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Russia: il 2014 rischia di chiudersi in bianco

Le prospettive dell’economia, indebolite dai diversi fattori strutturali, sono peggiorate sensibilmente per effetto della crisi con l’Ucraina: vanno riviste al ribasso le stime di crescita con particolare attenzione alla fuga di IDE e capitali.

Russia: il 2014 rischia di chiudersi in bianco

Nel 2013 il tasso di crescita dell’economia russa ha frenato all’1,3% dal 3,5% registrato l’anno precedente. La crescita tendenziale del PIL è stata particolarmente debole nella prima metà dell’anno (inferiore all’1%), penalizzata dal calo della produzione nei settori agricolo, edile e pubblica utilità. Nella parte finale del 2013 vi è stata una modesta accelerazione grazie al recupero dell’attività agricola e della produzione manifatturiera. Dal lato della domanda, il rallentamento dell’economia è stato dovuto sia al calo degli investimenti (a -0,3% da +4,9% nel 2012), dopo il completamento di importanti progetti riguardanti settore energetico e opere pubbliche e per effetto della persistente debolezza dell’edilizia, sia alla frenata dei consumi delle famiglie (a +4,8% da +7,6%). Su questa componente ha pesato l’impatto negativo sul reddito disponibile dell’elevata inflazione e del deprezzamento del rublo. Il commercio estero ha invece aggiunto 0,2% al PIL nel 2013, grazie all’accelerazione dell’export e la contemporanea frenata delle importazioni. Nel primo trimestre di quest’anno il tasso di crescita tendenziale della produzione industriale è stato pari all’1,2%. L’andamento sostenuto dell’attività manifatturiera (+2,5%) ha più che bilanciato il calo dei servizi di pubblica utilità (-2,1%) e la modesta crescita dell’attività di estrazione (+0,8%), con il petrolio in aumento dell’1,3% e il gas in diminuzione dell’1,3%.

Le prospettive dell’economia sono peggiorate sensibilmente con il deterioramento dei rapporti con l’Occidente dovuto alla crisi con l’Ucraina. L’impatto delle sanzioni sinora annunciate è limitato in quanto le stesse vanno a colpire individui e società con scarsi rapporti con le economie occidentali. Sono destinati invece a pesare i rialzi dei tassi operati dalla Banca Centrale (in due riprese a febbraio e aprile dal 5,5% al 7,5%) per contrastare le pressioni al ribasso sulla valuta e la fuga di capitali privati. In prospettiva, gli investimenti sono attesi risentire negativamente delle preoccupazioni inerenti gli sviluppi politici ed economici, di un più contenuto flusso di capitali dall’estero per investimenti produttivi, della minore disponibilità di capitali private all’interno e dell’aumento del costo del denaro. Sui consumi privati, inoltre, si sentiranno gli effetti dell’erosione del potere di acquisto dovuto all’aumento dei prezzi dei beni importati a causa del deprezzamento del rublo, oltre che di condizioni creditizie più restrittive. I recenti sviluppi hanno determinato diffuse revisioni al ribasso delle stime di crescita dell’economia russa rispetto alle aspettative di inizio anno. Secondo Intesa Sanpaolo, che vede un progressivo rientro delle tensioni tra Russia e Occidente a partire dalla seconda metà del 2014 grazie ad una soluzione politica concordata della questione Ucraina dopo le elezioni in calendario a fine maggio, l’economia russa potrebbe registrare una crescita zero nel 2014 sostenuta dai consumi pubblici che, assieme al calo delle importazioni, bilancerebbero la caduta degli investimenti. Nel 2015 è previsto un contenuto rimbalzo del PIL (+1%) grazie al recupero dei consumi privati e delle esportazioni. Gli investimenti sono previsti in calo sia quest’anno (-5%) che, seppur in misura più contenuta (-0,5%), nel 2015. Il commercio estero è atteso dare un contributo positivo alla crescita nel 2014 (circa 1%) grazie alla diminuzione delle importazioni.

