Lo stress test diventa digitale. Ma a Piazza Affari lo superano solo in venti. Lo rileva la ricerca Webranking by Comprend, realizzata dalla società di consulenza strategica Lundquist in collaborazione con la società specializzata nella comunicazione corporate digitale Comprend (gruppo Halvarsson&Hallvarsson), che ha analizzato 69 società scoprendo che meno di un terzo mette in atto una buona comunicazione digitale. Il che significa considerare il sito web corporate come uno strumento chiave per comunicare e attrarre investitori.
“Webranking misura i fondamentali della comunicazione corporate e finanziaria e l’apertura al dialogo sui canali digitali – si legge nell’executive summary della ricerca, giunta in Italia alla sua tredicesima edizione (in Europa è alla diciottesima edizione) – Per questo motivo rappresenta uno stress test. Fallire lo stress test significa lasciare il mercato disinformato e rinunciare alla possibilità di governare la propria reputazione, soprattutto in tempi di forte trasformazione”.
Se confrontate con le maggiori 100 società in Europa (la ricerca è stata condotta allo stesso tempo anche a livello internazionale), le italiane sono brave a presentare solo l’informativa obbligatoria (quella legata alla disclosure come risultati finanziari, performance azionarie, governance), ma in molte non presentano la strategia, non forniscono informazioni né su obiettivi finanziari né su come raggiungerli e non valorizzano le informazioni di sostenibilità. Poca attenzione è rivolta anche all’employer branding, che è una delle aree “che ottiene il risultato più basso, nonostante sia la sezione che conta il maggior numero di visite all’interno dei siti istituzionali e sia fondamentale per comunicare con un pubblico più ampio”. Un quarto delle aziende analizzate, per esempio, non presenta l’azienda ai potenziali candidati e quasi la metà non informa sulle posizioni aperte sul proprio sito.
Vengono utilizzati meno anche i social media, sebbene le performance italiane siano migliorate e sia incrementato il numero di aziende che presenta sul sito un collegamento ai propri account sui social media. Il 46% delle società offre almeno le informazioni di base su LinkedIn che risulta essere il canale aziendale preferito ma meno utilizzato rispetto all’Europa dove tale percentuale sale al 66%. L’86% ha un articolo con qualche informazione su Wikipedia, gestita da editori indipendenti.
“Le aziende non possono intervenire direttamente sui contenuti come fanno sul proprio sito o su altri canali – rileva Daniele Righi, che ha curato la parte social media della ricerca – Devono essere consapevoli della propria presenza su Wikipedia che spesso attrae un numero di utenti paragonabili a quello del sito”.
La media italiana rimane comunque nel complesso più alta di quella europea: 46,8 punti contro 39,1, grazie al punteggio dei top performer e all’eliminazione dal campione delle società che l’anno scorso avevano ottenuto un punteggio inferiore ai 30 punti. Prendendo in considerazione le 20 maggiori aziende, l’Italia ottine il quarto posto nella classifica dei Paesi europei, dietro solo a Finlandia, Svezia e Germania.
ENI E SNAM PRIME DELLA CLASSE
MONCLER A RISCHIO ESCLUSIONE
L’analisi ha analizzato le 69 società che tra le 100 a maggior e capitalizzazione del listino hanno dimostrato una maggiore attenzione verso i canali digitali: sono state escluse le società che hanno ottenuto punteggi molto bassi nelle precedenti edizioni e che non hanno mostrato miglioramenti negli anni. Tra le escluse eccellenti compaiono così Geox, Gruppo Editoriale l’Espresso, Brunello Cucinelli, De’Longhi. In ogni caso, grazie al lancio di un nuovo sito o a modifiche significative in quello attuale, 11 aziende che erano state escluse nel 2013 sono rientrate, tra cui Diasorin, Snai e Unipolsai.
