Senato, oggi è il giorno della riforma. Si vota questo pomeriggio il testo complessivo del Disegno di legge (Ddl) Boschi che ridisegna il ruolo di Palazzo Madama e cancella il bicameralismo paritario, modificando un punto centrale della Costituzione dopo quasi 70 anni.
“L’Italia – dice il premier Matteo Renzi – può essere meglio della Germania: basta col piagnisteo. Noi facciamo le riforme, con un grande abbraccio ai gufi e ai loro derivati”.
Tutti i riflettori sono dunque puntati su Palazzo Madama dove le opposizioni però potrebbero non votare il testo pur restando in aula.
Se come si prevede, tutto filerà liscio per la maggioranza trainata dal Pd, la riforma del Senato avrà un iter in discesa. Tornerà subito alla Camera che non introdurrà modifiche, secondo le intese di maggioranza, e approverà si pensa entro Natale. A quel punto, come prevede la Costituzione, il testo del Ddl Boschi sarà nuovamente sottoposto al Senato e alla Camera per la seconda e definitiva lettura. In questo secondo passaggio non possono essere introdotte modifiche ma va comunque rivotato il testo. In fondo al percorso c’è il referendum popolare atteso per l’autunno 2016 ma già da stasera il premier Matteo Renzi e il ministro per le riforme Maria Elena Boschi, che lega il suo nome al provvedimento, potranno festeggiare e a buon titolo sostenere di essere riusciti a sbloccare un altro tassello fondamentale sulla via del cambiamento istituzionale dell’Italia. Non è escluso che al momento delle dichiarazioni di voto non voglia parlare anche il presidente emerito Giorgio Napolitano che ha sostenuto la via delle riforme e quella del Senato in particolare nel corso del suo doppio settennato.
Le opposizioni stanno in queste ore intensificando i contatti alla ricerca di una linea comune. Obiettivo non facile. Al momento, l’intento sembra essere quello di restare in aula ma senza votare la riforma. L’importante, ha detto Silvio Berlusconi che riunirà alle 12 i supoi parlamentari, è far vedere che la riforma è stata votata dalla maggioranza con il sostegno di Denis Verdini e dei suoi 16 parlamentari. Non tutti in Fi sono però d’accordo su questa linea e c’è chi preferirebbe uscire dall’aula così come c’è chi ha già detto – come il senatore Riccardo Villari – che la riforma la voterà. La Lega è già uscita dall’aula e non è chiaro se rientrerà mentre è ancora da mettere a fuoco la posizione del M5s.
Ma cosa cambia con la nuova legge? Rispetto alla versione iniziale, il testo è cambiato nel corso del dibattito parlamentare e gli ultimi ritocchi – in particolare sulla semi-elettività dei senatori – sono frutto dell’accordo che ha riportato la pace nel Pd. Avremo un Senato composto da sindaci e consiglieri regionali, con funzioni limitate, un’unica Camera che legifera e vota la fiducia. Più poteri al governo, che potrà chiedere tempi certi per l’approvazione dei suoi disegni di legge.
Oggi Camera e Senato hanno pari competenze e ogni provvedimento legislativo deve essere approvato dall’una e dall’altra e tornare al punto di partenza qualora nel corso delle due “letture” siano state introdotte modifiche. Entrambe votano la fiducia al governo. E’ il cosiddetto bicameralismo perfetto.
D’ora in poi invece la Camera avrà delle prerogative esclusive. Sarà la sola a votare la fiducia al governo e a votare le leggi.
Il Senato non voterà più le leggi e la fiducia al governo. Le sue funzioni saranno di raccordo tra lo Stato e le Regioni. Per questa ragione i suoi membri, che scendono da 321 a 100, saranno scelti tra consiglieri regionali (74) e sindaci (21). Inoltre, 5 senatori saranno nominati dal presidente della Repubblica.
Un tassello particolarmente delicato, che ha poi portato al lodo pacificatore all’interno del Pd, riguarda le modalità di elezione dei senatori. La formula votata in parlamento prevede che i senatori saranno scelti dai consiglieri regionali che dovranno però tenere conto delle intenzioni manifestate dagli elettori. In pratica, durante le elezioni regionali, i cittadini esprimeranno la loro preferenza, indicando chi vorranno mandare in Senato (una legge ordinaria, ancora da approvare, regolerà questo meccanismo). Ma poi saranno i consigli regionali ad eleggere i futuri senatori, in proporzione alla loro composizione politica.
Infine, il governo godrà di una “corsia preferenziale”: su provvedimenti di particolare rilevanza potrà chiedere alla Camera di esprimersi entro 70 giorni, prolungabili di altri 15 nel caso di leggi di particolare complessità.