la bassa – e pertanto non era ritenuto degno di seria considerazione da parte degli scrittori. I britannici scrivevano libri sullo sport. Nel mio piccolo ufficio a Parigi, ho una biblioteca sportiva che è sicuramente una delle migliori in Europa. È stipata di centinaia di libri raccolti sin dagli anni ’30 da mio nonno, mio padre e da me.

Fino agli anni ’90, però, pochi di questi libri avevano grandi ambizioni. La maggior parte erano semplici autobiografie di sportivi, o resoconti affannosi di discipline sportive morte da tempo, o piacevole prosa leggera (di solito sul cricket) come quella di AG Macdonell. Solo pochissimi scrittori hanno prodotto “letteratura proletaria” ambientata nello sport – in particolare, il racconto breve di Alan Sillitoe The Loneliness of the Long Distance Runner [La solitudine del maratoneta] (1959) e il romanzo di David Storey This Sporting Life [Il campione] (1960), ambientato in una lega di rugby.

Storicamente, il cricket era il gioco che gli scrittori inglesi apprendevano alla scuola pubblica. In un sabato d’estate a Londra intorno al 1900, ci si sarebbe potuti ritrovare a bordo campo a guardare Arthur Conan Doyle (creatore di Sherlock Holmes), A.A. Milne (di Winnie the Pooh), P.G. Wodehouse (di Jeeves), E.W. Hornung (di Raffles) e J.M. Barrie (di Peter Pan, nonché del cricket club Allahakbarries) giocare nelle squadre che si alternavano. La conversazione all’ora del the al di là dei sandwich col cetriolo doveva essere passabile. Decenni più tardi, Harold Pinter e Tom Stoppard giocavano insieme su quegli stessi campi di Londra.

Eppure nessuno di loro ha scritto di cricket in modo serio. Né lo ha fatto Samuel Beckett, un patito di cricket per tutta la durata della sua vita che giocò due partite di prima classe con l’università di Dublino. Il filosofo AJ Ayer scrisse dei resoconti su delle partita di calcio per “The Observer” negli anni ’50, ma sembra che abbia considerato questa cosa come un diversivo dalla riflessione filosofica. La sua frase di apertura preferita: “La partita è iniziata alle 3:00 pm esatte”.

La maggior parte dei libri migliori relativi allo sport britannico prima degli anni ’90 erano di autori stranieri. C.L.R. James nativo di Trinidad ha mostrato in Beyond a Boundary [Giochi senza frontiere] (1963) che il cricket poteva fornire lumi su razza e impero. Only A Game? (1976) del calciatore irlandese Eamon Dunphy rimane probabilmente il miglior resoconto sul calcio inglese da parte di un giocatore. A Handful of Summers (1978), del tennista sudafricano Gordon Forbes, è un ricordo imperituro della giovinezza. (la letteratura sportiva è, prevalentemente, un genere maschile).
 
Febbre da calcio tra i lettori

C’è voluto un neozelandese per portare la letteratura sportiva britannica alla maturità. Nel 1985 John Gaustad aprì dissennatamente una libreria sportiva in Caxton Walk, piuttosto lontana da Charing Cross Road a Londra (la strada delle librerie). “Ho iniziato con un unico dipendente”, mi disse una volta, “un uomo con un sogno”. Stranamente, Sportspages funzionò. Presto Gaustad collaborò con la compagnia di agenzie ippiche William Hill al fine di creare il premio letterario, che per anni è stato allestito nel suo piccolo negozio, ora chiuso. La letteratura sul calcio, lo sport preferito in Gran Bretagna, decollò.

Fever Pitch [Febbre a 90°] di Nick Hornby le memorie di un tifoso di calcio, vincitore del premio William Hill nel 1992, è ritenuta di solito un’opera pionieristica del genere.