Prime della classe (servono almeno 50 punti per superare la soglia di una buona comunicazione) sono invece risultate: Eni (87 punti su 100); Snam (86,3) e Telecom Italia (83,3). Le altre promosse sono: Hera, Pirelli, Terna, Mondadori, generali, Ansaldo, Piaggio, Unicredit, Ubi Banca, Erg, Luxottica, Igd, Prysmian, Autogrill, Intesa Sanpaolo, Finmeccanica, Gruppo Campari. In fondo alla classifica (sotto i 30 punti ci si colloca nella parte bassa della classifica) ci sono invece venti aziende che non presentano i contenuti minimi richiesti dal mercato. Si nota che tra queste, con solo 20 punti, compare Moncler, che proprio nelle scorse settimane è stata al centro di una polemica sull’approvvigionamento delle piume che si è poi trasformata anche in un dibattito sulle strategie di comunicazione online e digitali dell’azienda. L’azienda di piumini colorati è così tra le società a rischio di esclusione per l’edizione della ricerca del prossimo anno. In bilico, per citarne solo alcune, ci sono anche Mediaset, Yoox, Salvatore Ferragamo, Tod’s, Anima e la neo quotata Fineco.
MATRICOLE OLD STYLE
Ingrandendo l’analisi proprio su questo segmento, quello delle matricole, la ricerca sottolinea che le sei neo quotate entrate nel 2014 nella ricerca “non investono nella comunicazione digitale per attrarre nuovi investitori”. Il punteggio medio si attesta infatti a 18,8 e indica che “il sito corporate non viene considerato uno strumento chiave per comunicare e attrarre investitori”. In particolare, sottolinea la ricerca, la sezione investor relations “è quella che ottiene il risultato più basso: solo una presenta la strategia, due la gestione dei rischi e nessuna indica i growth driver”. Anche le informazioni relative alla governance non soddisfano: “mancano informazioni chiave come la remunerazione, presentata da una sola società, e informazioni più dettagliate su consiglieri e management”. Una performance, che sottolinea chi ha condotto l’analisi, “può essere spiegata dal fatto che le matricole non hanno ancora sviluppato tutti i mezzi per una comunicazione online efficace; d’altro canto hanno una maggiore necessità di essere trasparenti per attrarre investitori ancge al di fuoi dei confini nazionali”. Ecco che, fatta eccezione per World Duty Free che supera i 30 punti, tutte le neo matricole rischiano di essere escluse nelle prossime edizioni della ricerca.
MIGLIORA L’ACCESSIBILITÀ DEI SITI
AUMENTA LA DISPARITÀ TRA I SETTORI
La nota positiva è che molte aziende hanno segnato “decisi miglioramenti nel punteggio”. La maggior parte dei nuovi siti sono responsive, ossia si adattano ai dispositivi degli utenti, il che “significa una forte attenzione verso l’accessibilità del sito tramite il mobile, una delle tendenze tecnologiche più importanti del mondo del web. “Se nel 2013 – si legge nella ricerca – esisteva un distacco rilevante tra le aziende internazionali che puntavano già su un’esperienza di navigazione innovativa e i tanti siti italiani rimasti convenzionali, quest’anno si rileva un forte incremento nel numero di siti nuovi che utilizzano un design che si adatta e crea un’esperienza fruibile su vari dispositivi. Sempre più aziende riconoscono, inoltre, la necessità di investire in contenuti di qualità e in una solida organizzazione digitale”.
A livello settoriale, energy batte banche. Le aziende oil & gas e utilities ottengono le migliori performance e in quattro si piazzano per punteggio ai vertici europei. Un risultato che è dovuto, da un lato, all’esclusione dal campione delle società con punteggi inferiori ai 30 punti, ma dall’altro anche a un importante aumento nel punteggio di alcune aziende. Le banche mantengono una media alta ma in calo, a causa dell’inserimento di quattro nuove banche con un punteggio inferiore a 25 punti. Nella top cinque, Mediobanca prende il posto a Mps, mentre al vertice si conferma Unicredit, seguita da Ubi Banca, Intesa e Banca Generali. Nel complesso le differenze tra i diversi settori in Italia sono molto più significative che in Europa.