Approccio da economista pura, quasi teorico, più interessata all’economia reale che alle ripercussioni finanziarie, e ancora più lontana dalle dinamiche politiche. Proprio per questo Janet Yellen, 67enne di Brooklyn, moglie del premio Nobel all’economia George Akerlof, attualmente vicepresidente della Fed e in procinto – secondo i più – di succedere a Ben Bernanke, viene definita “una colomba”, e come tale meno propensa a sostenere un aumenti dei tassi di interesse federali, in confronto, per esempio, a un altro candidato, il “falco” William Poole.
Apprezzata dalla maggior parte dei colleghi intervistati dalla stampa Usa sulla sua probabile nomina, l’attuale numero due di Ben Bernanke, pur appartenente al Partito Democratico sin dagli anni ’90 (quando divenne consigliera economica di Bill Clinton), sembra però non convincere del tutto Barack Obama, che le avrebbe preferito Larry Summers, poi ritiratosi dalla corsa, e che già nel 2010 rinnovò il mandato a Bernanke quando molte voci davano già un possibile avvicendamento ai vertici della Banca centrale americana, dove fu poi nominata vice.
Federal Reserve nella quale la professoressa Yellen ha imposto uno stile tutto nuovo alla vicepresidenza, in rottura rispetto ai predecessori Donald Kohn e Roger Ferguson, così come di rottura dovrebbe essere il suo approccio sulla poltrona più importante (ed è forse questo che preoccupa la Casa Bianca), vale a dire meno espansivo nei confronti del sistema bancario. Mentre infatti Kohn e Ferguson (anche loro sondati da Obama in questi giorni) hanno agito come deputati di fiducia, aiutando Bernanke e Greenspan a gestire il tentacolare sistema della Fed, Yellen, che in controtendenza ama anche pranzare in mensa con il resto dello staff e chiacchierare sull’economia nei corridoi come era abituata a fare da docente, ha al contrario agito più come una forza indipendente all’interno dell’ente, cercando di convincere Bernanke e il resto del comitato a sostenere misure più aggressive per pompare denaro nell’economia reale ed abbattere la disoccupazione.
Ha anche evitato che l’istituto di Washington si impantanasse troppo nella mischia politica, evitando il più possibile di testimoniare davanti al Congresso (l’ha fatto una volta nei suoi tre anni da vicepresidente), mentre Kohn per esempio lo ha fatto per ben sei volte nei suoi ultimi tre anni di lavoro. Del resto, che la politica non fosse l’ambito prediletto da Mrs Yellen lo si era capito già nel 1997, quando l’allora Presidente Bill Clinton la nominò numero uno del Consiglio dei consulenti economici (Cea): la professoressa applicò alla lettera il principio delle “market-based solutions to political problems”, peraltro richiesto da quel tipo di incarico. A tal proposito, il Washington Post ricorda che quando Clinton, in accordo con l’Europa, voleva fissare obiettivi di riduzione dell’inquinamento particolarmente restrittivi, Yellen si preoccupò di ricordare che la mossa avrebbe danneggiato l’industria manifatturiera e minacciato il progresso economico del paese.
Intanto, per il progresso del Paese, la nomina del prossimo capo della Fed è una questione non da poco: Janet Yellen potrebbe diventare la prima donna alla guida della banca centrale americana, ereditando un bilancio da 4mila miliardi di dollari e il tapering del Quantitative Easing, ovvero la riduzione del programma statunitense di acquisto di titoli da 85 miliardi di dollari al mese avviato da Bernanke e al quale si sta ora ponendo fine. Proprio per la sua diversità nell’approccio e per le sue qualità “dovish”, conciliatrici, è da molti ritenuta la persona più adatta a gestire questo tipo di operazione, a sua volta di rottura rispetto all’ultimo periodo del mandato del predecessore.
La partita, però, resta ancora aperta. “Per il calendario siamo ancora in estate” ha detto sibillinamente il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, lasciando intendere che Obama si pronuncerà in autunno e cioè non prima di domenica prossima, quando all’estate subentrerà ufficialmente l’autunno. E quando a Bernanke potrebbero subentrare, ancora in lizza, oltre ai già citati Kohn e Ferguson anche il clintoniano Alan Blinder e l’ex ministro del Tesoro Tim Geithner, uomo chiave del primo mandato Obama. Ma c’è anche un’altra suggestiva ipotesi, che è il sogno nel cassetto della Casa Bianca: convincere Bernanke a restare per altri due anni. Un repubblicano, nominato da George W. Bush, confermato da un democratico per proteggersi dalle accuse. Ma questo sarebbe davvero un colpo di scena.