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Mirafiori, Marchionne: “Con Maserati un polo del lusso”

L’ad della Fiat protegge l’asse con Cisl e Uil e conferma: assieme al rinnovo della cassa integrazione straordinaria per i dipendenti, partiranno investimenti per poco meno di un miliardo di euro – A metà del 2015 uscirà dalle linee il primo suv Maserati, che andrà a affiancarsi alla Quattroporte e alla Ghibli, prodotti nello stabilimento di Grugliasco.

Mirafiori, Marchionne: “Con Maserati un polo del lusso”

Sembra incredibile, ma stavolta l’autunno dell’industria italiana inizia con una notizia positiva: il nuovo accordo raggiunto con i sindacati, scrive in una nota Sergio Marchionne, consente a Fiat di dare “inizio immediatamente al piano d’investimenti necessario ad assicurare il futuro produttivo ed occupazionale dello stabilimento di Mirafiori”. 

Un simbolo, oltre che una realtà industriale, perché a Mirafiori, che negli anni Settanta occupava 70 mila persone, risultano oggi a libro paga solo 5.315 dipendenti. Dalla sterminata fabbrica inaugurata da Mussolini nel 1939 sono uscite finora nel 2013 solo 11 mila Mito, contro un potenziale teorico di 300 mila pezzi.

Ora, dopo il monito di bloccare gli investimenti in Italia in assenza di una legge già ad ottobre, assieme al rinnovo della cassa integrazione straordinaria per i dipendenti, partiranno investimenti per poco meno di un miliardo di euro. A metà del 2015 uscirà dalle linee il primo suv Maserati, che andrà a affiancarsi alla Quattroporte e alla Ghibli, prodotti nello stabilimento di Grugliasco. 

E’ l’avanguardia di quel polo del lusso che, nelle intenzioni di Marchionne, avrà un ruolo determinante nel futuro italiano del gruppo e che presto potrebbe sfociare nella costituzione di una società ad hoc in cui fa confluire gli stabilimenti Maserati di Grugliasco Mirafiori.

Il traguardo è ambizioso: 50 mila vetture con il tridente, una cifra ben distante dai 7 mila pezzi piazzati nel 2012. Ma la settimana scorsa l’azienda ha comunicato che gli ordini della Quattroporte, (prezzo di listino 110 mila euro) sono triplicati per un totale di 17 mila vetture. E molto si confida nella più economica Ghibli (“solo” 66 mila euro) che farà il suo esordio a giorni. 

Insomma, il Suv da destinare in primis al mercato Usa fa parte di una strategia coerente e sufficiente a giustificare l’esistenza di un polo della componentistica auto che il temuto abbandono di Mirafiori avrebbe compromesso. Un passo paventato dopo la mossa di lunedì, quando Marchionne, dopo aver consentito l’accesso in fabbrica ai delegati Fiom in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale, aveva fatto presente che Fiat, senza una legge sulla rappresentanza sindacale, non aveva intenzione di “garantire l’impegno in Italia in assenza di un intervento legislativo ‘condizione ineludibile’ per la continuità stessa dell’impegno industriale di Fiat in Italia”.

Come interpretare la svolta da “colomba” del “falco” Marchionne? Non è una svolta, semmai un modo per proteggere l’asse con Cisl e Uil, da cui sono nate le intese su Pomigliano, Grugliasco e Mirafiori evitando una pericolosa saldatura con la Fiom alla vigilia del suo rientro negli stabilimenti. 

Di qui il comunicato congiunto diffuso dopo l’incontro in cui si sottolinea come “il contratto sia stato uno strumento determinante per il rilancio qualitativo e produttivo degli stabilimenti Fiat in Italia. Anche grazie ad una piena applicazione delle regole innovative dell’accordo è stato possibile portare gli stabilimenti italiani, come Pomigliano d’Arco, Grugliasco, Melfi e Sevel ad un livello di eccellenza nel panorama automobilistico internazionale”. 

In cambio degli investimenti a Mirafiori le organizzazioni sindacali hanno confermato il loro impegno nella difesa e nel rafforzamento dello strumento contrattuale, riconoscendo che “esso rappresenta una condizione imprescindibile per l’impegno industriale della Fiat in Italia”.

In altri termini, nelle fabbriche deve trovar applicazione, con l’impegno esplicito dei sindacati contraenti, la flessibilità consentita dal contratto. In ogni caso, la partita legislativa (o della possibile adozione del protocollo tra Confindustria, Cisl e Uil) si giocherà su un terreno meno aspro, potendo contare su un “arbitro”, il governo, più disponibile. 

Fin qui le notizie “italiane” in un giorno ove sul titolo Fiat (ma non solo) piovono le vendite. Ma il Lingotto è impegnato in altri dossier, non meno rilevanti. In serata dovrebbero uscire i dati sulle vendite in Brasile, ove la Fiat è leader. Inevitabile che la crisi del mercato (-17% rispetto ad un anno fa) si ripercuota anche su Fiat Automoveìs mentre la brusca svalutazione del real avrà probabilmente effetto sui conti del trimestre.

La consolazione arriva dagli Usa. Le vendite Chrysler negli Stati Uniti in agosto sono salite del 12% a 165.552 unità rispetto alle 148.472 dello stesso periodo dello scorso anno. Lo comunica Chrysler sottolineando che si tratta del miglior agosto dal 2007 e del 41mo mese consecutivo di crescita. 

“Le vendite di agosto sono state le più elevate degli ultimi 60 mesi. Tutte le aree del Gruppo – afferma Reid Bigland, responsabile commerciale per gli Stati Uniti – continuano a registrare miglioramenti, come dimostrato dai 41 mesi consecutivi di crescita”. Tutto bene, o forse no perché il rally della casa di Detroit potrebbe spingere Vba a non cedere sul prezzo delle azioni Chrysler in mano al sindacato Uaw. 

Eppure, dopo aver disinnescato la mina Mirafiori, Marchionne ha tutto l’interesse a chiudere nel più breve tempo possibile la pratica Usa. Solo quando Fiat avrà a disposizione almeno il 75% di Chrysler (contro l’attuale 58,5%) potrà prender il controllo della cassa Chryser (12 miliardi). E dare il colpo d’acceleratore ai progetti per riconquistare l’Europa fin dall’avvio della ripresa. Nel 2016, si spera.

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