L’Aula della Camera ha approvato oggi la delega fiscale. I voti favorevoli sono stati 309, gli astenuti 99, nessun voto contrario. In realtà, non si tratta di una delega per una vera riforma del sistema fiscale, poiché non interviene sui presupposti fondamentali del sistema tributario né sui tributi che lo caratterizzano. Tuttavia prevede una tale miriade di interventi di revisione e razionalizzazione del sistema vigente, che il Governo si trova conferiti i poteri per un’opera di manutenzione profondissima e di aggiornamento pressoché completo di tutti gli aspetti delle regole fiscali. Fin troppo vasta, verrebbe da dire.
In effetti, la completa attuazione delle tante deleghe conferite dalla legge al Governo richiederebbe un’opera ciclopica di redazione delle norme delegate. Tanto che c’è da dubitare che l’Esecutivo sia in grado di realizzarla, e certamente non nei tempi strettissimi concessi dalla legge di delegazione.
Quanti dovrebbero essere i decreti legislativi? Forse qualche decina, addirittura, ma dipenderà dalle scelte che il Governo farà in sede di loro redazione, poiché potrà organizzare le norme in più o meno provvedimenti. Le materie, tuttavia, sono sterminate. Nel seguire la struttura della legge di delegazione, si scorgono le seguenti: revisione del catasto; stima e monitoraggio dell’evasione fiscale; monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale; disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale; gestione del rischio fiscale, governance aziendale, tutoraggio, rateizzazione dei debiti tributari e revisione della disciplina degli interpelli; semplificazione; revisione del sistema sanzionatorio; rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo; revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali; revisione dell’imposizione sui redditi d’impresa e di lavoro autonomo e sui redditi soggetti a tassazione separata; previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni; razionalizzazione della determinazione del reddito d’impresa e della produzione netta; razionalizzazione dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette; fiscalità energetica e ambientale; giochi pubblici.
Per emanare questa messe di decreti legislativi attuativi il Governo ha soltanto dodici mesi di tempo dall’entrata in vigore della legge. Ma il primo di questi decreti, qualsiasi esso sia, dovrà essere presentato come proposta entro quattro mesi – secondo quanto espressamente disposto – , cioè presumibilmente entro il prossimo mese di luglio.
Oltretutto, i dodici mesi a disposizione del Governo si restringono ulteriormente, poiché la procedura di formazione dei decreti legislativi prevede il parere delle commissioni parlamentari competenti sugli schemi dei provvedimenti proposti. In sostanza, per rispettare i tempi della procedura il Governo avrà a disposizione solo 10 mesi e mezzo per presentare gli schemi dei decreti attuativi.
Consapevoli dell’enorme sforzo richiesto all’Esecutivo, le Camere hanno previsto una procedura di monitoraggio dell’attività del Governo. Entro due mesi dall’entrata in vigore della legge delega, e poi ogni quattro mesi, l’Esecutivo dovrà riferire alle commissioni parlamentari sullo stato di attuazione delle deleghe e, quindi, sull’andamento dei lavori di redazione dei decreti delegati.
L’attuazione delle deleghe non potrà produrre benefici per quanto riguarda l’entità complessiva dei prelievi tributari. Gli interventi dovranno essere a “saldo zero”, cioè non comportare perdite di gettito. Dall’attuazione delle deleghe – è scritto nella legge – “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica né un aumento della pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti”. Il che vuol dire che non si esclude la possibilità per il Governo di aumentare alcuni prelievi, purché contestualmente ne riduca altri.
Per darsi un’immagine migliore, la legge si conclude con un’affermazione che, per le speranze della nostra economia soffocata dalle tasse, finisce col risultare quasi irritante: la legge “persegue l’obiettivo della riduzione della pressione tributaria”, ma attraverso “la crescita economica”. Come dire, sperando in un aumento del prodotto interno lordo per ridurre il rapporto tra entrate fiscali, che mantiene invariate, e Pil.