Le vicende bancarie che scuotono il paese richiedono di riprendere rapidamente il controllo della situazione per contrastare gli effetti sul generale clima di fiducia, ma necessitano anche di ripensare il modello di business della banca locale, andando oltre le riforme di governance, per quanto necessarie, ma ancora in via di completamento. Fondato sul postulato sui vantaggi della vicinanza alle comunità socio-economiche di riferimento, il paradigma del localismo bancario ha visto via via rafforzare i caratteri di autoreferenzialita’, perdendo, in troppe circostanze, il controllo dei rischi, dei costi operativi e dei conflitti di interesse. Il gigantismo che si è impadronito per anni delle banche del territorio e dei loro mentori locali e nazionali, trascinandole in una dimensione non loro propria, impone scelte, anche radicali, di riconfigurazione industriale (dal consolidamento al ridimensionamento) e l’abbandono di agiografiche esaltazioni. Proviamo a dare qui alcune indicazioni per la trasformazione dell’attività, avendo a riferimento il sistema del credito cooperativo e delle piccole banche popolari e casse di risparmio.
Il primo argomento attiene alla necessità di contrastare l’impoverimento, assoluto e relativo, nell’offerta di prodotti e servizi bancari, registratosi negli ultimi anni, nonostante l’accresciuta estensione delle reti distributive. Generalmente, la piccola banca locale continua a soddisfare una quota minoritaria dei fabbisogni finanziari complessivi sia della propria clientela di origine sia di quella acquisita su mercati più grandi e complessi. Mutui e obbligazioni bancarie, complice il sostegno dato negli anni ante crisi al settore edilizio e immobiliare, hanno ancora un peso determinante negli attivi e nei passivi delle banche del territorio, mentre politiche monetarie espansive ne hanno via via azzerato i margini economici. È tuttora scarso l’apporto dei servizi di wealth management (dalla amministrazione alla gestione del risparmio, fino ai servizi fiduciari e di trust) e quelli di pagamento, per non parlare della consulenza finanziaria alla piccola impresa locale. In questi anni, quanti casi di dissesto finanziario si sarebbero potuti evitare grazie a imprenditori e manager più avveduti e a consulenti, anche bancari, più esperti?
La maggiore complessità insita in questi cambiamenti può essere governata per esempio tramite accordi con intermediari qualificati (quali banche private o altri operatori specializzati), per la messa a punto di prodotti adatti alla clientela tipica la quale, nel conservare doverosamente tratti antispeculativi, possa tuttavia accedere a più avanzate forme finanziarie di collocamento del risparmio e di assistenza professionale. Altro ambito da esplorare da parte della banca locale è quello delle aree sociali di esclusione finanziaria, aumentate con la crisi, e delle prospettive offerte dal collocamento di prodotti di base, come il conto di pagamento, divenuto strumento europeo. Lungo queste direttrici possono essere utilmente definite altre proposte di ampliamento dell’attività bancaria locale. Il secondo tema riguarda la necessità di cogliere a pieno i vantaggi della trasformazione digitale nei rapporti banca-cliente, sviluppi che non devono marcare differenziazioni rispetto alle banche più grandi, pena pesanti svantaggi competitivi.
Dematerializzazione dei processi, in specie di quelli a maggiore impatto, come il ciclo documentale della contrattualistica bancaria (dalla creazione, associata all’uso della firma elettronica avanzata, alla gestione, fino alla definitiva archiviazione), virtualizzazione di fasi ancora time consuming sia per la banca sia per il cliente (introducendo processi e tecnologia per l’identificazione e l’interlocuzione da remoto), nuove forme di presidio del territorio (con punti vendita di servizi bancari interamente automatizzati e integrati con altri servizi pubblici e privati) sono esempi di ammodernamento delle modalità distributive, che richiedono approcci strutturati piuttosto che occasionali scelte alla moda. Il terzo argomento emerge dal cosiddetto Fintech, cioè dall’unione di finanza e tecnologia che si declina nella digitalizzazione dei processi, nella diffusione di strumenti e servizi di pagamento sempre più evoluti, nonché nella creazione e nello sfruttamento di informazioni, secondo la logica del trattamento delle grandi basi dati (cosiddetti Big data e analytics), che si producono nei rapporti con la clientela. Le potenzialità di questo connubio, sostenuto da nuove forme di incentivazione (per tutte, il cosiddetto value-back, cioè il riconoscimento di benefici non solo economici a vantaggio dei fruitori di ampliate combinazioni di servizi) sono in grado di promuovere radicali sinergie e consistenti sviluppi operativi.
La questione da porre è se le banche locali possano avere un ruolo nella creazione di nuovi contesti di community, cioè di luoghi di incontro, anche virtuali, di consumatori e produttori, partendo proprio dalla expertise maturata in un contesto di più tradizionale prossimità. Se questa expertise potrà essere replicata anche per enucleare e integrare interessi omogenei di altre comunità, con le quali instaurare relazioni di interdipendenza, sarà possibile proiettare il localismo bancario in un nuovo scenario, promuovendolo a rinnovato fattore di sviluppo del territorio. Provando a esemplificare, la banca locale potrebbe prendere parte alla creazione di nuovi e arricchiti servizi territoriali, a vantaggio degli abitanti della propria area di operatività, fungendo da catalizzatore nell’accesso a circuiti commerciali, a piattaforme di assistenza professionale e di fornitura di servizi privati o di pubblica utilità. Nei confronti di bacini di utenza esterni alle aree più prossime, essa potrebbe sostenere iniziative per la promozione dell’immagine del territorio mediante la valorizzazione dei prodotti locali, dei beni artistici e culturali, del turismo.
Il contributo essenziale delle banche a queste nuove forme di social business è dato dalla possibilità sia di finanziare gli scambi su quelle piattaforme sia di gestire i sottostanti circuiti di pagamento, cui sarebbero anche associati meccanismi di redistribuzione del valore generato dal moltiplicarsi di queste interdipendenze. Porsi al centro di questo sistema di relazioni, significa mettere a frutto i vantaggi informativi che si generano progressivamente dalla amplificazione di reti a base territoriale. Si tratterebbe di replicare su scala ridotta, ma avvalendosi di approfondite conoscenze dei contesti locali, il business model promosso a livello più generale dalle grandi piattaforme internazionali di scambio, che iniziano a proporsi come banche, facendo leva sul connubio tra la funzione monetaria di abilitazione ai pagamenti e i patrimoni informativi che si accumulano sui propri social network. In conclusione, un approfondito dibattito sui temi qui proposti ci farebbe capire l’effettiva possibilità per la banca locale di sviluppare un rinnovato rapporto di servizio con il territorio, creando un contesto positivo di progettualità allineato con le più recenti tendenze in tema di smart cities e smart communities, tanto più importante quanto più in grado di contrapporsi ai temi logori di un localismo di maniera e soprattutto al clima di diffidenza nei confronti di questa importante configurazione dell’industria bancaria nazionale, dopo i noti e gravi episodi di fallimenti bancari di cui sono pieni i media di questa fine anno.