“Conflitto tra poteri, rischio regolatorio e impatto sugli investimenti esteri”: questo il titolo della ricerca con la quale I-Com (Istituto per la Competitività) rileva che sono pari a 26,4 miliardi di euro gli investimenti a rischio e a 6,8 miliardi le risorse del tutto “incagliate”, a causa di burocrazia e conflitti istituzionali. Sull’insieme di queste risorse che potrebbero non essere mai investite in Italia, il peso dei capitali esteri è estremamente rilevante e ha un volume di 19,4 miliardi di euro, contro i 13,7 di origine nazionale. Ecco, probabilmente, perchè di investimenti esteri ne arrivano sempre meno.
Quali sono precisamente questi “scogli”? Eccesso ma soprattutto ambiguità della regolazione, conflitti di competenze e paralisi decisionale figurano tra i “costi impropri” dell’operare in Italia e rischiano di scoraggiare un numero crescente di imprese italiane e multinazionali. “L’attuale Governo si sta spendendo molto per attrarre multinazionali estere sul nostro territorio. La priorità per questi soggetti non sono incentivi di carattere economico, ma regole certe che lascino meno spazio possibile a conflitti interpretativi e affidino la decisione finale a un’autorità di ultima istanza, che sia quella con le competenze più adatte al problema da dirimere. L’approccio assembleare al decision-making è una delle ragioni principali del declino italiano, sottolinea Stefano da Empoli, Presidente di I-Com.
La ricerca
Gli 83 progetti di investimento esaminati da I-Com, per un totale di 33,3 miliardi di euro bloccati o a rischio, afferiscono a 7 settori di mercato, selezionati in base a criteri quali la presenza di capitali esteri e il ruolo della regolazione. Nel dettaglio:
– Energia: con 12 miliardi di euro in pericolo – il 45% dei quali assolutamente bloccati – è il settore più problematico rispetto al rapporto investimenti/burocrazia. Una situazione di stallo che rischia di compromettere la realizzazione di infrastrutture strategiche per lo sviluppo dell’Italia. A questo proposito, I-Com analizza il caso di TAP (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che, dall’Azerbaijan alla Puglia, aprirà una nuova rotta di approvvigionamento verso l’Europa. La querelle in atto tra amministrazioni nazionali (Minisero dell’Ambiente, dei Beni Cuturali e MISE), regionali (Regione Puglia) e locali (Provincia di Lecce e Comuni), potrebbe pregiudicare l’apertura dei cantieri nel 2015;
– TLC: con il 40% di investitori esteri e 9 miliardi € di investimenti fermi, il settore assiste da circa due anni ad una paralisi dei progetti sulle nuove reti a banda larga e ultralarga. Tra le cause, la mancata approvazione delle nuove Linee Guida ministeriali sui limiti elettromagnetici e un regolamento sugli scavi stradali, che impone l’utilizzo di tecniche e materiali obsoleti, tali da rendere insostenibili i costi di intervento per gli operatori;
– Energie Rinnovabili: l’introduzione del controverso provvedimento ‘spalma-incentivi’ ha modificato il panorama di riferimento per le imprese del settore (al 45% estere), con la conseguenza di mettere a repentaglio un pacchetto di circa 6 miliardi €;Trasporti: sono circa 5 i miliardi di euro che le imprese del settore (multinazionali nel 53% dei casi) potrebbero non destinare allo sviluppo infrastrutturale del nostro Paese. Un problema di dialettica tra organi dello Stato è, ad esempio, all’origine dello stallo sui progetti di terminal aeroportuali nelle città di Venezia, Firenze, Genova e Malpensa. Per un totale di oltre 4 miliardi €, su un orizzonte di 5-6 anni;
– Farmaceutica: secondo Farmindustria, le multinazionali del farmaco sarebbero pronte a investire in Italia 1,5 miliardi € nei prossimi 3 anni, a patto che il quadro normativo si evolva verso una maggiore stabilità. Lo studio I-Com ci dice, invece, che sono più di 300 i milioni € di investimenti che potrebbero andare in fumo. La ricerca prende in esame l’emblematico caso Avastin-Lucentis, che ha visto l’Autorità preposta alla concorrenza smentire la valutazione tecnico-scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco;
– GDO: presenta una quota quasi totalizzante di capitali esteri, in funzione della presenza di operatori come Ikea e Decathlon. I progetti la cui realizzazione è a rischio cubano per circa 600 milioni €. Proprio Decathlon, dopo lo stop agli investimenti su Brugherio e Rovigo, vede attualmente in bilico un investimento di 20 milioni € a Napoli;
– Siderurgico: l’acquisizione in essere dello stabilimento Lucchini di Piombino da parte dell’algerina Cevital porterà al 92% la presenza di operatori esteri nel mercato siderurgico italiano. Un’operazione da oltre 400 milioni di euro, che potrebbe essere pregiudicata a causa della estrema difficoltà del quadro normativo e istituzionale di riferimento.
“La situazione di bilancio non consente di ridurre, almeno nel breve periodo, la pressione fiscale sulle imprese e anche gli interventi annunciati sul mercato del lavoro non bastano, da soli, a dare slancio alla crescita. In questo contesto, è dunque fondamentale rimettere a posto la macchina delle istituzioni, riducendo il peso della regolazione e aumentandone la certezza” – aggiunge Stefano da Empoli – “Le imprese non sono spaventate dalle regole ma dallo scarso margine di sicurezza che aleggia sulla loro corretta applicazione”.