La commissione Lavoro della Camera ha dato il via libera all’emendamento di governo e maggioranza che modifica il Jobs Act in tema di articolo 18. Il testo ha messo d’accordo Pd e Ncd, ma per ragioni opposte: la sinistra democratica è soddisfatta per le novità introdotte, mentre il partito di Angelino Alfano esulta affermando che non è cambiato nulla rispetto al testo uscito dal Senato. Per il premier Matteo Renzi, invece, conta soprattutto che lo stallo si sia sbloccato. Rimangono contrari al compromesso raggiunto Filippo Civati e Stefano Fassina.
La principale innovazione introdotta dall’emendamento riguarda i licenziamenti per motivi disciplinari, per i quali sarà possibile il reintegro del lavoratore, ma non sempre: la restituzione del posto sarà limitata ai licenziamenti “nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”. Al contrario, per i licenziamenti legati a motivi economici la possibilità del reintegro è esclusa in ogni caso: l’unica opzione prevista è “un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio”.
Il voto finale in Aula potrebbe arrivare senza un voto di fiducia, ma secondo il vicesegretario Pd Filippo Taddei “se ci dovessero essere migliaia di emendamenti, non ci sarà alternativa che procedere alla fiducia”.
Intanto, la Uil proclama lo sciopero generale, e oggi chiederà alla Cgil – che ha già proclamato lo sciopero per il 5 dicembre – e alla Cisl – che per ora rifiuta – di programmare un’iniziativa unitaria delle tre confederazioni.
Tornando al Pd, la spaccatura nel partito si ripropone sul fonte della legge di Stabilità, cui la minoranza ha presentato otto emendamenti, “non per boicottare” ma per “correggere l’impianto” della manovra, come hanno spiegato Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Alfredo D’Attorre e Margherita Miotto. Le loro proposte di modifica vanno da una revisione del meccanismo di attribuzione del bonus Irpef di 80 euro, alla riduzione della platea dei beneficiari del bonus bébé (da 90 a 70 mila euro di reddito Irpef) alla destinazione dei proventi delle privatizzazioni al risanamento del dissesto idrogeologico.
“Per quanto mi riguarda – ha spiegato Fassina – questo è il modo di far vivere un coordinamento, a partire da posizioni di merito, non anti qualcuno, non è per boicottare. Teniamo conto dell’impianto del governo e pero’ cerchiamo di correggerlo su punti importanti”.
Ma per i renziani le proposte di modifica da parte della minoranza sono inaccettabili: “È davvero incredibile – ha detto l’esponente della segreteria Pd, Ernesto Carbone –. Altro che metodo democratico, altro che confronto interno. A parole si dice di volere il bene della casa comune, nei fatti ci si comporta come se non se ne facesse parte”.
Anche Sel ha presentato molti emendamenti, oltre 260, e fra le proposte rientrano “il taglio alle spese militari e alle grandi opere”, l’introduzione di “un’imposta patrimoniale”, e la “rimodulazione” degli scaglioni Irpef e il superamento del tetto deficit-Pil “fino ad almeno il 4%”.
Intanto, a Palazzo Madama è scattato ufficialmente il via nella corsa alla riforma della legge elettorale. In commissione Affari costituzionali è iniziata la seconda lettura dell’Italicum e il governo punta all’approvazione entro l’anno.