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SISTEMI DI PAGAMENTO – Migrazione alla Sepa: cronaca di un flop annunciato

BANCHE E PAGAMENTI – Il primo febbraio 2014 scade il termine entro il quale bonifici e addebiti diretti avrebbero dovuto avere tutti lo stesso formato europeo – L’impegno a completare la migrazione in tempi stabiliti fin dal 2008, affidato, sotto l’azione di stimolo delle banche centrali, alle banche e alle imprese è stato mancato, soprattutto dall’Italia

SISTEMI DI PAGAMENTO – Migrazione alla Sepa: cronaca di un flop annunciato

La magra figura rimediata dal sistema bancario italiano sul fronte della migrazione alla Area Unica dei Pagamenti Europea (acronimo inglese Sepa) non è questione per soli addetti alle tecnicalità informatiche degli strumenti di pagamento più diffusi quali bonifici e addebiti diretti (questi ultimi praticamente i pagamenti in conto delle bollette di luce, acqua, telefono, gas), ma qualcosa che riguarda tutti, perché il mancato obiettivo porta con sé maggiori costi (diretti e indiretti) sia per i consumatori sia per quelle banche ed imprese virtuose che hanno invece rispettato i tempi. 

Come forse non tutti sanno, con il primo febbraio 2014 si conclude il quinquennale periodo entro il quale bonifici e addebiti diretti avrebbero dovuto avere tutti lo stesso formato europeo, un altro passo importante verso l’integrazione dei servizi tra i paesi dell’Unione, introducendo un linguaggio comune nella messaggistica dei pagamenti, con connessi benefici in termini di tracciabilità delle operazioni, vale a dire sicurezza e trasparenza, e di efficienza, vale a dire prezzi determinabili sulla base dei sottostanti costi industriali, destinati inevitabilmente a scendere per effetto della standardizzazione di 100 miliardi di transazioni annue. 

L’impegno a portare a termine la migrazione in tempi stabiliti fin dal 2008, affidato, sotto l’azione di stimolo delle banche centrali, alle banche e alle imprese è stato mancato. O meglio è stato realizzato a pieno da alcuni paesi, meno da altri, meno ancora da un terzo gruppo, al quale appartiene l’Italia. 

Di fronte a tale esito, come si usa nel mondo anglosassone, è necessario praticare il “name and shame”, cioè il nomina e svergogna e in quello latino il molto meno praticato “vogliamo i nomi” dei responsabili. Ma vediamo prima la portata del fenomeno, come si ricava da una serie di comunicati stampa emessi sia dalle autorità europee sia da quelle nazionali. 

Il 20 gennaio scorso la BCE, fornendo i dati della migrazione verso la Sepa riferiti al mese di dicembre (74% per i bonifici, 41% per gli addebiti diretti) constatava come il passo verso l’obiettivo finale si era fatto molto più veloce rispetto al mese precedente (rispettivamente 64% e 26%) ed era ragionevolmente convinta che la gran parte dei partecipanti all’impresa avrebbe completato la migrazione per la “end date” del primo febbraio, con l’invito al massimo impegno per il rush finale. 

Si veda il grafico sottostante, dal quale emerge come poco programmaticamente per tutti i paesi il lavoro si sia concentrato negli ultimi 15 mesi del periodo dato.

SEPA credit transfer and direct debit – Evolution of euro area migration (%of total transactions)

Ma si veda anche la situazione, invero frastagliata, che si ricava da questo secondo grafico che indica la posizione raggiunta da ciascun paese, Italia compresa, alla fine del 2013.

Avvicinandosi alla data fatidica sono emersi i veri sbandamenti nel percorso verso “le magnifiche sorti e progressive” dei pagamenti europei, al punto che la Commissione Europea, in contrasto aperto con la BCE, ha prorogato la scadenza di sei mesi. E ciò, nonostante la presa di posizione dell’Eurosistema, che ha ribadito la validità della data finale del primo febbraio, senza peraltro, a quanto risulta, sanzioni per i ritardatari. Con i virtuosi (paesi, banche, imprese, istituti di pagamento, outsourcer informatici) a fare quindi la figura dei soliti fessi. 

Valga per tutti l’accorato, ma forse anche un po’ indispettito appello per lo sforzo finale agli attori coinvolti da parte della Banca di Francia, nella migliore posizione tra i maggiori paesi europei, con il suo 84% per i bonifici e 61% per gli addebiti secondo i dati aggiornati alla prima quindicina di gennaio. 

E l’Italia? A dicembre, come si vede dal grafico, i bonifici operati in formato Sepa erano soltanto il39%, gli addebiti diretti un misero 3%; in termini numerici sono passati alla Sepa non più di250/280 milioni di operazioni. E quindi tutti a rincorrere un obiettivo…fallito. Salvo improbabili smentite dell’ultim’ora, non credo siano in molti a sperare nel big bang, nel colpo di reni, nell’impossibile che diventa possibile, insomma nel miracolo italico. E francamente anch’io non penso che, in casi del genere, ci si possa appellare alla spes ultima dea. Tempo perso, insomma. A questo punto la domanda legittima è se ce la faremo per la nuova scadenza del primo agosto. 

Certo, per consolarsi, qualcuno dirà che anche la grande Germania non è tra i paesi messi meglio. E’ vero. Ma considerate soltanto questo. In Germania le operazioni di pagamento sono 20 miliardi annui e 4/5 miliardi sono comunque migrate allo standard Sepa. In Italia l’insieme delle operazioni di pagamento ammonta invece a 4 miliardi annui.

Di queste 1,2 miliardi, cioè più di un quarto, non sono interessate dal passaggio alla Sepa, come Mav, bollettini postali e ricevute bancarie, che resteranno rigorosamente (e provincialmente) domestiche, dato che al di fuori del nostro Paese sono del tutto sconosciute. I pagamenti tramite carte assommano invece a 1,8 miliardi. Era davvero un’impresa tanto difficile per il nostro sistema arrivare in tempo relativamente ai restanti800/900 milioni di bonifici e addebiti diretti? La Grecia ne ha in tutto 300 milioni e, come dicono le statistiche Bce, sono presso che tutte passate al nuovo regime! 

Le rassicurazioni circa il buon esito relativamente al nostro paese non sono peraltro mancate. E ora l’imbarazzo non può non essere grande, come si percepisce leggendo le affannose circolari tecniche dell’ABI che hanno coperto ogni deroga concessa per il mantenimento degli standard nazionali fino ad agosto con la ripetuta interiezione del “sentita la Banca d’Italia”. 

Di fronte a questa manifestazione di inefficienza, tornano in mente i versi della canzone Don Rafaè del grande Fabrizio De André: “Venti notizie, ventuno ingiustizie e intanto lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. 

Ultima chiamata. Chi può fare qualcosa lo faccia, cominciando a denunciare pubblicamente banche, imprese, outsourcer informatici e compagnia cantante che prima hanno assicurato che non ci sarebbero stati problemi e poi, all’ultimo momento, hanno fatto emergere i propri deficit, contando sulla proroga, per di più finora senza sanzioni, seppur previste dai regolamenti europei. E alla fine hanno vinto loro. Quanto alle nostre autorità di controllo escano una buona volta dalla certezza di essere le più brave tra quelle europee. I risultati del sistema bancario affidato alla loro supervisione purtroppo non sembrerebbero confermarlo. 

Ma realisticamente credo che anche questo appello alla assunzione di responsabilità sia destinato a restare inascoltato.

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