“Un ragionamento razionale, costruttivo e di alta qualificazione giuridica”. Così il presidente dell’Abi e presidente della Cassa di risparmio di Ravenna, Antonio Patuelli, ha descritto le osservazioni inviate oggi dall’industria bancaria a Bankitalia sul documento della Vigilanza che aggiorna la normativa sulla governance delle banche (in zona Cesarini visto che la consultazione pubblica scade oggi).
Contro-risposte che contengono tanto di riflessioni firmate esplicitamente Assopopolari, una replica ai paletti ben precisi che Via Nazionale ha posto nei confronti delle Popolari nella bozza sulle nuove regole di governance, ispirata alle indicazioni della direttiva Crd IV di Bruxelles. Già perché, se la situazione delle banche Popolari è da tempo sotto i riflettori, gli eventi rocamboleschi degli ultimi anni, hanno mostrato che invece di sciogliersi i nodi si sono ancor più aggrovigliati.
Ma oggi statuti che tutelano equilibri difficili, l’economia del territorio in difficoltà e un approccio complesso al mercato e agli investitori stanno mettendo a rischio una realtà, quella delle banche popolari, che nel passato si è rivelata un importante fattore di sostegno per l’economia e le comunità locali. Ispezioni e controlli della Banca d’Italia hanno messo in rilievo la fragilità di alcune banche nei loro portafogli e nei meccanismi di governance e Visco ha parlato più volte di anomalia nelle grandi popolari quotate chiedendo la loro trasformazione in spa. Un pressing continuativo e numerosi inviti al cambiamento che però hanno incontrato numerose resistenze.
Che si debbia cambiare è, almeno a parole, chiaro un po’ a tutti. Dove nascono i problemi è sul “come”. Perché alle peculiarità di ogni realtà si devono aggiungere i complessi equilibri di potere che in molti dentro al sistema vogliono tutelare e che portano ad alzare barricate e veti incrociati.
Tra i punti che hanno scaldato il dibattito nelle Popolari e nelle casse di risparmio c’è il tema deleghe, che per Bankitalia dovranno essere in numero adeguato a facilitare il coinvolgimento nelle decisioni assembleari e minimo cinque per ogni socio, l’attuazione dell’assemblea a distanza (il voto elettronico per esempio è stato bocciato l’anno scorso in assemblea da Bpm), le modalità di coesistenza tra voto capitario e voto di capitale (oggi tutti possono esprimere un solo voto indipendentemente dal numero di azioni possedute) e il divieto del presidente di essere membro del comitato esecutivo (che riguarda tutte le banche non solo le popolari).
“Vogliono ridurre il presidente a un usciere”, è il commento che arriva dal mondo popolare in subbuglio per l’intervento di Bankitalia . “C’e’ una certa fibrillazione perché si sta cercando di portarle verso un contesto in cui c’è una maggiore attrattività del capitale e questo può rompere vecchi equilibri”, ha detto Luigi Odorici amministratore delegato di Bper che comunque si è detto convinto della necessità di coniugare le peculiarità delle Popolari a una maggiore apertura del capitale, anche in vista dell’asset quality review della Bce: “Se dovesse avere risultati negativi per le Popolari – ha detto – avere soci che possono fare un aumento di capitale sarebbe un vantaggio competitivo”.
Anche se Patuelli ha cercato di gettare acqua sul fuoco (“non ci sono i presupposti di necessità per intervenire con un defibrillatore” ha detto con una battuta), in molti nelle Popolari cercano di guadagnare tempo, rilanciando sulla necessità di un intervento legislativo, che definisca i contorni del nuovo modello di popolare ibrida, capace di coniugare voto capitario e ruolo del capitale e che affronti la questione delle deleghe assembleari, un aspetto quest’ultimo regolato dal codice civile e che quindi richiede di passare in Parlamento per essere modificato. Il ruolo del Parlamento nel regolare la governance delle banche è stato tra l’altro rivendicato nei giorni scorsi da alcuni deputati (Marino e Mucchetti Pd, Capezzone e Gasparri, Fi) in una lettera aperta inviata a Letta, Saccomanni e Visco.
“Nonostante sia in corso la discussione del provvedimento in Parlamento con ampio dibattito e partecipazione data l’estrema rilevanza e la delicatezza della materia, – si legge nella lettera – la Banca d’Italia ha posto in consultazione, lo scorso 16 dicembre 2013, un documento contenente Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, che recepisce la direttiva 2013/36/UE, prim’ancora che il Parlamento, cui esclusivamente compete, abbia legiferato sulla materia”.
Lettera che rileva come “il documento della Banca d’Italia introduce anche prescrizioni del tutto nuove, non previste dalla Direttiva CRD IV, né ad essa in qualche modo riconducibili, quali quelle sulla composizione numerica degli organi sociali” con riferimento proprio ad alcuni dei punti caldi riguardanti le Popolari (come per esempio il numero di deleghe attribuibili, il voto a distanza). La mossa di Bankitalia è così percepita da alcuni un intervento a gamba tesa.
“Il problema c’e – ha ammesso Flavio Trinca, presidente di Veneto Banca – Non capiamo perché c’è un atteggiamento così rigido soprattutto da parte del governatore ma anche dei suoi collaboratori”. Dopo anni di “moral suasion”, a tirare troppo la corda si spezza.
Peccato che da più legislature i numerosi tentativi di regolare per legge le popolari si siano sempre infranti sul muro sordo e cieco della lobby del settore, che ha sabotato qualunque progetto di riforma.