La ripresa è finalmente iniziata anche in Italia: nel I trimestre 2015, il Pil è aumentato dello 0,3%. In Francia la crescita è stata dello 0,6%, in Spagna dello 0,9%, in Germania dello 0,3%. Nell’area euro, la ripresa comincia ad interessare con maggiore evidenza il comparto manifatturiero. Sette anni di crisi hanno, però, cambiato il sistema industriale europeo, contribuendo ad accelerare processi in corso da alcuni anni ed andando in questo modo ad influenzare le modalità con le quali questa ripresa si sta sviluppando.
Nel corso degli ultimi venti anni, Francia, Italia e Spagna hanno sperimentato un ridimensionamento del sistema manifatturiero. Passando dagli anni Novanta agli anni Duemila, tutti e tre i paesi avevano subito un brusco rallentamento della produzione. In Germania, invece, negli otto anni che vanno dall’entrata nell’area euro allo scoppio della crisi, la produzione aveva accelerato, crescendo di oltre il 3% medio annuo. Alla fine del 2014, Italia, Francia e Spagna presentavano un livello di produzione inferiore a quello degli anni Novanta, mentre la Germania registrava una sensibile crescita.
Questo processo di ridimensionamento del sistema manifatturiero si è, però, sviluppato nei tre paesi in maniera differente. Tra il 1995 e il 2014, in Italia la produzione manifatturiera si è ridotta del 19%, mentre il valore aggiunto prodotto dallo stesso comparto è sceso in termini reali di solo il 6%. In Francia e Spagna un calo della produzione (rispettivamente del 5% e del 10%) si confronta, invece, con un sensibile aumento del valore aggiunto (+32% e +22%).
In tutti e tre i paesi il sistema industriale si è, dunque, gradualmente spostato verso una dimensione più piccola, ma con una composizione qualitativa migliore. Questo è accaduto, però, con un’intensità differente. In Francia e Spagna sistemi industriali più piccoli sono stati, infatti, in grado di contribuire alla crescita dell’economia, mentre l’esperienza italiana racconta una storia differente. Tutto questo aiuta a capire le diverse prospettive di crescita per i vari paesi, oltre a contribuire a dare il giusto peso e il corretto inquadramento alle dinamiche che stanno emergendo in questo periodo a livello settoriale.
Sebbene con ritardo rispetto alle altre principali economie europee, la ripresa è finalmente iniziata anche in Italia. Nel I trimestre 2015, il Pil è aumentato dello 0,3%, interrompendo una flessione che aveva interessato quasi ininterrottamente tutti gli ultimi tre anni. In Germania la crescita è stata dello 0,3%, in Spagna dello 0,9%, in Francia dello 0,6%.
Francia e Germania hanno già ampiamente recuperato quanto avevano perso in precedenza. All’inizio di quest’anno, il Pil tedesco in termini reali è risultato oltre 4 punti percentuali più alto del valore registrato nella prima parte del 2008, quello francese è di due. Alla Spagna mancano circa 5 punti percentuali di prodotto per tornare sui livelli precedenti la crisi, ma il recupero nell’ultimo anno è apparso particolarmente solido. L’Italia presenta, invece, un ritardo ancora superiore ai 9 punti percentuali.
Nel corso degli ultimi mesi, nell’area euro, la ripresa ha iniziato ad interessare con maggiore evidenza anche il comparto manifatturiero. Con l’esclusione della Germania, che da tempo risulta incamminata su un sentiero di crescita, l’aumento della produzione nelle principali economie europee si sviluppa, in maniera ancora troppo concentrata, non interessando con la stessa intensità tutti i settori.
La ripresa della produzione in Francia, Spagna e Italia è, infatti, spiegata prevalentemente da quanto accade nel settore dei mezzi di trasporto, in quello dei prodotti farmaceutici e in quello del coke e prodotti petroliferi. Al contrario, il tessile continua a soffrire in tutti e tre i paesi, come accade anche, sebbene con modalità e intensità differenti, nel settore dei macchinari e in quello delle apparecchiature elettriche.
Quanto sta accadendo nei diversi paesi a livello settoriale, oltre ad essere il risultato delle particolarità strutturali che caratterizzano le singole economie, è anche la rappresentazione degli effetti di quanto successo negli ultimi sette anni. La ripresa parte da punti e situazioni differenti ed è, quindi, naturale che si sviluppi in modo non omogeneo. Per poter inquadrare correttamente gli sviluppi che stanno emergendo, diviene, dunque, di particolare interesse ripercorrere quanto accaduto durante la crisi a livello settoriale, anche estendendo l’analisi ad un orizzonte temporale di più lungo periodo.
