A mio avviso, l’Italicum è una pessima legge. Per tanti motivi che illustrerò, partendo però da ciò che mi trova d’accodo: la lista bloccata. Resto convinto, infatti, che il meccanismo del voto di preferenza sia la classica occasione che fa l’uomo ladro, finendo per moltiplicare i costi della politica, favorire la corruttela e soprattutto premiare, non i migliori, ma i meglio organizzati (attraverso la disponibilità di risorse, appunto). Non riesco, però, a capacitarmi del fatto che la cosiddetta lista “corta” costituisca una differenza sostanziale rispetto a quella “lunga” del Porcellum, soltanto perché i nomi dei candidati (da 2 a 6) sarebbero stampati sulla scheda; come se l’elettore non sapesse che anche nel famigerato Porcellum erano eleggibili soltanto coloro che stavano in testa alla lista che era pubblica e affissa ovunque.
E’ di dubbia costituzionalità il premio di maggioranza previsto, perché non risponde, a mio avviso, ai criteri di ragionevolezza richiesti dalla Consulta. Non sembra ragionevole che la lista o la coalizione che raggiungano il 35% dei voti validi ricevano un premio superiore al 50% dei suffragi ottenuti (fino a prova contraria, 18 è pari a più della metà di 35). E che dire del riconoscimento del premio di maggioranza a livello nazionale anche per il Senato? In questo caso è palese la violazione della Costituzione (che prevede l’elezione “su base regionale”), tanto che fu il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a pretendere che il Porcellum disponesse l’attribuzione del premio a livello di ciascuna regione.
C’è poi la questione delle liste minori, per le quali sono previste soglie di accesso proibitive anche se tali liste fossero raggruppate in coalizioni. Considerando il combinato disposto tra quanto stabilito per la soglia di accesso al premio di maggioranza e quelle valide per la ripartizione dei seggi si profila una trappola inaccettabile non solo per le liste minori, ma per il sistema nel suo insieme. Ovviamente il 35% sarà raggiunto, di norma, dalla somma dei voti di tutte le liste della coalizione che abbiano ottenuto o meno il 5%. I voti conteranno tutti. Mettiamo il caso che, in una coalizione, la sola lista “X” abbia conseguito, alla Camera, più del 5%; ad essa sola andrebbe quindi il premio di maggioranza ottenuto grazie al contributo, però, di tutte le altre liste coalizzate.
Facciamo un esempio concreto. La lista “X” ottiene il 22% e le altre liste collegate il 13%: nessuna di esse, però, raggiunge il 5%. Non è un’ipotesi solo teorica (che in una legge dovrebbe comunque essere presa in considerazione), ma costituisce un esito probabile per un’eventuale coalizione di centro destra, alla luce dei sondaggi. Tornando alla teoria, tale coalizione, se risulta vincente rispetto alle altre, otterrebbe, come si è visto, il premio di maggioranza del 18%, che però andrebbe tutto e solo alla lista “X”, in aggiunta al 35%, nonostante abbia conseguito in realtà solo il 22%. In altri Paesi europei è prevista una soglia di sbarramento, non raggiunta la quale una lista resta fuori dal Parlamento. Ma non è indicato, di solito, un premio di maggioranza, in modo formale ed esplicito.
Ha un bel da dire Roberto D’Alimonte su Il Sole 24 Ore che Tony Blair ottenne il 55% dei seggi con il 35% dei voti. Ciò fu possibile in conseguenza della distribuzione dei collegi uninominali. Lo stesso vale per François Hollande. Se al primo turno ebbe solo il 29% dei voti, al secondo turno dovette guadagnarsi la maggioranza assoluta. Da noi, invece, i voti di quelle liste che non superano la soglia andrebbero tutti a una lista diversa, con ciò falsando la volontà dell’elettore. E’ vero che lo stesso principio era previsto nel “Porcellum”, ma questa non è una valida giustificazione, perché in quella legge la soglia di sbarramento era solo del 2%, con il recupero peraltro della lista meglio classificata sotto tale percentuale (di cui si avvalsero sia l’Udc che FdI nelle rispettive coalizioni).
Se poi considerassimo quello che potrebbe succedere se nessuna lista o coalizione raggiungessero il 35%, la situazione si farebbe ancor più paradossale. Poniamo che nessuna coalizione prenda il 35%, e che la lista “X” ottenga il 15% e le altre liste ad essa collegate il 14%, nessuna di esse raggiungendo però il 5%. Se la coalizione che fa capo alla lista “X” risultasse vincente al ballottaggio, a tale coalizione spetterebbe il premio di maggioranza tale da farle ottenere il 53% dei seggi. Ebbene, questo premio andrebbe esclusivamente alla lista “X” (che al primo turno aveva ottenuto solo il 15%!!!) anche se la vittoria al ballottaggio è stata determinata dagli elettori delle altre liste. Tutto ciò in barba alla sentenza della Corte Costituzionale.