Il Consiglio dei Ministri ha approvato nei giorni scorsi la legge di stabilità e il Premier Renzi l’ha presentata con grande enfasi come una manovra destinata a rilanciare l’economia italiana. Si è cominciato immediatamente a discutere di coperture e di equità, ma nell’eccitazione nessuno ha rivolto al Primo Ministro la domanda più semplice ed essenziale: quale aumento del reddito nazionale il Governo ritiene di deterrninare nel 2015 con questa manovra? In altre parole, che effetto avrà questa imponente manovra di finanza pub blica, fatta di tagli, di coperture e di deficit, sull’andamento dell’economia ita liana a partire dai prossimi mesi?
La domanda non è stata fatta e Renzi di sua volontà non ne ha parlato. Ma si tratta della domanda cruciale che viene prima ancora di discutere delle singole misure contenute nel pacchetto in risposta alla Nota al Documento di Economia e Finanza approvato il 30 settembre scorso dal Governo e passata largamente sotto silenzio, sommersa (volutamente sommersa?) dalle discussioni sull’art 18 e dintorni. Ed è una risposta molto insoddisfacente. Nella Nota, consultabile al sito http://www.mef.gov.it a pag 2, c’è una tabella molto chiara. ln essa si fa una distinzione fra il deficit tendenziale di bilancio per il 2015 e il deficit che costituisce l’obiettivo del Governo. Dai dati – come ha detto il Presidente del Consiglio – il deficit cresce di 0.7 punti percentuali (rispetto al tendenziale) pur restando sotto il 3% delle regole euro pee. Di conseguenza – si comprende dalla Nota – si potrebbe avere una qualche crescita del reddito nel 2015. Questo è tutto. Il resto riguarda singoli aspetti della manovra.
L’aspetto positivo delle decisioni del Consiglio dei ministri è che esse rivelano che il Governo ritiene efficace ai fini dell’andamento del reddito l’entità del deficit. Dopo anni di crisi che hanno distrutto un quarto della struttura produttiva dalla Tabella risulta che il Govemo prevede una riduzione tendenziale del deficit. L’aspetto negativo è che, pur consapevole di questo, il Governo non osa fare uso del deficit per dare una spinta economica. Il giudizio sulla manovra nasce dalla risposta a questo problema, prima ancora che dagli aspetti tecnici della sua composizione, il giudizio è positivo se la manovra fa sperare in una ripartenza dell’economia italiana. Altrimenti, di che cosa stiamo parlando?
La risposta che non è stata data è contenuta nella Nota di aggiornamento del Def dove, in luogodel 2,2% del deficit il Governo pensava di riportare in alto fino a quasi il 3% utilizzando questo margine per sostenere una migliore performance dell’economia. Di quanto? Esattamente dello 0,8, così da far passare il reddito nazionale da un -0,3% nel 2014 a un +0,5% ne l2015. La manovra del governo si accontenta di galleggiare senza dire però con chiarezza ai cittadini che esso prevede un altro anno di sacrifici e di perdite di posti di lavoro. Se le cose stanno così, cioè se tutto quello che il Governo si aspetta dalla manovra è un altro anno difficile, che senso ha tutta quella enfasi, come se davvero si fosse data una svolta alla vita italiana?
La domanda successiva da porre al primo ministro è che cosa lo trattiene dal fare di più. Perché non ha utilizzato con più coraggio lo strumento della finanza pubblica per determinare l’ini zio di una nuova fase di crescita? Se uno 0,7% di deficit viene giudicato utile, allora un 1,7 o un 2% sarebbe ancora più utile e forse determinante per ridare speranza e fiducia a imprenditori e consumatori. Si deve anche aggiungere che solo nel quadro di un’economia che si riprende ha un senso ridurre l’Irap pagata dalle imprese. ln un’economia che cresce il miglioramento dei redditi di impresa può diventare espansione della produzione e dell’occupazione. In un’economia stagnante non vi è garanzia che un aumento di redditi di impresa si trasforrni in investimenti o consumi. Il rischio è che vada solo verso il risparmio o peggio che alimenti i movimenti di capitale.
Posso immaginare la risposta del Govemo e cioè che, se già il 2,9% di deficit rischia di provocare il giudizio negativo della Commissione Europea, figurarsi cosa avverrebbe se andassimo oltre il3% e ci ripromettessimo di farlo per più anni. Il tutto rafforzato dai segnali che provengono dai mercati finanziari di questi giorni. Personalmente non penso che sia così, ma se è così, si tratta di un problema politico di prima grandezza che non può essere nascosto agli italiani. Se stare in Europa comporta una lunga interminabile deflazione, i cittadini lo debbono sapere e decidere se il prezzo economico che si paga è giustificato dal valore politico di aderire al vincolo europeo.