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Il mercato italiano dei pagamenti tra Scilla e Cariddi

Che senso ha emettere una fattura elettronica se poi il debitore paga via ricevuta bancaria o con assegno? – Va invertita la direzione del cosiddetto sussidio incrociato che oggi vede la tariffazione degli strumenti elettronici andare implicitamente a sovvenzionare il costo nascosto del contante.

Il mercato italiano dei pagamenti tra Scilla e Cariddi

Per l’Italia, il dopo Sepa, processo portato faticosamente a termine in queste ultime settimane (sono ormai migrati al nuovo formato la quasi totalità dei bonifici e quasi il 90% degli addebiti diretti), si caratterizzerà per due aspetti peculiari, che rischiano di farci cogliere solo in misura ridotta i benefici della standardizzazione europea dei pagamenti.

I due profili, che ci differenziano dagli altri paesi europei, riguardano la dimensione del mercato nazionale dei pagamenti diversi dal contante e la sua composizione. Gli strumenti annualmente emessi in Italia sono infatti pari a poco più di quattro miliardi contro i quasi venti miliardi ciascuno di Francia, Germania e Gran Bretagna.

Se poi consideriamo solo i pagamenti elettronici del mondo Sepa (addebiti, bonifici e carte di credito e di debito) il numero scende sotto ai tre miliardi, dato che, e questo è il secondo punto, gli strumenti di pagamento che non vi migreranno, continuando ad avere rilevanza solo in ambito nazionale, vale a dire assegni, bollettini postali, ricevute bancarie ed altro ammontano a oltre 1,2 miliardi annui.

Queste due peculiarità costituiscono altrettanti disallineamenti strutturali rispetto alla situazione dei nostri competitors e tenderanno ad influenzare negativamente lo sviluppo del mercato italiano dei pagamenti elettronici, se non si pongono in essere decise misure correttive anche d’ordine legislativo.

In definitiva, il nostro Paese, presentandosi all’appuntamento europeo della Sepa e della Unione Bancaria con tre macro segmentazioni (contante, strumenti elettronici Sepa e strumenti domestici di pagamento), non ha la ragionevole certezza di vedere l’affermazione dei più efficienti e sicuri strumenti Sepa. 

Bisogna ad ogni costo evitare che essi restino schiacciati tra il contante da un lato e i bollettini postali e le RiBa, dall’altro, con impatto anche su altri processi di rinnovamento, indispensabili al nostro Paese. Tra questi, la fatturazione elettronica, per quanto abbia fatto di recente passi in avanti, rischia di non integrarsi con i flussi di pagamento più avanzati. 

Cosicché le distonie dal lato dei pagamenti potrebbero creare ostacoli allo sviluppo della stessa economia digitale su cui pure il governo è fortemente impegnato, come emerso nel corso della Digital Economy Week, organizzata a Venezia tra il 7 e l’11 luglio scorsi, che ha visto la partecipazione del premier Renzi e del commissario europeo Nelly Kreise. 

Infatti, che senso ha emettere una fattura elettronica se poi il debitore paga via ricevuta bancaria o con assegno? Quale dei due fattori determinerà il livello del servizio: quello digitale o la solita carta dei pagamenti domestici? E quali saranno gli effetti sui prezzi? Cosa fare dunque?

In primo luogo, va invertita la direzione del cosiddetto sussidio incrociato che oggi vede la tariffazione degli strumenti elettronici andare implicitamente a sovvenzionare il costo nascosto del contante. Bisogna rendere appetibile per le parti di ogni transazione commerciale l’uso dei pagamenti elettronici.

Questa opzione riposa non tanto sulla imposizione di limiti quantitativi alle transazioni in contante o su strumenti più o meno obbligati quali la social card o il conto corrente di base del governo Monti quanto sulla convenienza economica: la questione prezzi è la vera variabile in grado di imprimere una radicale svolta alle abitudini del paese. 

Purtroppo i segnali in questo senso non sono soltanto deboli, ma addirittura contraddittori, se nel decreto 51/2014, si torna a legittimare una commissione a carico dell’utente per i pagamenti elettronici dei carburanti fino a 30 euro. Anche le politiche di prezzo degli intermediari, scaturite dagli obblighi per i professionisti di utilizzare i Pos oltre i 30 euro, non appaiono di particolare favore per far godere dei benefici che la tecnologia rende disponibili a costi di produzione in rapida diminuzione.

Bisogna poi sempre ricordarsi che surcharging (applicazione di commissioni di pagamento per l’acquisto di beni o servizi) e il double charging (doppia commissione per un addebito diretto, una per l’incasso e una per il pagamento) a carico del consumatore finale, sono vietate per legge. Sono quindi auspicabili politiche sanzionatorie coerenti e in questa direzione sembra andare il recente recepimento in Italia della Direttiva sui Consumer Rights, che potrà scoraggiare anche pratiche, non certo trasparenti, volte, ad esempio, ad applicare commissioni sulla contabilizzazione sul conto corrente bancario di operazioni di pagamento.

Bisogna sempre più differenziare i servizi di pagamento da altri servizi bancari e finanziari, facendo diventare contratto tipico dell’ordinamento italiano il conto di pagamento che va legittimato sotto ogni profilo, civilistico e fiscale. Resta infine il problema degli strumenti domestici di pagamento quali i bollettini postali che soltanto un provvedimento legislativo potrebbe risolvere, indirizzandoli verso la tipizzazione europea dei bonifici. 

Insomma nonostante l’avvenuta migrazione in Sepa, il cammino da compiere per l’Italia è ancora lungo, con questioni aperte che solo politiche coerenti, che evitino incertezze nella direzione da seguire, possono aiutare a risolvere. Altrimenti la parte più evoluta del sistema dei pagamenti non potrà che continuare a dibattersi tra la Scilla del contante e la Cariddi delle altre peculiarità domestiche, finendo soltanto per retrocedere.

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