Italia protagonista nell’ondata di Merger& Acquisition (M&A) sulle infrastrutture energetiche che hanno investito l’Europa tra il 2008 e il 2015. Su un totale di 235 operazioni che hanno interessato elettricità e gas, trasmissione e distribuzione, ben 82 operazioni hanno riguardato il nostro Paese per un controvalore di 21,3 miliardi su 61,3 miliardi di euro complessivamente. La spinta è arrivata dai nuovi obiettivi Ue su clima ed energia combinati con gli effetti del terzo pacchetto energia che ha imposto la separazione tra società di trasporto, di vendita e di distribuzione.
Ma è stata l’esigenza di riduzione dei debiti che ha costretto molti operatori a cedere assets. E la trasmissione è risultato un settore molto appetibile tanto che la parte del leone, nel vortice di vendite e acquisti, l’hanno fatta proprio i finanziari: fondi pensione, fondi d’investimento e fondi infrastrutturali. Stanno diventando i nuovi proprietari delle reti, al posto o in compagnia dei vecchi operatori.
Cambia dunque la fisionomia dei sistemi strategicamente rilevanti per l’Unione dell’Energia in Europa. E significativi sulla spesa delle famiglie: in Italia i costi di rete rappresentano il 18% della bolletta elettrica standard valutata, per una famiglia tipo, 530 euro l’anno e 1.150 euro per il gas.
A dare conto della mutazione del sistema è la ricerca “Energy networks M&A. What are the implications for the EU?” condotta da Matteo di Castelnuovo di Iefe Bocconi. E’ la prima ad indagare a fondo i cambiamenti che hanno interessato la proprietà delle reti negli ultimi anni e a porsi i primi interrogativi.
“La struttura delle società proprietarie delle reti elettriche – afferma Matteo di Castelnuovo – è profondamente cambiata In questo processo, si sono fatte strada nuove società infrastrutturali e nuovi protagonisti finanziari. Finora, per tutelare la concorrenza, ci si è posto il problema di chi non doveva detenere il controllo delle infrastrutture ma forse sarebbe bene porsi anche il problema di chi non deve comprare i networks. Siamo sicuri che investitori finanziari, in alcuni casi a vocazione speculativa, siano interessati a sostenere l’enorme massa di investimenti richiesta nei prossimi anni? La ricerca pone alcune domande alle quali si dovrà dare risposta in tempi ravvicinati”.
Le stime degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione europea – sottolinea la ricerca Iefe Bocconi – è di circa 200 miliardi di euro nell’orizzonte del 2020 così divisi: 100 miliardi per le reti elettriche, 40 miliardi per le smart grids 60 miliardi per i gasdotti. Nel vortice delle acquisizioni innescato dalla necessità di ripianare i debiti oltre che dalle nuove regole europee, tra il 2010 e oggi, si sono mossi Tso (transmission system operator) ma balza agli occhi l’avanzata delle operazioni miste, con l’ingresso in forze di investitori finanziari. Alcuni esempi chiariscono il fenomeno in corso.
Il primo è nel 2011 quando Fluxys, l’operatore belga nel trasporto del gas, compra la quota Eni nei gasdotti Tenp e Transitgas per 860 milioni. Il secondo è nel 2014 quando la China State Grid entra in Cdp Reti con il 35% , sborsando di 2,1 miliardi. Altri casi piuttosto recenti sono avvenuti in Francia, Germania e di nuovo in Italia. In Francia Snam ha rilevato (45%) con il fondo di Singapore (35%) e Edf (20%) per 2,4 miliardi complessivamente. Crédit Agricole è poi entrata lo scorso gennaio rilevando una quota del 10% dal consorzio. Nel 2012 la tedesca Open Grid Europe , di proprietà di E.On è stata acquistata da un consorzio di investitori finanziari (Macquarie, British Columbia Investment, Abu Dhabi Investment and MEAG Munich). Infine, va ricordata di E.On Rete, la società di distribuzione posseduta dal gruppo tedesco in Italia, al consorzio composto da F2i Sgr ed Axa Private Equity per 290 million di euro.
La classifica dei primi 10 acquirenti – riportata dalla ricerca di Matteo di Castelnuovo – vede al primo posto l’Eni G&P Belgium (15.41%) , seguita da Borealis Infrastructure Management (11.92%), AEM SpA (11.73%), Industry Funds Management (9.38%), MEAG Munich Ergo AssetManagement (9.34%), British Columbia Investment Management Corporation (9.34%),Macquarie European Infrastructure Fund (9.34%), Infinity Investments SA (9.34%), F2i (7.43%) ed altre compagnie per il restante 6.77%. Su 10, ben 7 sono soggetti finanziari.
Nella classifica delle prime dieci società-obiettivo, la metà sono italiane. E Snam Rete Gas (25.33%) è la regina. La vendita da parte dell’Eni ha “monopolizzato” il mercato e incide per un quarto sui 61 miliardi generati dall’M&A in Europa. Seguono poi Distrigas (13.70%), ASM Brescia SpA (10.42%), Netgas (10.42%), Open Grid Europe (8.30%), Gdf Suez (7.58%), Terna (6.50%), Enel Rete Gas (6.36%) e Cdp Reti Srl (6.01%). Il restante 5,38% sono società minori. Dividendo le operazioni per aree, nell’Europa allargata oggetto della ricerca (include anche Russia e Turchia), l’Italia si colloca al primo posto, seguita da Belgio, Germania e Spagna.
Infine, il valore delle operazioni: 23,5 miliardi interessano la trasmissione elettrica (46% del totale) mentre 25,3 miliardi hanno interessato i gasdotti, il resto sono operazioni miste. La “torta” della nuova proprietà di reti e gasdotti ne risulta sostanzialmente modificata: si assiste ad un consolidamento tra gli operatori specializzati nella trasmissione: sono loro il 37% degli acquirenti e non è un mistero che Snam si candidi a un ruolo di leadership europea in questo campo. Alla pari, gli investitori finanziari sono entrati nel 36% delle operazioni. Il 20% sono società energetiche e il 7% altri soggetti.