Quando in piena campagna elettorale Matteo Renzi parlò per la prima volta di sindacato unico per evocare la positiva esperienza tedesca dove il sindacato non è rappresentato da decine di sigle, spesso insignificanti, ma da una sola voce, apriti cielo: visione da regime sovietico, fuori dal tempo e dalla storia, sindrome autoritaria e via di questo passo. Da Susanna Camusso e da Maurizio Landini, per non dire ovviamente della minoranza Pd che da tempo agisce da cinghia di trasmissione alla rovescia della Cgil, fu una pioggia di invettive e di insulti per il Premier. E quante parole infantili e ipocrite dietro la disputa lessicale tra sindacato “unico” e sindacato “unitario”, che poteva avere un senso una volta, ma non ne ha più nessuno oggi.
Ora il tempo sembra dare ragione a Renzi. Due personaggi insospettabili e sicuramente non renziani come l’ex premier Romano Prodi e il giovane segretario dei metalmeccanici della Fim-Cisl, Marco Bentivogli (figlio d’arte, essendo stato suo padre un suo predecessore negli anni 70 e stretto collaboratore di Pierre Carniti) spezzano apertamente una lancia a favore del sindacato unico nel senso ovvio e corretto del termine, cioè come un soggetto sociale che, pur con tutta la sua dialettica interna che nessuno vuol azzerare, sappia arrivare a sintesi e parlare con una voce sola al tavolo delle trattative.
Nel bel libro-intervista di Romano Prodi “Missione incompiuta” (Editori Laterza, 12 euro) curata dall’inviato dell’Espresso, Marco Damilano, il Professore sostiene apertamente, a pagina 30, che “se vogliamo un sindacato forte, serio, il pluralismo delle organizzazioni sindacali deve finire” e che “anche il tanto esalato modello tedesco, senza le scuole tecniche e un sindacato di riferimento, non sarebbe in grado di funzionare” perchè in realtà “il sindacato frammentato (Ndr. come c’è da noi) è ancora una volta un retaggio ideologico del passato, un’eredità della Guerra Fredda” e “un’ideologia che però si trasforma in una rete di interessi, patronati e apparati costosi e poco efficaci” e “uno dei mali di cui soffriamo”. La conclusione di Prodi non lascia adito a dubbi: “Un sindacato unico sarebbe più forte e più responsabilizzato: un grande guadagno per il Paese”.
Parole sacrosante che per avverarsi avrebbero però bisogno di essere accompagnate da un profondo rinnovamento di gruppi dirigenti e di politiche del sindacato che, così com’è, s’è ridotto a rappresentare solo i garantiti – pensionati e statali in testa – ma non sa più parlare ai giovani, ai precari e ai disoccupati riducendosi ad essere un soggetto sociale sempre più irrilevante.
Dopo molti mesi e anni di cupo conformismo, un segnale controcorrente molto interessante viene ora dal giovane segretario della Fim (i metalmeccanici della Cisl), Marco Bentivogli che, in un’intervista a “Il Foglio” di sabato, spezza coraggiosamente una lancia contro il sindacalismo politicante alla Camusso e alla Landini con l’obiettivo di rigenerare il sindacato oltre l’ideologia dell’intrattenimento. “Il conservatorismo e l’incapacità di generare idee nuove fanno sì che il sindacato – sostiene il leader della Fim – sia poco sentito dai lavoratori come organizzazione capace di riflettere l’esigenza di maggior protagonismo nel lavoro. Serve una sterzata, altrimenti è condannato al ruolo simbolico di opposizione antagonista o all’autoreferenzialità piegata alle esigenze dei capibastone”.
“Noi della Fim – aggiunge Bentivogli – abbiamo avviato attività in tre direttrici: scelte radicali, rifondative, rigeneratrici: tre “R”. L’obiettivo da raggiungere nel 2015 è un’unica federazione sindacale dell’industria ma “più in generale va fermata la proliferazione delle sigle, senza paletti preconcetti al sindacato unico come approdo”, ovviamente “non per legge”. Del resto – ricorda Bentivogli – la Cisl lo propose alla Cgil e alla Uil già nel 1996 e oggi lo invoca Romano Prodi”.
Secondo il leader dei metalmeccanici cislini “bisogna smaltire gli avanzi dell’estremismo ideologico per avere l’autorevolezza di proporre una strategia sui modelli di cogestione”. C’è una rinnovamento anche generazionale da avviare nel sindacato perchè “è chiaro che se i dirigenti sono in maggioranza over 60 servono orizzonti diversi” onde evitare il pericolo di trasformare i sindacati “in associazioni di reduci”.
Durissima la stoccata di Bentivogli allo status quo sindacale quando dice che “la curvatura del sindacato politicante è ben rappresentata dal sindacato dell’intrattenimento in tv ed è tanto spettacolare quanto inutile rispetto al rinnovamento dei processi economici”. E ancora: “I diritti acquisiti sono una favoletta: consideriamo i diritti dei pensionati e non quelli di chi fa lavori usiranti o dei più giovani?”.
Il segretario della Fim auspica infine un ripensamento e un approccio laico sia sul Job Act (“è meglio avere un contratto a tempo indeterminato che uno a termine”) che nei rapporti con la Fca di Sergio Marchionne. Bentivogli rivela che un sondaggio condotto dalla Cisl tra 5mila operai sul World class manifacturing della Fca di Pomigliano, che è la fabbrica più avanzata d’Italia, testimonia che ci sono luci e ombre ma che per livello di pulizia, organizzazione e cura ergonomica del nuovo modello di lavoro “la soddisfazione (tra gli opoerai) è alta”. E allora – conclude con molta onestà intellettuale Bentivogli – “se il lavoratore è contento e motivato, farà schifo dirlo nei talk show, ma è così”.