Reims è la capitale dello champagne. Niente di meglio per André Greipel per festeggiare la sua prima vittoria al Tour che rompe il monopolio di Kittel nelle volate e per Vincenzo Nibali, che porta per il quinto giorno la maglia gialla, un primato quello dell’italiano sempre più autorevole dopo la superba prova sul pavé della Roubaix cui l’Equipe ha dedicato tutta l’intera prima pagina con un titolo, “Dantesque” che dice tutta l’ammirazione dei francesi per il campione italiano.
Pioggia e vento rendono anche la sesta tappa insidiosa e piena di trabocchetti, con la solita catena di cadute, una delle quali obbliga al ritiro anche Jesus Hernandez, privando Contador di un fido scudiero. Ma non c’è il pavé a incarognire il tracciato, non ci sono difficoltà altimetriche per poter pensare a soluzioni diverse da una gran volata finale. Il panorama è grigio, autunnale, in sintonia con i drammatici ricordi che suggeriscono i luoghi attraversati oggi dal Tour: siamo sulla linea del fronte della Prima Guerra mondiale.
A dare solennità al ricordo della battaglia di Chemin des dames che fece decine di migliaia di vittime c’è anche sulla macchina dell’organizzazione il presidente francese, François Hollande. I drammi sportivi per fortuna sono di minore entità. E il Tour, mentre celebra l’autorevolezza di Nibali, non può dimenticare la malasorte che ha messo fuori gioco Chris Froome, ieri ancor prima che il terribile pavé iniziasse. “Un polso ferito e le condizioni difficili rendevano pressoché impossibile controllare la mia bici”: con questo tweet il campione britannico, affranto e deluso, ha spiegato le ragioni del suo abbandono, mentre sull’auto del Team Sky tornava in un albergo nei pressi di Lille.
Tre cadute nel giro di ventiquattr’ore avevano tolto molte certezze a quello che l’anno scorso era di questi tempi l’imbattibile dominatore del Tour: la paura del peggio si è impossessata di Froome che non se l’è più sentita di rischiare oltre, la stessa sindrome che paralizzò Bradley Wiggins al Giro del 2013, sfiduciato e confuso per i ripetuti capitomboli, sotto una pioggia autunnale e fredda, lo stesso clima che ha caratterizzato la tappa di ieri del Tour, rendendo i tratti di pavé un inferno di fango e di insidie.
Froome e Wiggins, i due campioni, che hanno portato sul tetto del mondo il ciclismo inglese, divisi ormai da una rivalità difficilmente ricomponibile, sembrano appaiati dallo stesso destino di vivere una stagione buia e disgraziata subito dopo un anno in cui hanno vinto tutto. Forse una migliore diplomazia in casa Sky, evitando di acuire la frattura tra i due galli, avrebbe aiutato a superare l’imbarazzante situazione in cui si trova ora l’ex corazzata britannica diretta da Dave Brailsford. Anche Greg Lemond, l’americano tre volte vincitore del Tour che segue la corsa francese per Eurosport, ha criticato la scelta di non portare al Tour Wiggins per evitare frizioni con Froome, puntando tutto sul keniota bianco.
Ora , con Wiggo rimasto a casa e con Froome in ospedale a fare radiografie, il Team Sky punta sull’australiano Richie Porte, che ieri si è salvato sul pavé limitando il ritardo da Nibali, ma che difficilmente potrà inserirsi nella lotta per il successo finale, una lotta che pare ristretta tra l’attuale maglia gialla e Contador. Lo spagnolo è uscito sconfitto ieri, anche sonoramente accusando un ritardo da Nibali di oltre 2 minuti e mezzo, ma se ha perso la battaglia del pavé, non ha ancora perso la guerra del Tour, che è lungo, con Alpi e Pirenei da affrontare, e che nasconde in ogni momento insidie.
Il Contador visto quest’anno alla Tirreno-Adriatico può far male a chiunque sulle montagne. Nibali lo sa e fa bene ad essere saggiamente prudente pur avendo già accumulato un vantaggio sostanzioso, incredibile da prevedere alla partenza da Leeds. Al di là della sfida tecnica, che si preannuncia spettacolare, c’è poi il fattore fortuna. Ne sa qualcosa Froome. Le cadute stanno diventando un angoscioso problema del ciclismo d’oggi tecnologico ma impotente a evitare i pericoli di strade piene di trabocchetti sotto forma di rotonde, marciapiedi spartitraffico, spettatori sempre più imprudenti per la mania di foto e di selfie. Le cadute fanno parte del mestiere ma oggi si va per terra anche su rettilinei che non presentano ostacoli: colpa della velocità, dell’affollamento del gruppo, dei pneumatici troppo gonfiati che aiutano ad alzare la media ma abbassano l’aderenza all’asfalto? L’elenco dei ruzzoloni, tutti pericolosi per l’incolumità degli atleti coinvolti, è un quotidiano bollettino di guerra. Siamo alla sesta tappa e sono davvero pochi – Nibali è tra questi – quelli che non sono ruzzolati per terra con danni più o meno seri. Cavendish il primo giorno, Andy Schleck nella terza tappa, Froome ieri sono solo le vittime più illustri di questa ecatombe che è continuata anche oggi sulle strade verso Reims, la città che nel 1958 vide in maglia iridata Ercole Baldini e che oggi ha reso omaggio a un altro italiano sempre più maglia gialla.