Con la fatidica data del 15 novembre, la consultazione on line e nei territori sulla “Buona scuola”, l’ampio e corposo documento in cui si delinea un nuovo assetto della scuola – “né referendum, né sondaggio”, secondo il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, a Matera per l’ultima tappa del tour di presentazione della proposta, “ma grande nastro di registrazione”, si è conclusa. Più di un 1 milione di accessi al sito, oltre 170mila partecipanti on line e 100mila questionari, circa 1.650 dibattiti organizzati in tutto il Paese con un primato in Emilia Romagna, circa 3.500 proposte pubbliche, 16.000 commenti e oltre 90.000 voti nelle stanze della sezione “Costruiamo insieme la Buona Scuola”, questi i dati resi noti dal ministro che ha espresso una certa cautela sulla diffusione dei risultati.
Sono forse eccessivamente ottimistiche le previsioni del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi che poche ore dopo, da Catanzaro indicava l’inizio della prossima settimana per la presentazione dei risultati della consultazione, scatenando le polemiche sull’incongruenza dei tempi necessari all’elaborazione di una così vasta mole di rilevazioni, ma è percepibile molto malumore, soprattutto tra gli insegnanti, per qualche tema particolarmente caldo.
Infatti, lo spettro che continua ad aggirarsi per la scuola italiana è il merito. Poco meno di venti anni fa, cadde Luigi Berlinguer nel nobile tentativo di introdurre meccanismi di valutazione degli insegnanti. Era stato il migliore dei ministri della Pubblica Istruzione e la scuola italiana perse, insieme alla valutazione degli insegnanti un’occasione preziosissima per crescere. I suoi successori a Viale Trastevere, di destra e di sinistra, si sono guardati bene dall’evocare quel pericoloso fantasma e Maria Stella Gelmini, che pure aveva fatto suonare la grancassa del merito all’inizio del suo mandato, si è affrettata subito a soffocarne ogni eco.
Dal settembre scorso, con la “Buona scuola”, Matteo Renzi ha riattizzato il fuoco introducendo, tra i meccanismi nodali del documento, la premialità economica in base alla valutazione degli insegnanti e questo tema tiene banco in tutte le manifestazioni e i dibattiti dei giorni scorsi. Veramente, il piano di Renzi ruota intorno a tre elementi chiave, l’assunzione di centocinquantamila supplenti, la valutazione dei docenti con la conseguente valorizzazione del merito, aumentare drasticamente l’alternanza scuola lavoro.
Dopo anni dai diversi provvedimenti e il riordino dei cicli di Berlinguer, questo è il primo piano sistemico che investe la scuola nella sua complessità e agisce su perni strategici quali sono i tre meccanismi che potranno cambiare, purtroppo non subito ma almeno in prospettiva, la scuola italiana. Ma ciò a determinate condizioni. A patto che l’assunzione dei centocinquantamila supplenti porti all’eliminazione del precariato e alla piena applicazione del dettato costituzionale per cui si accede all’insegnamento solo per concorso.
Questo è il primo requisito per una affermazione del merito che la valutazione del lavoro del docente dovrebbe sancire con meccanismi da affidare a soggetti terzi, sulla scorta del modello inglese. L’allargamento dell’alternanza scuola-lavoro è poi fondamentale per il rinnovamento se chiama in causa la didattica per competenze, soprattutto quelle chiave per la vita e la loro valutazione in termini di certificazioni spendibili sul mercato del lavoro.
Ma il malumore e la protesta che stanno animando la platea degli operatori della scuola e degli studenti non lascia presagire nulla di buono. A fronte della necessità di innovare la scuola per affrontare le sfide della complessità, la FLC-CGIL sa solo evocare la conservazione dell’esistente e sbandiera nel suo “Cantiere scuola”, le solite trite proposte e la pervicace difesa dell’avanzamento economico dei docenti per anzianità, dichiarando che non bisogna “introdurre, neanche indirettamente, elementi di gerarchia, di competizione, di individualismo o di concorrenza tra i docenti”.
Parlare di merito equivale insomma a una evocazione di Satana. Il cavallo di battaglia del sindacato diventa così una legge di iniziativa popolare del 2006, ripresentata con grande strepito come disegno di legge nel luglio scorso, contenente le più generiche e conservatrici linee di principio, praticamente fotocopia dell’esistente.
In questa tempesta, si attendono i risultati della consultazione sulla “Buona scuola” e se le spinte innovatrici contenute nel piano riusciranno a oltrepassare le diverse resistenze conservatrici, si potrà forse attendere l’avvio di un processo di modernizzazione.