Un’ordinanza del Tribunale di Gorizia mostra il semaforo rosso agli stabilimenti Fincantieri di Monfalcone e sequestra quattro aree destinate alla cernita e allo stoccaggio di rifiuti, prodotti da scarti di lavorazione. Si tratta, in particolare, di aree dove vengono confluiti tutti i rifiuti derivanti dalle lavorazioni sulle navi effettuate per conto di Fincantieri da aziende in subappalto.
Il provvedimento del tribunale isontino arriva dopo la sentenza della Corte di Cassazione che si è espressa a favore della richiesta iniziale del pubblico ministero che, in principio, fu rigettata dal gip. Il procedimento fu aperto nel maggio 2013 e ha portato anche alla denuncia di sette persone, tra funzionari e dirigenti accusate di gestione illecita di rifiuti.
I carabinieri del Noe, che ieri hanno eseguito il provvedimento di sequestro delle aree, hanno precisato che l’attività produttiva negli stabilimenti di Monfalcone potrà riprendere nel momento in cui la situazione sarà regolarizzata e i rifiuti verranno portati fuori dalle aree. Il gruppo ha precisato che si tratta di scarti di lavorazione non nocivi per la salute.
L’azienda definisce “strategiche per il regolare svolgimento del ciclo produttivo” le aree sequestrate. E ha quindi deciso di sospendere le attività fermando 4500 persone fra dipendenti diretti e delle società in appalto coinvolte nel ciclo produttivo del cantiere di Monfalcone. Potranno lavorare solo gli addetti alla manutenzione degli impianti, circa 100 persone. Inoltre, afferma un comunicato, Fincantieri assumerà “con urgenza tutte le opportune iniziative in sede giudiziaria al fine di ottenere la revoca di detta misura, che considera particolarmente gravosa anche in ragione dei danni che il permanere degli effetti della stessa potrebbe provocare”.
Nel cantiere di Monfalcone sono in costruzione alcune grandi navi e pochi giorni fa erano iniziati i lavori per la Msc Seaside. Gli ordinativi a Monfalcone sono anche tornati a livello pre-crisi del 2007. Immediata la reazione del leader di Confindustria Giorgio Squinzi: “Direi che è un altro caso Ilva, un altro caso in cui sembra che non si voglia che le imprese operino in questo paese. E questa è una cosa particolarmente grave”.