Sul tavolo del G20 che parte oggi non vi è solo l’emergenza Siria. C’è anche lo shadow banking, ossia il sistema bancario parallelo balzato agli “onori” delle cronache con la crisi finanziaria del 2008 ma che anche oggi resta una fonte di rischio sistemico perché gioca un ruolo attivo nel finanziamento dell’economia. Nello shadow banking alcuni intermediari come hedge fund, fondi sul mercato monetario o veicoli di investimento strutturati forniscono credito al settore finanziario ma, diversamente dalle banche, non hanno accesso al sostegno o alla salvaguardia delle banche centrali in termini di assicurazioni sui depositi o garanzie sui debiti. Un settore che secondo le stime 2011 del Financial Stability Board conta per 51mila miliardi di euro, pari al 25-30% dell’intero sistema finanziario e alla metà delle attività bancarie (Eurozona quasi 17 mila miliardi, Regno Unito quasi 7 mila miliardi, Stati Uniti 17 mila miliardi e mezzo). I Paesi del G20 punterebbero a regolarlo però tramite un approccio soft per evitare contraccolpi ai flussi finanziari mondiali visto il ruolo che lo shadow banking riveste ancora nel fornire liquidità al settore bancario ancora troppo fragile.
Intanto la Commissione europea ha appena approvato le proposte per una stretta del settore che prevedono maggiore trasparenza e condizioni di liquidità più stringenti per i fondi monetari. In Europa i soli fondi monetari detengono circa il 22% dei titoli di debito a breve termine emessi da amministrazioni o società e il 38% di quelli emessi dal settore bancario. Un ruolo sistemico da cui discende la necessità di una regolamentazione. Pur non trattandosi di ”metterlo sotto accusa”, ha rilevato il commissario Ue al mercato interno Michel Barnier, è necessaria una ”operazione di regolamentazione, perché lo dobbiamo ai cittadini”. “Vogliamo evitare che vi siano entità che offrono prodotti simili a quelli delle banche senza essere sottoposti alle regole del settore bancario”, ha spiegato il commissario europeo. La comunicazione adottata da Bruxelles chiede quindi più trasparenza, imponendo la raccolta di dati dettagliati, una normativa sugli strumenti finanziari e rischi associati con le operazioni di finanziamento tramite titoli, e la definizione di un quadro per le interazioni con le banche. Viene poi proposto un giro di vite sui fondi monetari, chiedendo requisiti di liquidità più severi in modo che, in caso di ritiro dei capitali, questi siano in grado di rimborsare gli investitori senza far crollare il sistema. In particolare, i fondi dovranno detenere in portafoglio almeno un 10% di attività a scadenza giornaliera e un altro 20% a scadenza settimanale, mentre non potranno avere un’esposizione superiore al 5% in valore nei confronti di un unico emittente. Dovrà inoltre essere garantito un cuscinetto di capitale pari al 3% per i fondi a valore patrimoniale netto costante.
Qui però per alcuni la Commissione poteva fare di più. “Questi fondi giocano un ruolo utile e le norme affrontano i rischi essenziali senza compromettere il nostro settore” particolarmente rilevante in Lussemburgo e Irlanda, ci ha tenuto a sottolineare Barnier. Sul versante opposto all’interno della Feb, la Federazione europea delle banche (Feb), sono invece emerse “preoccupazioni” per le conseguenze delle proposte riguardanti i fondi monetari, giudicate restrittive e difficili da attuare per i fondi, le cui risorse “possono essere utilizzate dalle banche per sostenere i prestiti all’economia reale”. In ogni caso la Feb ha comunque accolto positivamente l’intervento della Commissione europea sul sistema bancario parallelo.“Le stesse regole – ha detto il vice direttore generale Robert Priester – devono essere applicate alle medesime attività”.
L’iter di approvazione di queste regole richiederà circa tre anni. Nel frattempo, rileva Barnier, “l’Ue continua con tenacia a costruire una agenda efficace e spero intelligente di regolazione e vigilanza sui mercati”. L’obiettivo è evitare che alcune attività bancarie vengano deviate su settori meno regolamentati, in modo da sfuggire alla vigilanza, creando incertezze e rischi potenziali per tutto il sistema economico e finanziario.
Nel frattempo, come detto, anche il G20 è al lavoro sul tema con l’obiettivo di concentrarsi sulle attività d non sui soggetti del settore. In altri termini, niente rafforzamenti di capitale come è successo per la regolamentazione delle banche. “Aumentare il capitale non funzionerebbe in molti casi perché non riguarda le entità ma soprattutto i mercati, le transazioni interconnesse e le reti”, spiega a Reuters Andres Portilla, responsabile degli affari regolamentari dell’Institute of International Finance (IIF), una lobby bancaria e assicurativa di Washington. Per Alistair Milne, docente di economia finanziaria all’università di Loughborough e in passato membro della Bank of England e funzionario del Tesoro britannico, possono prendersi un po’ più di tempo. La riforma del settore dello shadow banking è qualcosa di più del non avere problemi in futuro”.