Da Anima a Fineco passando per Pioneer. Nel 2014 si è aperto a ritmo serrato il cantiere del risparmio gestito, complice la ripresa ormai consolidata dei flussi che arrivano nel comparto e le performance da capogiro dei gruppi quotati. Gli ultimi numeri di Assogestioni indicano che a febbraio l’industria ha messo a segno un doppio record: quasi 12 miliardi di raccolta (11,8), numeri che non si vedevano dal 1998 e asset in gestione al nuovo primato a quota 1.362 miliardi di euro, sostenuti sia dalle nuove sottoscrizioni sia dall’effetto performance. Un trend che prosegue la buona intonazione del comparto avviata nel 2013 che si è chiuso con un saldo di raccolta positivo superiore a +62,5 miliardi di euro, il dato migliore degli ultimi tredici anni (dopo che la raccolta del2012 è stata in flessione di 12 miliardi e del 2011 di 41 miliardi).
In Borsa i titoli quotati hanno messo il turbo: negli ultimi 12 mesi Azimut è salita del 122%, Banca Generali del 62%, Mediolanum del 74%. Non sorprende che anche Anima, delistata nel 2009, stia tornando proprio in questi giorni sui listini. L’Ipo di Anima Holding, iniziata lo scorso 31 marzo, si concluderà nei prossimi giorni, il 10 di aprile e rappresenta la prima matricola 2014 del listino principale di Piazza Affari. Secondo indiscrezioni l’offerta è stata coperta al secondo giorno. Il prezzo finale sarà comunicato entro i 5 giorni successivi alla chiusura del collocamento: la forchetta è 3,5-4,5 euro per azione per un controvalore dell’offerta (55% del capitale, con eventuale greenshoe del 15%) di 577-742 milioni di euro. La società torna in Borsa a distanza di 5 anni dal suo addio ai listini nel 2009 e dopo aver attraversato un’intensa fase di aggregazioni e fusioni. Anima è infatti diventata polo aggregante di diverse realtà del risparmio gestito: Bipiemme Gestioni, Etruria Fund, Mps Asset management Sgr, Antonveneta Abn Amro, Clessidra Alternative (queste ultime tre confluite in Prima Sgr), passando poi per la fusione di Aperta Sgr. Nel frattempo i volumi sono cresciuti dai 35 miliardi di masse gestite del 2011 ai 48,6 attuali, i ricavi sono saliti a 220 milioni da 146 e l’utile prima delle tasse a 165 milioni da 17. Oggi a passare la mano e a portare il gruppo in Borsa sono il fondo di private equity Clessidra e le banche Mps e Bpm: il collocamento infatti non prevede un aumento di capitale ma la vendita da parte degli attuali soci. Nel dettaglio, le 164.892.260 azioni sono messe in vendita da Mps, Bpm, Lauro42 (società controllata da Clessidra Sgr per conto del fondo Clessidra Capital Partners II) e Prima Holding (partecipata da Lauro 42, Bmps e alcuni manager del gruppo Anima). Mps e Bpm resteranno azionisti dopo la quotazione di Anima Holding, rispettivamente con quote di partecipazione pari a 9,90% e 14,72%, mentre Lauro 42 dopo avrà una partecipazione pari all’8%. Sono previste delle clausole di lock up: per la società 6 mesi dal primo giorno di negoziazione, per Lauro 42 6 mesi, per Mps e Bpm 12 mesi, per il management 36 mesi. La parziale ma sostanziosa exit degli attuali soci ha acceso i riflettori sui progetti futuri del gruppo.
