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Atradius: ecco perchè la Crisi è ancora in atto

L’esistenza dell’Euro è non è più in discussione, ma le ragioni fondamentali alla base della Crisi non sono state affrontate: il quadro istituzionale resta insufficiente e le riforme sono ostacolate dalla compiacenza dei gruppi d’interesse nazionali.

Atradius: ecco perchè la Crisi è ancora in atto

Negli ultimi mesi molte personalità politiche hanno rilasciato dichiarazioni sulla fine della crisi dell’Eurozona e sulla sua relativa disgregazione. I rendimenti dei titoli sovrani sono scesi e la crescita economica è tornata. Ma la dinamica del PIL resta debole e la disoccupazione elevata: la crisi dell’Euro è dunque veramente finita?

Il rischio di un collasso dell’Eurozona è diminuito in seguito alle riforme adottate dai Paesi in crisi, al miglioramento del quadro istituzionale comunitario e, in particolare, all’impegno assunto nell’estate del 2012 dal Presidente della BCE Mario Draghi nel fare esplicitamente “tutto il necessario” per proteggere l’Euro. Le misure di austerità e le riforme strutturali attuate in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna hanno contribuito al riequilibrio di queste economie. Le misure sono state impressionanti ma dolorose. Tuttavia, le difficoltà, secondo quanto pubblicato da Atradius, stanno pagando. Sono caduti i costi unitari del lavoro (tra il 8,5% in Spagna e il 13% in Grecia), migliorando in competitività, export, riduzione delle importazioni e trasformato il conto corrente da deficit in surplus. E tutto questo a vantaggio della sostenibilità a lungo termine dell’Eurozona. Le riforme istituzionali a livello sovranazionale hanno anche contribuito ad affrontare alcune delle cause di fondo della crisi: la mancanza di coordinamento inter-comunitario, il fallimento della sorveglianza di bilancio e l’incompiutezza della stessa Eurozona. Il coordinamento delle politiche, il rafforzamento di sorveglianza fiscale, squilibri macroeconomici e azioni correttive son tutte misure di rafforzamento dell’integrazione economica e fiscale. Inoltre, notevoli progressi sono stati compiuti con l’Unione Bancaria, i cui caratteri peculiari vanno ritrovati nella vigilanza bancaria comune (il Meccanismo di Vigilanza attualmente in fase di costituzione da parte della BCE) e nel Fondo Comune di Risoluzione Bancaria, con lo scopo di spezzare il legame vizioso tra Stati sovrani e banche nazionali, rivelatosi particolarmente dirompente durante la Crisi. I creditori bancari, da parte loro, saranno coinvolti nelle misure di risoluzione bancaria, ponendo così fine ai salvataggi massicci pagati dai contribuenti. Senza dimenticare le misure di politica monetaria adottate dalla BCE, che hanno contribuito al ripristino della fiducia dei mercati. I tassi di interesse sono stati tagliati ulteriormente, le banche dell’Eurozona sono state finanziate a lungo termine attraverso operazioni a lungo termine (ORLT) e, come già sottolineato, la BCE ha dichiarato che avrebbe fatto “tutto il necessario” per proteggere l’Euro, agendo in tal modo sulle aspettative degli investitori. Di conseguenza, i rendimenti dei titoli sovrani sono scesi in modo significativo e le condizioni di finanziamento per banche e imprese sono migliorate (in particolare per i Paesi dell’Europa Merifionale). Tutto questo, insieme ai miglioramenti del contesto globale, ha contribuito a un ritorno alla crescita dell’economia dell’Eurozona nel corso del 2013, compresi i
Paesi in crisi ad eccezione della Grecia, dove tuttavia il ritmo di contrazione del PIL sta rallentando.

