Il voto europeo del 25 maggio ha manifestato un segnale forte di insofferenza verso l’Europa, ma nel complesso il sistema ha tenuto, anche grazie al sorprendente voto italiano.
Gli euroscettici hanno raggiunto la soglia del 18% dei seggi del parlamento europeo, meno di un quinto del totale. Quindi la marea euroscettica, che si paventava alla vigilia del voto non c’è stata, o almeno è stata molto meno di quanto indicavano i sondaggi, ancora una volta rivelatisi fallaci.
Va notato, inoltre, che questi gruppi politici sono molto divisi tra di loro, proprio in quanto espressioni nazionali e quindi questo ridurrà di molto la loro efficacia sul Parlamento stesso.
Sono formazioni politiche che parlano soprattutto alla parte irrazionale degli elettori, alle loro paure, ai timori di fronte ai cambiamenti portati dalla globalizzazione. Sarà difficile per le forze tradizionali presenti nel Parlamento Ue trattare con loro, trovare compromessi. Si potrà solo solo lasciarli isolati, farne vedere i limiti propositivi, eroderne gradualmente il consenso.
Certo, il clamoroso risultato francese e inglese suonano come un pesante avvertimento che qualcosa non va nella Ue di oggi. Il Front Nationale di Marine Le Pen è arrivato primo in Francia con il 24,9% dei voti, come l’Ukip di Nigel Farage, dell’United Kingdom Independence Party, che è giunto al 27,5%. Ma sono entrambi sono risposte di retroguardia, di ritorno ai confini delle piccole patrie. Non a caso Ukip si pronuncia in inglese you keep, cioè tu resti, mantieni, conservi un sogno impossibile.
Il ritorno al passato è un segnale di ritorno alle nazioni, a soluzioni del secolo scorso. Forse qualche competenza, oggi delegata a Bruxelles, potrà tornare nei confini nazionali, ma altri dossier come l’energia, le politiche industriali, la fiscalità societaria e la difesa dovranno essere devolute al centro di un sistema federale, altrimenti questo appena eletto potrà essere l’ultimo parlamento europeo.