Prima dell’estate è attesa in Borsa anche Fineco, la banca online attiva nel risparmio gestito e nell’intermediazione su Internet del gruppo Unicredit che ha 31 miliardi di euro di masse amministrate e 19 miliardi di euro di masse gestite. L’annuncio ufficiale di una prossima quotazione è arrivato nel corso della presentazione dei conti 2013 di piazza Cordusio che punta a incassare dalla cessione un impatto positivo per i requisiti patrimoniali del gruppo. Sul mercato potrebbe finire fino al 30-40% e gli analisti stimano un valore dell’intera società attorno ai due miliardi. Ma le manovre in casa Unicredit potrebbero non finire qui. Sebbene durante la presentazione del piano l’ad Federico Ghizzoni non abbia voluto commentare sul futuro di Pioneer, in molti si attendono operazioni straordinarie anche sulla Sgr del gruppo che ha 175 miliardi di asset gestiti. La strada della quotazione per esempio è da tempo un’ipotesi da non escludere, come già nel 2011 aveva indicato lo stesso Ghizzoni (“Non la escluderei, potrebbe fare parte di questo piano. E’ un’ipotesi possibile”, diceva Ghizzoni nel 2011 precisando comunque che il dossier non era ancora sul tavolo). Ipotesi tornata attuale dopo la strada intrapresa da Fineco. Qualche settimana fa il vicepresidente Candido Fois ha però smentito le voci su una Ipo. Negli ultimi giorni il Sunday Times ha parlato invece di una possibile cessione ai cinesi di Icbc (Industrial and Commercial Bank of China), il maggior gruppo bancario cinese. Secondo il quotidiano britannico, Icbc potrebbe pagare fino a 2 miliardi di euro per Pioneer, prezzo che corrisponde a una valutazione pari all’1,15% degli asset under management. Per ora un portavoce di Icbc ha smentito tramite email che ci siano colloqui in corso con Pioneer mentre UniCredit non commenta.
Chi doveva tornare in Borsa ancora prima di Anima era invece Banca Fideuram, che era stata delistata nel 2006 per portare avanti il più ampio progetto di integrazione con Eurizon, che sarebbe a sua volta approdata in Borsa. Il tutto però fu bloccato dalla fusione a monte tra Banca Intesa e San Paolo Imi, maturata nell’estate del 2006. E si è tornato a parlare di un ritorno in Borsa di Banca Fideuram. Negli anni profondi della crisi tra il 2008 e il 2009 il dossier però è rimasto nel cassetto fino a quando a inizio 2010 il board di intesa Sanpaolo ha deliberato l’avvio del processo di quotazione. Ma di rinvio in rinvio in attesa di tempi migliori sui mercati, del progetto di un nuovo sbarco a Piazza Affari si è persa traccia. Anzi. Per ora proprio non se ne parla. “Ad oggi non è sul tavolo”, ha commentato il ceo di Intesa Carlo Messina non troppo tempo fa rispondendo alle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa per la presentazione del piano di impresa 2014-2017. Se Intesa quotasse Banca Fideuram o altri asset genererebbe ulteriore capitale rispetto agi otto miliardi al momento in eccesso, capitale che al momento non serve alla banca. “Abbiamo un insieme di business unit che vale tra i 10 e i 15 miliardi – ha spiegato Messina – se le quotassimo aumenteremmo l’eccesso capitale ma perderemmo utili in conto economico. Quindi non abbiamo bisogno di una quotazione che valorizzi questi asset. Per il futuro le opzioni sono aperte visto che sono asset che hanno un valore e che potrebbero essere valorizzati al meglio magari in un’ottica di partnership a livello europeo”. In ogni caso, se oggi Intesa dovesse scegliere, Banca Fideuram sarebbe probabilmente ancora la sua prima scelta. “La quotazione in borsa di Eurizon non credo avrebbe senso, avrebbe più senso quella di Fideuram”, aveva infatti commentato Tommaso Corcos, l’ad di Eurizon Capital, poco prima della presentazione del piano industriale di Intesa rispondendo ad una domanda sul futuro delle divisioni di risparmio gestito della banca durante il Salone del Risparmio gestito. “E’ vero – aveva aggiunto – che in questo momento c’è interesse con l’Ipo di Anima ma dobbiamo ancora sviluppare determinate dinamiche”. Fra le linee di sviluppo che indica l’ad come prioritarie c’è un’accelerazione dell’internazionalizzazione già avviata che avverrà tramite linee interne tramite Banca Fideuram e la divisione Banche estere.