Tuttavia, Gaustad punta su All Played Out di Pete Davies (1990), che racconta il cammino dell’Inghilterra nella Coppa del Mondo di quell’anno. “Davies fu una sorta di Giovanni Battista per Hornby”, ha detto Gaustad. “Il suo libro ha contribuito a definire cosa fosse Sportspages: appassionati impegnati a discutere chiassosamente e in maniera interessante del gioco che amavano. Era come una voce che nessuno aveva mai udito”.

Nel 1991, quando ho fatto il giro degli editori a Londra per pubblicizzare il mio primo libro, che riguardava il significato del calcio in tutto il mondo, è stato solo grazie a Davies che la frase “libro sul calcio” non fosse più considerata un ossimoro. La copia di All Played Out oggi nella mia biblioteca è quella che mi ha restituito allora un editore, cercando di spiegare cosa si augurava che avrei fatto. Un altro editore coraggioso mi diede un contratto. Nel 1992 presi un treno in coincidenza con il battello per il continente con una macchina da scrivere nello zaino.

L’esplosione della letteratura sportiva

Proprio in quel momento, fece la propria comparsa Fever Pitch. Un libro assolutamente originale, prende in esame l’esperienza apparentemente insignificante relativa all’essere un appassionato di calcio. Esso utilizza il calcio per far luce sulla vita di un uomo, ed è anche un’esilarante storia sociale della Gran Bretagna dagli anni ’60 ai ’90. Almeno in parte, il libro fu ispirato da ore di lettura delle fanzine di Sportspages. “Gli editori possono essersi rifiutati di accettare il fatto che ci fosse una simile bestia quale il tifoso di calcio letterato”, ha scritto in seguito Hornby, “ma ve n’erano sempre a centinaia in Caxton Walk, pertanto sapevo per chi stessi scrivendo”.

Essenziale, per giunta, che Hornby amasse la letteratura americana. Il suo primo libro, pubblicato poco prima di Fever Pitch, era una raccolta di saggi intitolata Contemporary American Fiction. Hornby sapeva cosa avrebbero potuto fare con lo sport dei buoni scrittori. In particolare, aveva letto A Fan’s Notes [Appunti di un tifoso] di Frederick Exley, la biografia romanzata di un ubriacone che entra ed esce dagli ospedali psichiatrici la cui vita acquista significato dal seguire la squadra di football dei New York Giants. Nella letteratura sportiva, dobbiamo tutto all’imperialismo culturale americano.

Fever Pitch scatenò un diluvio di libri britannici sul calcio – secondo una stima, maggiore nel Regno Unito che in tutti gli altri paesi messi insieme. Alcuni scrittori, sulla scia di Hornby, utilizzarono il calcio per analizzare la propria vita. Altri, come Futebol di Alex Bellos, sul Brasile, o Brilliant Orange di David Winner, sull’Olanda, utilizzarono il calcio per interpretare un intero paese. In seguito gli scrittori considerarono il calcio come una sorta di madeleine proustiana per rivisitare una qualche epoca passata, spesso la Gran Bretagna degli anni ’70. (C’è un intero sottogenere letterario dedicato a Brian Clough, il grande manager del Nottingham Forest).

I nuovi libri sul calcio furono accolti con sospetto. Alcuni critici ritenevano che “scrittori” dal linguaggio ampolloso dovessero restare fuori da quello che tradizionalmente era un gioco della classe lavoratrice. Questi critici dicevano: “Il calcio è fatto da 22 uomini in pantaloncini che corrono qua e là dando calci a un pezzo di plastica. Non è un soggetto adatto alla letteratura”.

Tale argomento è una sciocchezza. Si potrebbe ugualmente sostenere che la scrittura consista solamente nell’utilizzare pezzi di plastica, che suonare il pianoforte consti unicamente nel percuotere pezzi di avorio, e così via. Una qualsiasi cosa diviene un soggetto adatto per la letteratura qualora ispiri della buona letteratura. Il calcio lo ha fatto. A volte i libri sono persino meglio di quanto il calcio meriti.

