“Le previsioni sul petrolio andrebbero osservate con gli stessi accorgimenti che si adottano per leggere le polizze assicurative: solo in fondo, ma proprio in fondo, è esplicitato che ci troviamo di fronte ad un conflitto d’interesse. E l’interesse è quello di condizionare i comportamenti sul mercato”. Fatta questa doverosa premessa, Alberto Clô, ex ministro, economista, coordinatore scientifico del Rie e uno dei massimi esperti italiani di energia, analizza gli scenari dell’energia in tumultuoso cambiamento: il greggio sprofondato a 35 dollari, i danni o i benefici che ciò arreca all’economia, la crescita delle rinnovabili, la sfida della lotta ai cambiamenti climatici e alla povertà energetica che ancora affligge miliardi di persone sul pianeta. Come conciliare tutto questo? Cosa ci riserverà il 2016 e quale giudizio è possibile dare su come ha operato il governo Renzi su questi temi? Ecco l’intervista di Clò a First online.
FIRSTonline – Professore, Goldman Sachs prevede che il petrolio possa addirittura sprofondare a 20 dollari il barile il prossimo anno prima di ritrovare un po’ di equilibrio nel quarto trimestre 2016. L’Opec stima un barile a 70 dollari nell’orizzonte 2020. Chi ha ragione?
CLO’ – “Come dicevamo all’inizio non possiamo ignorare il conflitto d’interesse di chi, come Goldman Sachs, è anche uno dei principali operatori sui mercati finanziari del petrolio. Per valutare la credibilità delle previsioni è utile guardare all’indietro e verificare la capacità dimostrata in passato quantomeno nel cogliere i trend. Il discorso vale per Goldman ma anche per l’Agenzia internazionale dell’Energia (Aie) di Parigi che non ha mai azzeccato una previsione in 10 anni: nel 2008 vedeva la rinascita nucleare, l’anno successivo il Golden Age del gas e non ha colto l’unico fatto rivoluzionario, la produzione shale americana. Guardiamo allora a cosa è successo in quest’ ultimo anno”.
FIRSTonline – Da dove partiamo?
CLO’ – “Da giugno scorso. Abbiamo assistito ad un imprevisto, ma non imprevedibile, crollo dei prezzi del petrolio. Tuttavia l’industria petrolifera ha retto bene: tutti hanno sofferto ma meno di quanto ci si potesse aspettare. Non c’è stato panico, come invece è successo in passato, la finanza ha continuato a sostenere l’industria petrolifera. La produzione non solo ha tenuto ma è anzi aumentata di 2,5 milioni di barili/giorno. L’aumento è arrivato da Arabia Saudita, Iraq, Russia. Negli Usa la dirompente sovraccapacità produttiva ha retto fino a metà 2015 poi la produzione ha iniziato a flettere e infine ha perso 400 mila barili. La domanda mondiale, nonostante il calo della domanda cinese, l’incremento dell’efficienza energetica e il calo dei sussidi, è aumentata poco meno di 2 milioni di barili: è inferiore alle attese ma non è poco”.
FIRSTonline – Quali sono gli altri fattori che hanno segnato l’industria petrolifera nel 2015 a suo giudizio?
CLO’ – “L’altro fatto di grande valore è la capacità di resilienza al calo dei prezzi dimostrata dalle imprese del settore che hanno molto migliorato l’efficienza e la produttività. Il break even che proprio Goldman Sachs aveva un tempo stimato a 100 dollari, è sceso a 80-85 dollari. E ciò ha ridotto la sofferenza del settore”.
FIRSTonline – In quale direzione ci porterà il 2016: crollo o ripresa dei prezzi?
CLO’ – “Gli elementi di incertezza purtroppo non mancano. Il primo: la domanda di energia consoliderà la tendenza positiva già manifestata lo scorso anno? Dipenderà dalla crescita economia dell’Asia e del mondo occidentale”.
FIRSTonline – Proprio nella conferenza stampa di fine anno il premier Renzi, pochi giorni fa, ha sostenuto che il petrolio a 35 dollari fa male all’economia e all’Eni. Lei è d’accordo?
CLO’ – “Se parliamo dell’Eni, sì. E’ discutibile, invece, che i bassi corsi del greggio facciano male all’economia. Negli anni scorsi, con il petrolio alle stelle, il surplus commerciale estero dell’Italia era azzerato dal costo pagato per l’acquisto di’energia. Quest’anno la bolletta energetica scenderà di circa 10 miliardi. Sui 27-28 miliardi di avanzo commerciale previsto, è un bel guadagno non le pare? Inoltre scendono i prezzi dell’elettricità e del gas. In sostanza il petrolio si conferma ancora il pivot dei sistemi energetici. Dobbiamo poi aspettarci una ripresa della domanda Usa, sostenuta anche dal rafforzamento del dollaro”.
