Giovanni Frangi (Milano, 1959) presenta al Maxxi nella sala Corner una sua recente installazione dal titolo Mollate le vele – uno stendardo per Jonas. Questo intervento avviene in concomitanza del XII Seminario nazionale di Jonas che si terrà presso l Auditorium del Maxxi dal 9 al 11 maggio 2014
Massimo Recalcati, fondatore dell’ associazione Jonas, presente nelle maggiori città italiane con l’obbiettivo una psicoterapia a cifre sostenibili, ha da sempre avuto un interesse speciale per le arti figurative e ha seguito il lavoro di Giovanni di Frangi negli anni recenti . Nel volume Il miracolo della forma. Per un estetica psicanalitica edito da Mondadori inizia a scrivere dell’opera di Frangi e con uno sguardo diverso dal consueto ha contribuito in maniera attiva in alcune sue occasioni espositive recenti.
Frangi e Recalcati hanno pensato di unire due esperienze apparentemente lontane ma con delle forti affinità elettive non solo legate dalla loro biografia.
Una nota su Giovanni Frangi al Maxxi
Massimo Recalcati
“Due grandi telieri di sei metri per tre saranno appesi come delle vele su due putrelle di ferro nel centro della sala…Le tele sono cucite e il rattoppo diventa parte dell’opera…Recto e verso di due situazioni legate all’ultima fase del mio lavoro in cui la linea del paesaggio si muove libera senza una centralità prospettica ma come acquisizione di una linea che scorre quasi senza interruzione creando il ritmo dell’immagine…Intorno, appoggiate sul pavimento una serie di sculture fatte di gommapiuma stanno qua e là nella stanza come frammenti di arcipelaghi o piccoli scogli…”. Così Giovanni Frangi descrive l’installazione pittorica e scultorea che ha costruito per celebrare al Maxxi Corner il XII Convegno nazionale di Jonas Onlus.
La natura è fatta a pezzi, sdoppiata, sbriciolata come i piccoli scogli neri catramosi sparsi sul pavimento? Strappata come le vele appese? Ridotta alla linea del disegno che segue i contorni del paesaggio? E’ quello di Frangi rispetto alla natura un gesto nichilistico?
No, certamente. Non è di questo che si tratta. Qui ritroviamo piuttosto la linea poetica più decisiva della sua opera che è quella di un corpo a corpo con la natura e con l’infinito che in essa abita misteriosamente. Come sempre nessuna metafisica astrattista. Nessuno sconto alla durezza e alla fatica della figurazione. Ma in questo caso l’uso di un materiale povero come le tele di materasso o la gommapiuma delle sculture rivelano un tratto particolare di questo corpo a corpo. Se in Frangi siamo abituati a vedere come tutto della natura, ogni suo frammento, venga elevato, attraverso la potenza del colore, alla dignità dell’assoluto, in questa installazione, rigidamente in chiaro e scuro, si rivela la presenza di una ascendenza meno evidente che attraversa il suo lavoro più classicamente neo-espressionista sulla figura promosso con grande energia e variazione di temi in tutti questi anni; rivela l’ascendenza dell’arte e, in particolare, delle stanze di Kounellis con le vele appese che hanno costituito, secondo quanto dichiara l’artista stesso, il primo riferimento, la prima associazione libera, che ha messo in moto il progetto. L’arte povera trasforma i materiali più umili in cifre, in icone enigmatiche, cariche di senso. Rende il finito indice dell’infinito. Trasfigura la reliquia dal corpo del santo al corpo della natura e ai suoi molteplici modi. Arcipelaghi, scogli, brandelli, vele…La suggestione non è quella provocata dall’intensità del colore ma scaturisce dall’assemblaggio lirico di materiali e di gesti pittorici. Questa natura non precede selvaggiamente il linguaggio ma fa la sua irruzione grazie al linguaggio nel linguaggio. Il bianco e il nero appaiono come i fondamenti della vita e della morte. Contrari che si toccano, due facce della stessa vela: pesantezza e leggerezza, notte e giorno, buio e luce. Come avviene nell’arte povera in questa installazione, carica di pittura, la povertà della materia denuda la dimensione finita della nostra condizione umana. Ma, al tempo stesso, apre sul mistero di una presenza che non esaurisce mai tutta in quello che è. Doppio volto del mondo, doppia vela del mondo. Dove la presenza è sempre, per principio, al di là della presenza. E’ la funzione del velo che gli psicoanalisti conoscono bene. Dove ogni presenza è sempre abitata da un’assenza, sempre spalancata – sempre – sull’altrove.