La diffusione sul continente

Presto il nuovo genere raggiunse l’Europa continentale. Nel 1994 due olandesi che avevano letto My Favourite Year [Il mio anno preferito], una raccolta di scritti sul calcio a cura di Hornby, avviarono la pubblicazione di una rivista letteraria sul calcio chiamata “Hard Gras”. Nel 1997, nell’era della bolla della letteratura calcistica, quando gli editori erano disposti a buttar soldi per qualsiasi libro sul calcio come se si trattasse di un mutuo subprime, ne ho lanciato una imitazione britannica. Essa fallì, tuttavia The Blizzard di Jonathan Wilson da allora ha fatto funzionare l’idea in Gran Bretagna. Altre riviste letterarie di argomento calcistico prosperano altrove: “Offside” in Svezia, “Josimar” in Norvegia, “Panenka” in Spagna, “Howler” negli Stati Uniti, mentre “Hard Gras” è diventata la rivista letteraria più venduta nella storia olandese. Recentemente il genere ha persino raggiunto l’altezzosa Francia. L’altro giorno uno scrittore francese ha consultato la mia biblioteca per prendere in prestito alcuni libri. Adesso è a Rio de Janeiro alla ricerca di un libro sul calcio brasiliano.

Questo tipo di approfondimento nella scrittura sportiva si è reso maggiormente necessario in quanto il quotidiano giornalismo sportivo è divenuto più difficile. Dopo i primi anni ’90, allorché i canali televisivi via satellite hanno iniziato a trasmettere sport incessantemente, giornali e siti internet hanno ampliato la loro copertura sportiva. Molti uomini la divorano. Per citare Andrew Card, capo dello staff dell’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush: “Egli non si sofferma sul giornale, ma legge la pagina sportiva ogni giorno” Noam Chomsky, il celebre intellettuale politico americano, sostiene che qualsiasi “saggio critico serio sui media” deve prendere in esame lo sport e le soap opera: “Questi sono i generi di cose che occupano la maggior parte dei media – la gran parte di essi non sta approntando le ultime notizie su El Salvador per persone politicamente avvedute, ciò significa deviare la gente comune dalle cose che sono davvero importanti”.

Il giornalismo sportivo muta forma

Tuttavia, nel momento in cui le società sportive si sono arricchite grazie ai nuovi introiti della TV, sono divenute più esperte dei media. Ora controllano e limitano il giornalismo sportivo.

I giocatori vengono sottoposti a “media training”, gli addetti stampa censurano le interviste e i giornalisti sportivi sono rinchiusi all’interno di quei pseudo-eventi artefatti che sono le conferenze stampa. Nell’ultimo grande romanzo americano ambientato nello sport, Billy Lynn’s Long Halftime Walk [È il tuo giorno, Billy Lynn!] di Ben Fountain, i giornalisti assillano Norm Oglesby, il fittizio proprietario della squadra di football dei Dallas Cowboys, in merito ai suoi piani per spostare lo stadio:

Alcuni dei media continuano a parlare dello stadio, ma Norm li ignora. Billy comincia ad afferrare il senso della dinamica in atto, una equazione di potere quale quella del CEO di una gigantesca società faccia a faccia con il dischetto dell’orinatoio egli studia molto attentamente in qual modo questo sia intriso del proprio possente effluvio personale. Il lavoro di Norm consiste nel massimizzare il valore del marchio Cowboys, e il lavoro dei media è quello di assorbire ogni goccia, ogni schizzo e ogni spruzzo del PR che egli invia sulla loro strada.

E ciò che facciamo è assorbire tutto ciò. Al campionato europeo di calcio Euro 2012, ad esempio, l’allenatore dell’Inghilterra Roy Hodgson e il capitano Steven Gerrard hanno tenuto una conferenza stampa a Donetsk, in Ucraina. Con l’industria dei media britannici in crisi, diverse centinaia di noi giornalisti si radunarono ai margini dell’Europa per ascoltare due uomini non dire assolutamente nulla per 30 minuti.