L’economia della Russia dipende fortemente dal minerario, in particolare l’estrazione e la lavorazione di gas e petrolio, che forniscono oltre i due terzi degli incassi export e quasi il 70% delle entrate fiscali. Lo sfruttamento delle risorse minerarie, oltre a finanziare la spesa pubblica sia corrente che per investimenti, ha importanti ricadute sugli altri settori, in particolare i servizi. Gli incassi dalla vendita di materie prime hanno permesso al Paese di accumulare consistenti riserve valutarie (560 miliardi di dollari a fine 2013) e di accantonare rilevanti risorse in due Fondi Sovrani (pari a oltre 170 mld a dicembre 2013). Queste risorse si sono rilevate particolarmente utili per uscire dalla crisi finanziaria mondiale degli anni 2008-09. Grazie anche al favorevole ciclo delle materie prime, nell’ultimo decennio la crescita media del reddito pro capite in Russia (+19%) è stata la più elevata tra i paesi BRIC (Cina +18,5%; Brasile +14,5%; India +10,7%). Ma un processo di sviluppo legato pesantemente alle materie prime ha evidenziato tuttavia anche punti di debolezza. La sostenuta domanda interna a fronte di strozzature dal lato dell’offerta ha determinato pressioni al rialzo sui prezzi. La Russia registra tassi d’inflazione più elevati rispetto alle maggiori economie (11,3% medio nel periodo 2004-08, oltre il 6% tendenziale a fine 2013). E, mancando un’adeguata offerta da produzioni domestiche, una buona parte della domanda si è indirizzata verso l’estero. Le importazioni hanno presentato tassi di espansione a doppia cifra, pur in presenza di una buona dinamica delle esportazioni di prodotti energetici, sottraendo quote significative al PIL. Diversi fattori di tipo strutturale limitano in aggiunta le potenzialità di crescita, tra di essi il basso tasso di natalità del Paese, il contenuto tasso di accumulazione di capitale, l’inadeguatezza di infrastrutture e tecnologie, una presenza dello Stato ancora diffusa nell’economia, in particolare in settori chiave come l’energetico e il bancario, che pesa sulla propensione a investire del settore privato e pone forti limiti alla competitività nei servizi. Senza dimenticare una posizione relativamente non avanzata nei ranking internazionali della Banca Mondiale sulla facilità di condurre affari nel Paese. Tutte queste debolezze implicano una crescita potenziale particolarmente bassa stimata attualmente dalla Banca Centrale a un tasso compreso tra il 2 e il 2,25%.

Nel 2013 il Bilancio dello Stato ha registrato un deficit pari allo 0,5% del PIL mentre il deficit non-oil è stimato pari al 10,2% del PIL. Il Bilancio pluriennale 2013-15 pone come obiettivo il pareggio di bilancio e un deficit non-oil pari all’8,5% nel 2015. E’ stata inoltre introdotta una regola (“Fiscal Rule”) che lega la spesa pubblica al prezzo medio del petrolio, pareggiando i conti pubblici (114 dollari nel 2013, 108,6 nel 2014 e 105,4 nel 2015) in modo da mantenere maggiormente sotto controllo il deficit non-oil nei periodi di favorevole dinamica del prezzo del petrolio. Nel 2013, le entrate da idrocarburi inferiori alle attese e dei mancati proventi da privatizzazioni hanno impedito nuovi accantonamenti ai due Fondi Sovrani, il Fondo di Riserva (la cui consistenza a marzo 2014 era pari a 87 miliardi) e al Fondo Ricchezza Nazionale, che a marzo aveva una capitalizzazione di 88 miliardi. Nonostante questo, il deteriorarsi dei rapporti tra Russia e Occidente sulla questione Ucraina, unite al crescente pessimismo sulle prospettive dell’economia, ha determinato un sostanziale calo degli IDE, scesi a 11,9 mld da 37,1 mld nello stesso periodo del 2013, e degli investimenti di portafoglio, che hanno visto disinvestimenti netti da parte dall’estero pari a 7,5 mld da gennaio a marzo). Le persistenti pressioni al ribasso sulla valuta contrastate dalla Banca Centrale hanno a loro volta contribuito ai deflussi di capitale. Le famiglie hanno acquistato valuta e depositi per 20 mld, gli istituti di credito hanno ridotto la loro esposizione in valuta di altri 20 mld.

Nel primo trimestre di quest’anno la Bilancia dei Pagamenti ha riportato un deficit complessivo pari a 27,3 mld rispetto ad un surplus di 4,9 mld nello stesso periodo del 2013. A fine marzo le riserve in valuta ammontavano a 430 mld rispetto a 464 mld dell’anno precedente. Le agenzie di rating collocano il debito sovrano in valuta della Russia all’interno della scala di investment grade (BBB- per S&P’s, BBB per Fitch, Baa1 per Moody’s). Questa valutazione è sostenuta dall’ampio surplus corrente, da consistenti riserve in valuta e disponibilità dei Fondi Sovrani e dal contenuto debito estero in rapporto al PIL. Di recente S&P’s ha tagliato il rating da BBB a BBB-, Moody’s ha posto il debito sotto revisione per un possibile taglio di rating mentre Fitch ha introdotto un outlook negativo, a causa del peggioramento delle prospettive di crescita dovuto ai recenti sviluppi geopolitici e alle pressioni determinate dalla fuga di capitali.

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