A differenza di tutte le altre principali economie europee, in Italia la crisi ha colpito tutti i comparti dell’economia, sebbene con intensità differente. Durante la prima recessione, quella del 2008-09, aveva sofferto prevalentemente il manifatturiero, come conseguenza della brusca caduta delle esportazioni. La flessione delle costruzioni era risultata meno ampia, mentre i servizi erano stati interessati solo marginalmente. Negli anni successivi, la brusca caduta della domanda interna ha, invece, penalizzato prevalentemente le costruzioni e i servizi. Nel manifatturiero, il calo degli ultimi anni è risultato, invece, meno intenso di quello sperimentato all’inizio della crisi. Alla fine del 2014, tutti i settori presentavano un ritardo da recuperare. Ai servizi, unico comparto dell’economia ad aver beneficiato di una debole ripresa durante lo scorso anno, mancano 3,6 punti percentuali di valore aggiunto in termini reali rispetto al 2007. Nel manifatturiero il ritardo si avvicina ai 20 punti, nelle costruzioni si superano i 30.
In Germania, invece, solo l’agricoltura ha registrato nel 2014 un valore aggiunto inferiore a quello del 2007. Nel complesso, l’economia tedesca ha totalmente recuperato quanto aveva perso nel 2009 e registra oggi un guadagno rispetto all’inizio della crisi prossimo ai 5 punti percentuali. Il comparto manifatturiero, che nel 2008-09 aveva subito un calo superiore al 20%, ha recuperato interamente. Nel confronto con il 2007, sia il manifatturiero sia i servizi mostrano una crescita del 4%. La Germania è, inoltre, l’unica tra le quattro principali economie europee ad aver beneficiato di una crescita che ha interessato il comparto delle costruzioni, con un aumento che in termini reali supera il 10% nel confronto con l’inizio della crisi.
Come la Germania, anche la Francia ha interamente recuperato quanto perso in precedenza. Il valore aggiunto complessivamente prodotto risulta ora quasi 3 punti percentuali superiore di quello del 2007. L’economia ha beneficiato del favorevole andamento dei servizi, in crescita dal 2010, con un guadagno complessivo superiore ai 6 punti percentuali. Il ritardo del manifatturiero si è ridotto, scendendo intorno ai 3 punti, mentre quello delle costruzioni si è ampliato, avvicinandosi ai 20.
In Spagna, l’economia ha, invece, sofferto prevalentemente la brusca caduta delle costruzioni, che hanno visto il valore aggiunto prodotto dimezzarsi negli ultimi sei anni. Il comparto manifatturiero è, invece, tornato a crescere già nel 2014, sebbene mantenga un ritardo rispetto al 2007 superiore ai 15 punti percentuali. Diversa la storia dei servizi, che, sebbene con alcuni momenti di incertezza, hanno mostrato una costante tendenza a crescere, posizionandosi nel 2014 quasi 5 punti percentuali sopra i livelli pre-crisi.
Focalizzando l’attenzione sull’industria, la Germania rappresenta senza dubbio un’eccezione nel panorama europeo. La produzione manifatturiera, con l’esclusione di una leggera flessione nel 2012, è in crescita da cinque anni. Nel 2014, le quantità complessivamente prodotte dall’industria tedesca sono risultate quasi 2,5 punti percentuali più alte di quelle del 2007. A livello settoriale lo scenario rimane, comunque, articolato, con molti punti di forza, ma anche alcuni elementi di incertezza. Cinque dei tredici settori che compongono il manifatturiero hanno visto la produzione aumentare nonostante la crisi. Tra questi comparti colpisce la performance dei mezzi di trasporto: dopo un calo superiore a un quinto nel biennio 2008-09, la produzione è cresciuta ininterrottamente per cinque anni, raggiungendo un livello superiore di quasi il 15% rispetto a quello del 2007. Sensibile anche l’incremento dell’attività nel farmaceutico e nell’elettronica. Tra i settori in flessione, da segnalare il calo superiore al 20% della produzione nel tessile e abbigliamento, nonostante il forte recupero registrato lo scorso anno.
Diversa la storia per Francia, Italia e Spagna: nel confronto tra il 2014 e il 2007, la produzione manifatturiera è scesa rispettivamente del 16%, del 24% e del 30%. In tutti i tre paesi la flessione appare, inoltre, diffusa, andando ad interessare la quasi totalità dei comparti.
In Italia, ad esempio, dei tredici settori del manifatturiero, solo il farmaceutico presentava alla fine dello scorso anno un valore più alto di quello del 2007, con un guadagno superiore agli 8 punti percentuali. Negli altri comparti, la flessione della produzione risulta omogeneamente distribuita. Infatti, a parte l’alimentare che registra un calo di circa il 2,5%, tutti gli altri settori subiscono contrazioni superiori al 20%. Anche i mezzi di trasporto, in crescita da diversi mesi, mantengono un ritardo rispetto al 2007 maggiore di 30 punti percentuali, mentre i minerali non metalliferi e le apparecchiature elettriche salgono oltre i 40.