La sera successiva abbiamo scritto i nostri resoconti sulla partita. Questi avevano importanza ai tempi in cui meno tifosi che mai assistevano alle partite. Quando un annunciatore della radio del periodo dell’anteguerra di nome Ronald Reagan era solito sedersi in una cabina radiofonica in Iowa, fingendo di essere a Chicago a commentare le partite di baseball dei Cubs (che in realtà seguiva attraverso resoconti via telegrafo), era l’unico collegamento tra l’ascoltatore e l’azione.

Sempre più in profondità: biografie e autobiografie

Tuttavia al giorno d’oggi la gente può vedere ogni partita in TV. I resoconti delle partite non servono più a molto. È necessaria una scrittura che vada maggiormente in profondità. Ed ora, da ultimo, la stiamo avendo da parte degli atleti. I giocatori di Cricket – molti dei quali appartengono alla media-alta borghesia – hanno sempre scritto delle buone autobiografie. Tuttavia, i calciatori provenienti dal ceto operaio raramente lo hanno fatto. Venti anni fa, un editore mi disse che aveva rifiutato un’autobiografia di David Platt, allora capitano dell’Inghilterra, perché ne avrebbe venduto solo 3000 copie e sarebbe stata noiosa.

D’un tratto stanno spuntando come funghi delle buone autobiografie sul calcio. C’è una spiegazione economica. Le persone nel mondo del calcio oggi sono abbastanza ricche da non aver più bisogno di mettere in circolazione cose inconsistenti scritte da altri per guadagnare dei soldi. Essi pertanto si prendono la briga di scrivere dei libri soltanto se hanno qualcosa da dire. Sir Alex Ferguson, il manager del Manchester United ritiratosi di recente, che nel 1999 scrisse 250.000 parole di proprio pugno per la sua prima autobiografia, ne ha appena pubblicata un’altra.

Dennis Bergkamp ha pubblicato una sorta di biografia di un’artista, una “non-autobiografia” intitolata Stillness and Speed. E il magnifico racconto di un immigrato svedese di Zlatan Ibrahimovic, che ha venduto più di un milione di copie in tutta Europa, ed è stato nella rosa dei candidati per il premio William Hill.

Tutti possono sbagliare

I giudici del William Hill possono sbagliare. Nel 2000, Lance Armstrong vinse con la sua autobiografia sul ciclismo It’s Not About the Bike [Non solo ciclismo. Il mio ritorno alla vita]. Quando in seguito è emerso che la carriera di Armstrong era tutta fondata sul doping, questi fu spogliato dei suoi sette titoli al Tour de France. Tuttavia, sinora ha mantenuto il proprio premio William Hill.

Taluni altri vincitori non hanno affatto retto il confronto con Hornby comunque. Tuttavia sono riconoscente agli errori dei giudici. Nel 1993 io e la mia macchina da scrivere ritornammo a Londra e, un anno più tardi, il mio libro Football Against the Enemy fu candidato al premio. Il FT mi obbligava allora a frequentare un terribile corso di giornalismo nella sperduta città di Hastings, con una retribuzione di circa 150 sterline a settimana. Supplicai gli insegnanti per ottenere un giorno libero alfine di partecipare alla cerimonia da Sportspages a Londra. Sebbene molto riluttanti, mi lasciarono andare. Appena la cerimonia ebbe inizio, mi dissi: “Tu non vincerai, non vincerai”. Ho vinto. Il premio era di 3500 sterline. E non sarebbe potuto accadere a un uomo più povero. Ho trascorso il pomeriggio in un pub nelle vicinanze, con Hornby ed un altro dei miei eroi, il giornalista sportivo Hugh McIlvanney. Poi ho preso l’ultimo treno per Hastings, ho trovato i miei compagni al pub, ho messo 40 sterline dietro il bancone e per la prima volta nella mia vita ho comprato da bere per tutta la notte.

Il vincitore del 2013 riceverà 25.000.sterline Ciò implica che il genere dei libri sportivi ha accresciuto di sette volte il suo status in venti anni, il che appare abbastanza corretto.

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