Sarà un anno da cardiopalma per le Borse più importanti dell’Unione europea e dell’Eurozona. Il motivo lo ha segnalato senza mezzi termini il Financial Times il 2 gennaio, quando ha preso spunto dal rischio di un’avanzata dei partiti populisti in Europa, in concomitanza di una serie di otto elezioni previste nel 2015 (Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Polonia, Portogallo, Spagna e Gran Bretagna). Sarà un anno in cui la politica, intesa come ricorso al voto dei cittadini, farà sentire le sue conseguenze sui mercati e sull’euro in modo significativo. Sono in molti a scommettere che vedremo le montagne russe nelle Borse europee, ed alcuni si spingono fino ad ipotizzare un ritorno della speculazione degli hedge funds americani addirittura sulla tenuta dell’euro. Le tre elezioni più significative delle otto in cartellone nel 2015 sono quelle greca, la britannica e la spagnola, il tutto mentre la Germania di Angela Merkel ha annunciato il pareggio di bilancio con un anno di anticipo, dando un ennesimo segnale di stabilità in controtendenza.
GRECIA, CE N’EST QU’UN DEBUT
Si comincerà con la Grecia il 25 gennaio prossimo dove l’avanzata della sinistra radicale di Syriza, dato in vantaggio di 3 punti percentuali nei sondaggi, potrebbe aprire la strada a un braccio di ferro tra creditori internazionali (la troika) e il nuovo esecutivo greco sulla vicenda della ristrutturazione del debito e della attenuazione delle politiche di austerity. Possibile che Syriza vinca le elezioni ma senza ottenere la maggioranza assoluta e sia, quindi, costretta ad aprire ai partiti filo-europei per formare una coalizione. Uno scenario in evoluzione che comunque segna tempo incerto per tutto il 2015 sotto il Partenone, proprio nell’anno in cui il Paese dovrebbe uscire dal piano di aiuti Ue (quello dell’Fmi finirà nel secondo trimestre del 2016).
LA?GRAN?BRETAGNA?CI?RIPENSA
Il voto britannico del 7 maggio sotto il Big Ben di Londra, la patria di tutte le democrazie moderne, è uno dei più importanti dai tempi di Wiston Churchill and Co. In gioco c’è, secondo gli analisti, addirittura la permanenza del Regno nell’Unione Europea e quindi della City, la maggior piazza finanziaria del Vecchio Continente. Parliamo di Brexit, uscita della Gran Bretagna da Bruxelles. E non vale ricordare che il generale de Gaulle lo aveva sempre detto che sarebbe stato meglio lasciare gli inglesi fuori dalla porta dell’Unione europea.
I sondaggi segnano in vantaggio i labour di Ed Miliband sui conservatori del premier David Cameron. Ma la questione più sorprendente è che il terzo concorrente della partita non è più il vecchio e sonnecchioso Partito liberaldemocratico ma lo Ukip di Nigel Farage, che fa dell’uscita dalla Ue la sua proposta programmatica. Un’ipotesi talmente evidente al punto che Cameron ha promesso in caso di vittoria al voto di indire a tambur battente nel 2017 un referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione europea dall’esito molto incerto.
LA?SPAGNA DI PABLO IGLESIAS
Sembra il nome di un nuovo cantante di musica leggera ma la canzone che canta Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha trovato molti spagnoli pronti ad ascoltarla. Una musica suadente che parla di fine dell’austerità e di mandare a casa il premier uscente, Mariano Rajoy, un democristiano che ha fatto ripartire l’economia con una medicina amara composta da lacrime e sangue. Quello spagnolo è in ordine cronologico il terzo voto più importante del 2015 europeo – si terrà tra ottobre e novembre – e anche in questo caso le borse saranno con gli occhi puntati e i risparmiatori in ansia per i propri investimenti. Fino a pochi mesi fa la conferma di Rajoiy appariva scontata ma ora tutto è tornato in discussione dopo la pubblicazione degli ultimi sondaggi che danno Podemos addirittura al primo posto.
La situazione, dunque, non è stabilizzata a Madrid. La Spagna sta uscendo dalla crisi in fretta e bene, ha ripreso a crescere, la disoccupazione è in calo ma se il voto dovesse premiare un partito senza esperienza di governo allora sarebbero le “montagne russe” anche a Madrid.