Con le dimissioni rese oggi dal presidente della Repubblica si avvia un percorso per tornare a quella che proprio Giorgio Napolitano, nel suo ultimo messaggio di Capodanno ha definito “normalità costituzionale, ovvero la regolarità dei tempi di vita delle istituzioni, compresa la presidenza della Repubblica”.
Si chiude così, ha osservato su “Il sole 24 ore” del 13 gennaio scorso il costituzionalista Francesco Clementi, rifacendosi sempre a quel messaggio, “la parentesi di un’eccezionalità costituzionale”. La quale, vale la pena ricordarla, non fu né voluta né cercata da Napolitano, ma resa indispensabile dalla provata incapacità delle forze politiche di eleggere il nuovo inquilino del Quirinale. Un’indipensabilità alla quale un servitore dello Stato e delle istituzioni come è sempre stato il presidente oggi dimissionario, non volle e non potè sottrarsi, con grande sacrificio personale.
Fu quella della rielezione l’occasione per Napolitano per legare il suo parziale secondo mandato all’obiettivo della realizzazione delle riforme, a cominciare da quelle elettorale e costituzionale. E certamente se oggi quelle riforme, non ancora giunte in porto, sono più vicine e quasi a portata di mano, lo si deve alla determinazione con la quale il capo dello Stato ha prima sollecitato e poi seguito passo dopo passo lo svolgersi di quel percorso. Naturalmente lasciando al libero confronto dei partiti e del Parlamento la definizione dei contenuti riformatori. Una delle critiche che sono state rivolte alla presidenza Napolitano è stata quella di una irrituale invasività nel dibattito tra le forze politiche.
E’ una critica del tutto fuori luogo. Il presidente della Repubblica è stato infatti sempre accorto, al limite della pignoleria, nel non travalicare mai i limiti costituzionali del suo mandato. Certo, ha avuto un suo peso (per fortuna) nell’orientare il dibattito politico, cercando di ricondurre sempre nell’alveo costituzionale le spesso arroganti richieste di alcune forze politiche. Si pensi alla fermezza di Napolitano nell’evitare un conflitto costituzionale tra Governo e magistratura nel caso Englaro.
Al tempo stesso il ruolo del Quirinale è stato decisivo nel contenere gli eccessi verbali e mediatici di parte della magistratura. Motivo per il quale è stato anche oggetto di critiche tanto ingiuste quanto ingenerose. Nonostante i richiami più volte rivolti ai magistrati a coltivare senso dell’equilibrio nelle esternazioni mediatiche, il capo dello Stato non si è mai sottratto alla propria disponibilità ad agevolare il lavoro dei magistrati, sottoponendosi anche ad una non indispensabile testimonianza diretta sulla cosiddetta trattativa stato mafia.
Nell’esercizio del suo mandato Napolitano ha sempre messo in campo la propria fermezza e autorevolezza, mai un’arrogante autoritarismo. Si è comportato così dinanzi alle inaudite richieste di neutralizzare con una sorta di “motu proprio” la sentenza che ha portato alla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore in conseguenza di una condanna definitiva.Insomma quella di Napolitano è stata una presidenza, sempre autorevole e mai autoritaria. Di qui la rivendicazione e l’esercizio delle prerogative costituzionali, che, in tempo di riforme istituzionali, ha sempre preservato per consegnarle intatte al proprio successore.
Non dimentichiamo che, come ha ricordato Stefano Folli su “Repubblica”nella nostra Costituzione il presidente della Repubblica è qualcosa di più di un notaio, e il suo ruolo non è soltanto arbitrale. Un arbitro, inteso calcisticamente si limita ad applicare delle regole. Un garante ha una diversa autonomia. Sceglie chi dovrà formare il governo e nomina su indicazione di quest’ultimo i ministri, e soprattutto ha l’esclusivo potere di scioglimento del Parlamento.
Un’altra caratteristica della presidenza Napolitano è stata la straordinaria attenzione alla politica internazionale e all’Europa. I suoi richiami in patria e fuori ad avanzare verso l’unità politica dell’ Europa, sono stati riproposti in patria e fuori con una continuità quasi religiosa. Credo che non siano molti gli altri leader internazionali che possono godere del prestigio internazionale del presidente dimissionario. E questo è tuttora un grande patrimonio ideale che l’Italia può vantare nei confronti dei suoi interlocutori politici fuori dei confini nazionali.
Mi accorgo di non aver fatto alcun riferimento al fatto che la storia di Napolitano viene, come si diceva un tempo, da lontano. Dal Pci. Di queste cose egli stesso ha parlato e reso conto in diversi libri e pubblicazioni prima di essere eletto al Quirinale. Certamente la propria storia pesa sempre nei comportamenti successivi. I quali, nel caso della presidenza Napolitano, sono stato sempre orientati in una sola direzione: l’interesse generale del Paese. Il quale, anche questo è stato un filo conduttore del suo novennato, ha bisogno prima di tutto della politica, la quale, a sua volta, non può fare a meno dei partiti. Con buona pace della retorica anti-politica purtroppo tuttora dilagante.
C’è da augurarsi che i partiti, e il Parlamento siano all’altezza del compito che li attende per scegliere il prossimo presidente. E che questi sappia il più possibile far tesoro della sua eredità morale e politica. Eugenio Scalfari ha definito “le fatiche di un Sisifo” quelle fatte dal presidente dimissionario nello svolgimento del suo mandato. Fatiche anche superiori attendono il prossimo presidente mostrarsi all’altezza del suo predecessore.