Nonostante le condizioni di miglioramento, la crescita economica rimane lenta in tutta l’Eurozona. La dinamica del PIL è appesantita da livelli ridotti di investimento da parte delle imprese e di spesa da parte dei consumatori. Il potere d’acquisto dei consumatori rimane sotto pressione date le misure di consolidamento fiscale adottate. Il costo del lavoro potrebbe
essere diminuito, ma questo a scapito dei redditi stessi delle famiglie piuttosto che come risultato della crescente produttività
. Allo stesso tempo, sulla domanda dei consumatori pesa il tasso di disoccupazione ancora elevato. E con una crescita economica debole e l’inflazione in calo, la paura di un prolungato periodo di stagnazione nell’Eurozona è in aumento.

In questo scenario il debito ha continuato a crescere e si prevede che aumenti ulteriormente dal momento che la maggior parte dei Paesi deve ancora affrontare il problema del deficit di bilancio. E un riacutizzarsi dell’avversione al rischio farebbe rapidamente erodere le finanze pubbliche e la solvibilità dei governi. Nonostante la caduta dei tassi di interesse sui prestiti al consumo e alle imprese, i livelli rimangono alti in tutti i Paesi dell’Europa Meridionale, di molto superiori ai tassi tedeschi. Le imprese in Spagna e Italia pagano circa 50% in più sui nuovi finanziamenti rispetto alle imprese tedesche. A causa della caduta del livello di inflazione, inoltre, il tasso di interesse reale è sceso in maniera più pesante rispetto al dato nominale. Le banche in questi Paesi sono ancora estremamente caute con l’erogazione di prestiti, concentrandosi principalmente sulla pulizia dei propri bilanci a seguito degli stress-test in corso a livello comunitario.

Ecco allora che il quadro istituzionale potrebbe essere migliorato, ma resta da chiedersi se questo sarà sufficiente. Le numerose misure rientrano ben al di sotto della più volte citata necessità di una piena mutualizzazione di obblighi finanziari. La creazione di un sistema di assicurazione dei depositi a livello di Eurozona è stato completamente demolito a causa delle resistenza politica, mentre l’Unione Bancaria deve ancora essere pienamente realizzata e la sua efficacia dimostrata. Limitato a 55 miliardi di euro, il Fondo di Salvataggio delle banche è relativamente piccolo e, mentre il Fondo di Salvataggio Permanente (ESM) ha una 400 mld di capacità di back-up del debito sovrano, ci sono voluti più di 200 mld per il salvataggio della sola Grecia. Molti governi hanno ancora un disperato bisogno di attuare o rendere più incisive le necessarie riforme strutturali, ma questo non è altro che il primo passo data la necessità di una strategia di lungo termine per la crescita. A questo proposito nel mese di giugno la Commissione
Europea ha invitato Francia e Italia, la seconda e la terza più grande economia dell’Eurozona, ad intensificare gli sforzi riformatori. La sostanziale differenza tra le prestazioni di questi Paesi e la Germania è relativa alle politiche di crescita, non solo di mero consolidamento. L’allentamento della pressione del mercato finanziario riduce l’incentivo per i governi a proseguire i propri sforzi di riforma. E senza il contemporaneo proseguimento della riforma economico-istituzionale dell’Eurozona la completa ripresa sarà sempre più lontana, il che rende più difficile attuare e migliorare l’esistente quadro istituzionale comunitario.

L’esistenza dell’Euro è non è più in discussione. Ma la crisi economica è ancora in corso: la ripresa economica è ancora lontana dall’essere completa, la disoccupazione rimane ostinatamente alta e il livello generale dei prezzi è pericolosamente basso. Molti consumatori e imprese in tutto il continente ne risentono ancora. Senza dimenticare che le ragioni fondamentali alla base della crisi dell’Euro non sono ancora state pienamente affrontate: il quadro istituzionale resta insufficiente e gli sforzi di riforma sono ostacolati dalla compiacenza dei gruppi d’interesse nazionali. Il tutto lasciando l’Eurozona estremamente vulnerabile alle crisi nel futuro.

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