In Francia, nel confronto tra il 2014 e il 2007, solo il settore dei prodotti chimici registra una crescita. Un calo intorno al 30% ha interessato, invece, il tessile, il comparto dei prodotti petroliferi, quello dei minerali non metalliferi, quello dei metalli e quello dei macchinari. I mezzi di trasporto, nonostante la crescita degli ultimi due anni, mantengono un ritardo che si avvicina al 10%.
In Spagna, in otto settori il calo della produzione supera il 30%. Nei metalli e nelle apparecchiature elettriche si va oltre il 40%, mentre nei minerali non metalliferi si supera il 60%. Nei mezzi di trasporto, nonostante la produzione sia cresciuta di oltre l’8% negli ultimi due anni, rimane un ritardo da colmare prossimo ai 30 punti percentuali. Nel confronto tra il 2014 e il 2007, l’unico settore in crescita è il farmaceutico, con un aumento dell’attività vicino al 20%.
Spiegare quanto accaduto all’industria europea come un effetto della crisi degli ultimi sette anni rappresenta, però, una semplificazione che può indurre a conclusioni non corrette. In particolare in alcuni paesi, e soprattutto in determinati settori, la crisi non ha fatto altro che accentuare gli effetti di un processo già in corso.
Anche allungando lo sguardo al lungo periodo, la Germania rappresenta un’eccezione nel panorama europeo. Tra i principali paesi è l’unico ad aver registrato nel 2014 un livello di produzione più alto di quello sperimentato all’inizio degli anni Novanta. Questo successo, che si manifesta con un guadagno in termini di maggiore produzione prossimo ai 40 punti percentuali, è il risultato di una crescita costante. A livello settoriale, l’unica criticità proviene dal tessile, che ha sperimentato, come anche negli altri paesi, una continua flessione dei volumi prodotti. Colpiscono, invece, le performance dell’elettronica, che in poco più di venti anni ha quasi triplicato i livelli produttivi, e quella dei mezzi di trasporto e del farmaceutico, che hanno registrato una crescita superiore al 70%.
Anche in questo caso, Francia, Spagna e Italia hanno vissuto un’esperienza diversa. Tutti e tre i paesi hanno registrato nel 2014 un livello di produzione manifatturiera inferiore a quello della prima parte degli anni Novanta, con un ritardo pari rispettivamente a 4, 3 e 11 punti percentuali. Guardando quanto accaduto alle principali economie europee negli ultimi venti anni emerge un aspetto di particolare interesse: passando dagli anni Novanta agli anni Duemila, Francia, Italia e Spagna hanno sofferto un brusco rallentamento della crescita. In Francia e in Italia, si è passati da un debole sviluppo ad una sostanziale stagnazione, mentre in Spagna la crescita è rimasta positiva, ma su livelli pari a circa un quarto di quelli registrati nel decennio precedente.
In Germania, invece, negli otto anni che vanno dall’entrata nell’area euro allo scoppio della crisi, la produzione dell’industria tedesca è aumentata ad un ritmo medio annuo superiore al 3%, mentre negli anni Novanta la crescita si fermava sotto l’1%, ma soprattutto risultava più debole di quella degli altri principali paesi europei. La positiva performance della Germania è, quindi, il risultato di un cambio di passo iniziato nel 2000 e proseguito durante la crisi, dietro il quale vi sono diversi fattori.
Focalizzando l’attenzione sulla situazione italiana, la graduale perdita di capacità produttiva è, dunque, iniziata molto prima dello scoppio della crisi. In 15 degli ultimi 24 anni la crescita della produzione manifatturiera è risultata negativa. Questa tendenza appare particolarmente evidente in alcuni settori. Nel tessile, ad esempio, la produzione ristagnava già negli anni Novanta, per poi scendere di oltre il 20% negli anni Duemila. La crisi ha tolto un altro quarto di produzione, portando la perdita rispetto all’inizio degli anni Novanta a quasi il 40%. Un ritardo ed una dinamica che accomunano anche il settore dell’elettronica e quello delle apparecchiature elettriche. Anche il comparto dei mezzi di trasporto sperimentava già negli anni Duemila una flessione della produzione superiore al 10%, che erodeva completamente la debole crescita del decennio precedente. Alla fine del 2014, il ritardo rispetto al 1992 era prossimo ai 30 punti percentuali. Gli unici settori del manifatturiero italiano che presentano un guadagno in termini di maggiore produzione rispetto all’inizio degli anni Novanta sono il farmaceutico, l’alimentare e i macchinari.
