Mariano Rajoy sorride soddisfatto. La Spagna si è lasciata ufficialmente la crisi alle spalle e può dire di essere il primo Paese dell’Europa del Sud a sperare in una solida ripresa. Si prevede infatti una crescita del Pil media nei prossimi due anni di almeno l’1,5%, sebbene i conti pubblici lascino ancora a desiderare (il disavanzo pubblico viaggia attorno al 7% anno e il debito è superiore al 90% del Pil) e il tasso di disoccupazione sia abbondantemente al di sopra del 20%.
Fuoco di paglia dunque? L’analisi è complessa. Ovviamente la Spagna è ancora in convalescenza. Le ferite prodotte dalla crisi sono tuttora visibili: migliaia di piccole aziende hanno ancora le saracinesche abbassate, così molti negozi, mentre nelle grandi città e nei centri turistici i cartelli “vendesi” e “affittasi” si sprecano. Come a dire che la cruda realtà di tutti i giorni si scontra contro le statistiche macroeconomiche che indicano una positiva inversione di tendenza congiunturale in tutti i settori, tranne nei consumi energetici che sono diminuiti.
Come a dire che l’onda del miglioramento non ha ancora invaso il territorio e la gente continua a soffrire. Ma con un altro spirito rispetto agli scorsi mesi. E’ infatti riaffiorata la speranza e con essa la voglia di rimboccarsi le maniche e di intraprendere nuovamente. Si tratta di piccoli focolai sparsi qua e là, ma significativi della volontà degli spagnoli di dare fiamma alla ripresa.
La Spagna si è dunque data gli strumenti per alimentare il volano dell’economia e per dare un taglio al passato. Merito sicuramente del Governo di centro-destra (dopo due di sinistra) guidato da Mariano Rajoy, che ha saputo, con l’intelligente aiuto del Ministro dell’Economia, rimettere in carreggiata il Paese con un paio di aggiustamenti che erano imprescindibili.
Il primo, di gran lunga il più atteso, quello che ha reso il mercato del lavoro più flessibile, meno oneroso e quindi più competitivo. Anche se i detrattori affermano che l’aumento della produttività è dato soprattutto dai tanti licenziamenti decisi negli ultimi anni. Il secondo, quello che (grazie anche al consistente aiuto dell’Europa) ha permesso di risanare il settore bancario del Paese e quindi di favorire la riapertura del rubinetto del credito verso le imprese, ma anche al consumo.
Sta di fatto che ad analizzare gli ultimi dati trimestrali, ci si accorge che i consumi sono cresciuti, che gli investimenti (anche quelli dall’estero) sono aumentati, che l’aumento della disoccupazione (una costante degli ultimi anni) si è arrestata. Non a caso la Spagna è riuscita a convincere un gruppo come Renault a restare nel Paese, ad incrementare il flusso delle esportazioni a dimostrazione che la competitività dei prodotti spagnoli è un fatto concreto, a ritornare con i suoi titoli pubblici sui mercati senza alcun problema. Lo spread è ai livelli italiani, mentre le agenzie di rating sono convinte che la Spagna ha un grande avvenire davanti a sé.
Ma ci sono anche altri segnali da non sottovalutare. Il mercato immobiliare ha ripreso a muoversi in positivo, il turismo cresce di anno in anno (favorito anche all’instabilità dei vicini Paesi africani) e con esso il flusso autostradale, mentre il risparmio delle famiglie dà qualche timido segnale di vitalità.
A tutto questo va aggiunta una stabilità politica che sarebbe da prendere a esempio in Italia, con un premier in sella più che mai, sostenuto sia dalla casa regnante, sia dalla popolazione. Non a caso le manifestazioni di piazza e le proteste sono, quando ci sono, molto moderate, a dimostrazione del largo consenso che gode la maggioranza di Governo. Quanto alle voglie secessioniste della Catalogna, per ora le velleità degli autonomisti vengono contenute, anche se qualche contraccolpo negativo potrebbe esserci nei prossimi mesi. Specie se il movimento dovesse radicalizzarsi come è accaduto a suo tempo nei Paesi Baschi (ma questa è un’altra storia ancora).