FIRSTonline – La conclusione?
CLO’ – “La mia idea è che ancora nel 2016 permarrà un surplus di offerta che andrà gradualmente esaurendosi. Nella seconda metà dell’anno i prezzi potrebbero riprendere a salire. E questo esclude l’ipotesi ventilata da Goldman Sachs del petrolio a 20 dollari. Quanto riprenderanno i prezzi? Non si tornerà ai livelli pre-crisi ma la stima Opec di un barile intorno ai 60-70 dollari nei prossimi anni mi sembra realistica”.
FIRSTonline – Il tracollo dei prezzi del petrolio ha spazzato via i nuovi investimenti. Ne pagheremo le conseguenze prima o poi?
CLO’ – “Con il petrolio a 120 dollari le imprese petrolifere avevano adottato modelli di business un po’ scriteriati: progetti faraonici, di frontiera, investimenti a costi elevatissimi. Il drastico taglio sui nuovi investimenti, valutato circa 200 miliardi, le spingerà a trovare un modello più sostenibile: costi più bassi e maggiore efficienza. La sostenibilità di lungo periodo riporta l’interesse sul Medio Oriente – Arabia Saudita, Iran e Iraq dove i costi di produzione sono inferiori – e l’Africa. Non è un caso che mentre gli altri tagliavano gli investimenti , i sauditi li abbiano invece aumentati per essere pronti con capacità addizionale in offerta, quando i prezzi risaliranno”.
FIRSTonline – Eni, allora, è ben posizionata: con la scoperta di Zohr in Egitto e con le produzioni in Africa può giocare bene le sue carte…
CLO’ – “Eni è il primo operatore in Africa e ha avuto successi minerari che la collocano in ottima posizione. Diversamente da altre grandi major ha avuto dei tassi di rimpiazzo delle riserve superiori al 100%. E’ l’unica, tra le grandi compagnie ad aver ridotto gli investimenti ma anche il dividendo. Nessun altro lo ha fatto e voglio vedere se riusciranno a mantenere il pay out promesso anche nel 2016”.
FIRSTonline – L’accelerazione sulle rinnovabili, la spinta all’efficienza energetica non sono altrettante mine per il settore petrolifero e la ripresa dei prezzi?
CLO’ – “Mi sta chiedendo se accadrà con le Big Oil quel che è successo per le Big Tobacco, se saranno destinate ad un progressivo declino? C’è per entrambi un problema di accettazione sociale e la sfida non è solo industriale ma dipende anche dalla domanda che muove le opinioni pubbliche. Importante sarà vedere i fatti che seguiranno al Cop21 di Parigi. Proprio in quei giorni l’Aie ha diffuso le sue previsioni: nel 2040 le fonti rinnovabili rappresenteranno solo il 5% dell’energia mondiale mentre le fonti fossili garantiranno il 75-80% confermandosi il perno del sistema energetico mondiale. E tanto più lo saranno se si vuole combattere la povertà energetica. Oggi ancora 2,5 miliardi di persone non hanno accesso all’energia per sopravvivere. La transizione energetica viene prospettata in modo utopico, irrealistico. A questo proposito Parigi non ha dato risposte: dove trovare le risorse? Dal vertice non è uscito nulla di vincolante, non mi pare che sia una grande svolta storica”.
FIRSTonline – Venendo all’Italia, il governo Renzi ha da poco tracciato il suo bilancio di fine anno. Sul tema dell’energia secondo lei ha superato l’esame?
CLO’ – “Ho apprezzato che sia stato il primo governo, dopo molti anni, ad aver cambiato registro nei confronti dell’Eni. Renzi ha sostenuto quella che ritengo essere la più grande impresa italiana, la sola in grado di assicurare all’Italia un ruolo primario di politica internazionale e ha ribaltato l’impostazione precedente che ne faceva un problema anziché un’opportunità. Per il resto, sull’abolizione del regime di tutela per i clienti elettrici e del gas sarei stato più cauto perché non vorrei si arrivasse ad un aumento generalizzato dei prezzi. Mi sarei invece aspettato una maggior presa di posizione con l’Europa sull’Unione energetica che finora si è rivelata un vero fallimento, e non solo sul Nord Stream. Infine, resta aperto in questo settore il problema di come conciliare Stato e Mercato: sarebbe importante riprendere una programmazione energetica soft a cui operatori e istituzioni possano fare riferimento”.