Con una certa periodicità si sviluppano in Italia improvvisi quanto vivaci dibattiti sulla esigenza di far crescere l’utilizzo dei pagamenti elettronici e in particolare delle carte di pagamento. È capitato di interessarsene al governo Monti, poi a quello Letta e ora al governo Renzi, che intende varare una serie di provvedimenti che vanno dall’innalzamento della soglia del contante alla possibilità di scegliere le carte per pagare caffè e giornali.
Invero questa seconda iniziativa è portata avanti da alcuni settori dell’opposizione parlamentare e permetterebbe di regolare con la moneta di plastica le micro transazioni, da 30 euro in giù. In sostanza, la proposta mira a controbilanciare l’introduzione della nuova soglia del contante a 3000 euro, tracciando le operazioni di basso importo, ove ciò venga richiesto dal titolare di una carta di pagamento. Al di là delle pur lodevoli intenzioni dei proponenti, l’obbligo di accettare le carte – come tanti altri obblighi gravanti sul settore – potrebbe avere effetti controproducenti che finirebbero per agevolare i pagamenti in contanti, in ragione delle caratteristiche strutturali dell’industria dei pagamenti in Italia, del tutto peculiari rispetto al contesto europeo e internazionale.
Vediamo quelle che a noi sembrano più significative, aiutandoci con le statistiche della BCE riferite al 2014, ultime disponibili (Payment Statistics, ottobre 2015). Nel nostro Paese, al bassissimo peso delle transazioni non in contante sia in numero complessivo che pro capite (79 contro 202 della media Ue), fa riscontro un’articolata rete di accesso ai circuiti di pagamento che va dal numero degli sportelli bancari e postali (45.000 circa), alle decine di migliaia di ATM dislocati in luoghi pubblici, al numero di carte in circolazione (quasi 100 milioni), per finire alla rete dei pos. Questa ultima è la più estesa tra i paesi europei, raggiungendo quasi 2 milioni di unità, contro 1,6 milioni della Francia e 1,7 del Regno Unito.
Come qualche anno fa osservava il compianto Tommaso Padoa-Schioppa, evidenziando questi eccessivi costi infrastrutturali, abbiamo creato stazioni e costruito binari, ma non siamo ancora capaci di farci viaggiare treni pieni di passeggeri. E la questione del perché non siamo stati ancora in grado di ridurre l’uso del contante nella nostra economia, accumulando anzi, nei confronti dei paesi nostri concorrenti, un ritardo maggiore rispetto a quello esistente all’inizio della lunga recessione resta il dilemma da sciogliere. E ciò, si osservi bene, è continuato ad accadere nonostante che il limite alle transazioni in contante sia stato posto già quattro anni fa a 1000 euro. Con il passaggio alla Sepa questa discrasia è diventata ancora più evidente.
Siamo collegati con le stazioni di tutta Europa (le piattaforme e i circuiti di interoperabilità internazionale) e abbiamo nuovi treni veloci, sicuri e uguali per tutti i cittadini dell’Unione (rappresentati dalle operazioni Sepa compliant, cioè dai bonifici, dagli addebiti diretti e dalle operazioni con carte), ma i viaggiatori sono ancora molto pochi. Fuor di metafora, la nostra economia ha prodotto nel 2014 meno di cinque miliardi di transazioni, contro i quasi 20 miliardi relativi a ciascuna delle maggiori economie europee. A fronte del 12% del Pil europeo, pesiamo solo il 4% in termini di transazioni diverse dal contante. Le implicazioni economiche e di mercato sono evidenti ed aiutano a capire l’inutilità di interventi dirigistici sui pagamenti elettronici e in particolare sulle carte.
Il numero medio di transazioni effettuato quotidianamente sui pos italiani è pari soltanto a 3, per un valore medio intorno ai 70 euro. Siccome le commissioni che restano a carico dei commercianti, sono, in media, prossime al 2% del valore di ogni operazione, il costo di una transazione media con carta è stimabile tra i 2 e i 3 euro, quale sintesi di costi fissi di installazione e di collegamento dei pos e dei costi variabili di gestione dei medesimi e di quelli collegati alla singola operazione. La convenienza per operazioni inferiori a 30 euro, con commissione fissata per legge intorno a pochi millesimi, è dunque inesistente e il commerciante sarebbe tenuto ad effettuarla in perdita, se diventasse illegale convincere il cliente a pagare in contante.
Si possono facilmente immaginare gli aggiramenti di una norma siffatta, con il presumibile ridotto effetto sull’esito atteso dalle misure in corso di costruzione nella Legge di stabilità. In poche parole, rovescerebbe l’essenza del tourist test proposto anni addietro da Rochet e da Tirole, quest’ultimo Premio Nobel 2014 proprio per gli studi sull’economia dei sistemi e degli strumenti di pagamento. Con tale test, si determinava il livello della commissione per l’accettazione della carta da parte del commerciante, che doveva rispettare la condizione di restare strutturalmente più bassa del costo del contante.
In pratica, proprio in contrasto con quel test costruito allo scopo di favorire il pagamento con carte, le tante distorsioni del nostro mercato fanno sì che per il commerciante resti molto più conveniente ricevere pagamenti in contante rispetto a quelli con la carta. È questo a nostro avviso il vero fattore disincentivante dello sviluppo delle transazioni elettroniche, del tutto indipendente da attitudini più o meno spiccate alla evasione fiscale.
In aggiunta va considerato che, a partire da questo mese, i minori margini rivenienti dall’abbassamento, intervenuto per regolamento europeo approvato nel periodo di presidenza italiana dell’Unione, delle cosiddette interchange fee, sarà con tutta probabilità compensata da parte degli intermediari emittenti carte, innalzando altri costi a carico dell’utente finale, quali i canoni annui connessi con la detenzione della carta. Si veda sul tema l’articolo su Firstonline di qualche giorno fa.
Infatti l’impatto non sarà uguale per tutti i paesi, risultando più favorevole per quelli che lo potranno spalmare su un numero maggiore di transazioni. Non è da escludere che per noi il divario con gli altri sistemi si allarghi ancora di più. Per concludere, ribadiamo la nostra decisa contrarietà nei confronti di interventi dirigistici, ritenendo che il mercato possa svilupparsi solo trovando le proprie convenienze economiche e ragioni di essere, senza che i tanti obblighi dei controllori rischino di provocare effetti opposti a quelli desiderati. Il mercato dei pagamenti italiano è ancora troppo asfittico per sopportare policy, i cui costi non possano essere diluiti nella stessa misura dei sistemi nostri concorrenti, caratterizzati da ben altre dimensioni del mercato delle operazioni diverse dal contante.