Qualcosa sta cambiando nella storia di Uber: la app che consente a chiunque di dare un passaggio in macchina dietro compenso, facendo da anni concorrenza sleale – in particolare con il servizio UberPOP, secondo quanto stabilito da più di un tribunale – ai taxi di mezzo mondo, è sempre più con le spalle al muro. Fondata nel 2009 a San Francisco da Travis Kalanick, la società che ora vale oltre 50 miliardi di dollari e si appresta a un’Ipo da record a Wall Street, ha subito un duro colpo in Francia, dove per la prima volta di sua sponte – anche se dopo una settimana di violenti scontri con i tassisti e il fermo dei due manager di Uber Francia – ha deciso, dalle ore 20 di venerdì, di sospendere il servizio.
Il caso questa volta è ben diverso da quello italiano (e di altri Paesi in Europa e nel mondo, in alcuni dei quali però il servizio continua a essere svolto abusivamente), e si avvicina piuttosto a quello del Nevada, uno degli Stati Usa che per primo ha bloccato UberPOP, in maniera definitiva: mentre infatti in Italia la sospensione è temporanea ed è stata disposta da un Tribunale (nel caso specifico quello di Milano) in attesa di un intervento del governo o – ancora meglio – di un regolamento europeo, in Francia il governo ha già scelto ed è stata Uber a dover far ricorso. L’esecutivo guidato da Manuel Valls ha infatti vietato il servizio (con la famosa legge Thévenoud) e in attesa che la Corte Costituzionale francese si esprima sulla legittimità dell’intervento legislativo, UberPOP non sarà più accessibile per tutta l’estate.
La decisione della Consulta è dunque attesa per settembre, ma nel frattempo l’azienda californiana ha già gettato la spugna e mandato un segnale distensivo alle autorità francesi, dopo una settimana folle tra veri e propri scontri fisici con i tassisti e il fermo del Ceo francese Pierre-Dimitri Gore-Coty e del direttore generale Thibaud Simphal, entrambi rinviati a giudizio (anche loro saranno giudicati a settembre) per pratica commerciale ingannevole, complicità nell’esercizio abusivo della professione di tassista e irregolarità nel trattamento dei dati informatici. E’ stato proprio Simphal a dare la notizia del “cessate il fuoco” venerdì, facendo gioire non solo i tassisti ma anche lo stesso premier transalpino Manuel Valls, che ha ribadito che “questa professione ha bisogno di regole, non seguiamo la legge della giungla”.
Al di là della decisione di Uber e della dura repressione effettuata in questi giorni in Francia (un reparto specializzato della polizia è anche stato autorizzato a dare la caccia ai veicoli Uber, con facoltà di sequestrare automobile e cellulare dell’esercente), il dibattito resta comunque aperto. Come ha fatto notare l’europarlamentare dei Verdi Karima Delli in un brillante intervento su Les Echos, “portato all’estremo il modello Uber consentirebbe a chiunque di essere autista UberPOP al lunedì, di tosare l’erba del giardino del vicino al martedì, e di fare – per esempio – ripetizioni scolastiche al mercoledì. Senza statuto legale, senza protezione sociale né alcune pensione prevista, chiunque sarebbe ‘libero’ di lavorare 15 ore al giorno vendendosi al miglior offerente. Qui non si tratta di difendere le rendite dei tassisti, ma di dare tutele legali al lavoratore. Che senso ha abbattere un monopolio per dare spazio a un altro, per giunta fatto di impieghi precari?”.
Che l’opportunità professionale offerta da Uber sia precaria e spesso sottopagata, è storia nota pure in America, dove un’inchiesta del Wall Street Journal ha smentito i dati forniti dall’azienda su quanto guadagnano i suoi driver: 90.000 dollari l’anno sosteneva Uber, meno di 10 dollari l’ora al netto delle spese, ribatte la puntuale inchiesta del Wsj. “Molti autisti sono costretti a fare il doppio lavoro”, spiega ancora il quotidiano. Per non parlare della tutela del consumatore, che finisce sotto zero negli ormai tristemente noti episodi di stupri, rapine, rapimenti e soprattutto surge pricing (impennata dei prezzi approfittando di presunte situazioni particolari, come giorni festivi e maltempo), che non è dunque prerogativa dei “tassinari” nostrani.
Nonostante questo, i consumatori – o quantomeno la maggior parte di loro – sono dalla parte di Uber. “È davvero un giorno triste per i 500.000 francesi che utilizzano UberPOP”, scrive la società di Kalanick nel comunicato diffuso venerdì. E non ha tutti i torti: gli utenti del servizio di ride sharing, presente dal 2014 a Parigi e a ruota in altre 8 città francesi, sono effettivamente decuplicati nell’ultimo anno. Anche in Italia, le associazioni di Rete Consumatori Italia (Casa del Consumatore, Assoutenti e Codici) hanno deciso di intervenire davanti al Tribunale di Milano per sostenere la richiesta di Uber di poter continuare il servizio UberPOP. A scegliere da che parte stare, con i tassisti o con chi sfrutta l’applicazione, sono stati gli utenti che in maniera abbastanza consistente (oltre 143mila risposte) hanno partecipato al sondaggio indetto dalle associazioni, pubblicato il 25 giugno: quasi i due terzi di loro (65%) hanno votato “sì” alla domanda “Aiutiamo Uber?”.
Ecco perché la deputata europea Delli non auspica un divieto definitivo: “Vietare Uber? Sarebbe la peggiore delle soluzioni. Valls non vorrà mica fare come Erdogan in Turchia con Twitter? O come la Cina con Google? Il proibizionismo ha come unico effetto quello di creare un pericoloso mercato parallelo. Queste rivoluzioni tecnologiche sono inarrestabili, sta al legislatore leggerle per tempo e disciplinarle”. In Francia sarà in ogni caso una lunga estate senza Uber.