Tutti questi andamenti hanno contribuito a modificare la composizione settoriale delle singole economie. Come già emerso in precedenza, guardando i primi quattro paesi dell’area euro, emergono evoluzioni che accomunano Italia, Francia e Spagna, mentre la Germania segue una storia differente.
In Italia, il peso del manifatturiero sul totale dell’economia, nonostante il leggero aumento degli ultimi due anni, si è ridotto, passando dal 17,7% del 2007 al 15,5% del 2014. Si tratta, in realtà, di un processo in corso già da alcuni anni. Nel 1995, dal manifatturiero giungeva oltre un quinto del valore aggiunto complessivamente prodotto dall’economia italiana. Anche in Francia e Spagna il peso del manifatturiero si è ridotto, scendendo rispettivamente dal 16,2% del 1995 all’11,4% del 2014 e dal 17,6% al 13,2%. In tutte e tre le economie i servizi hanno acquisito ancora più importanza, contribuendo per quasi il 75% del valore aggiunto complessivo sia in Italia sia in Spagna, mentre in Francia ci si avvicina all’80%. Tutti e tre i paesi hanno, inoltre, sperimentato un brusco calo del peso delle costruzioni. In Italia, siamo passati dal 6% del 2007 al 4,9%; in Francia il calo si è fermato al 5,7%, mentre in Spagna la flessione risulta particolarmente ampia (da quasi il 12% del 2006 al 5,6%). Diversa, invece, l’esperienza della Germania, che nel corso degli ultimi venti anni ha visto il contributo del manifatturiero rimanere stabile al di sopra del 20%. Il peso dei servizi si è ridotto leggermente, stabilizzandosi al di sotto del 70%, mentre quello delle costruzioni è salito, avvicinandosi al 5%.
Gli andamenti degli ultimi anni hanno modificato la composizione del sistema industriale europeo. La Germania si conferma un paese con un forte orientamento manifatturiero: l’economia nel suo complesso produce quasi il 30% del valore aggiunto totale dell’area euro, ma limitando l’analisi al solo manifatturiero il peso della Germania sale al 40%. L’Italia ha, invece, perso sempre più importanza. Nel 2000, producevamo quasi il 18% del valore aggiunto del manifatturiero dell’area euro; nel 2014, siamo scesi al 15,4%. Rimaniamo il secondo paese per peso nel manifatturiero, con la Francia stabile intorno al 15%. Il peso della Spagna è, invece, nuovamente sceso al di sotto del 10%.
Negli ultimi venti anni, Francia, Spagna e Italia hanno, dunque, sperimentato una fase di costante ridimensionamento del sistema manifatturiero. Tutto questo si è, però, sviluppato in maniera differente. Confrontando all’interno di uno stesso paese l’andamento del valore aggiunto a prezzi costanti con quello della produzione si possono, infatti, ottenere utili informazioni. La produzione ci fornisce indicazioni sulle quantità prodotte, mentre il valore aggiunto ci descrive la capacità di un’economia di creare ricchezza aggiungendo valore agli input produttivi utilizzati.
In Italia, tra il 1995 e il 2014, nel settore manifatturiero la produzione si è ridotta del 19%, mentre il valore aggiunto a prezzi costanti è sceso del 6%. Un valore aggiunto che si riduce meno della produzione porterebbe ad immaginare un sistema industriale che si sposta verso una composizione qualitativa migliore, verso settori e imprese con una maggiore capacità di creare ricchezza. Se confrontiamo quanto accaduto in Italia con l’esperienza francese e spagnola emerge, però, come in Italia questo fenomeno si sia sviluppato con un’intensità solo marginale. Nello stesso periodo, infatti, in Spagna la produzione manifatturiera si è ridotta del 10%, mentre il valore aggiunto è aumentato del 22%. In Francia, una flessione del 5% si confronta con un aumento del 32%.
In Francia e Spagna sistemi industriali più piccoli sono stati, dunque, in grado di contribuire in maniera significativa alla crescita dell’economia, mentre l’esperienza italiana racconta una storia differente. Tutto questo aiuta a capire perché, sebbene la ripresa in Italia sia partita, e in un certo qual modo anche più velocemente di quanto ci si attendesse, le previsioni di crescita per i prossimi anni rimangono più contenute di quelle elaborate per le altre economie europee. Tutti questi ragionamenti devono, inoltre, servire a dare il giusto peso e il corretto inquadramento alle dinamiche che stanno emergendo in questo periodo a livello settoriale.
Allegati: Focus n. 18 – 22 maggio 2015.pdf