C’è qualcosa di apparentemente sorprendente nella performance relativa alleazioni dei Paesi sviluppati rispetto a quella dei Paesi emergenti. Infatti, nonostante questi ultimi godano nel complesso di migliori condizioni economico/finanziarie (migliori prospettive economiche, una posizione fiscale invidiabile e buona resistenza a shock economici esterni), il mercato sembra non premiarli.
Le politiche monetarie espansive delle Banche Centrali possono aver giocato un ruolo fondamentale nell’ampliare questo fenomeno. Al diminuire del rischio sistemico, infatti, gli investitori hanno aumentato la loro propensione al rischio (che coincide con la ricerca di maggiori rendimenti) favorendo, di fatto, quei mercati che conoscono meglio (questa tendenza si chiama “home-bias”) e con valutazioni interessanti. Quindi i Paesi Sviluppati.
Dopo un paio d’anni di performance deludenti, in questo momento molti investitori stanno iniziando a domandarsi se sia il caso di ritornare a investire in azioni dei Paesi emergenti.
Quali sono i mercati che offrono le maggiori opportunità?
Privilegiando una strategia di tipo value, abbiamo cercato quei mercati dove i prezzi sono più a buon mercato rispetto ai fondamentali (utili, valore contabile, dividend yield). Nel grafico sottostante, proponiamo il riassunto dell’analisi in z-score* effettuata su una buona parte dei Paesi emergenti presenti nell’indice MSCI Emerging Markets.
A sinistra del grafico (Rep. Ceca, Ungheria) ci sono quei Paesi con levalutazioni più interessanti, mentre più a destra (Filippine, Messico) ci sono quei Paesi con le valutazioni più care.
Nel complesso, i Paesi Emergenti risultano mediamente a buon mercato, soprattutto grazie alla contribuzione di Cina, Brasile e Russia, che pesano all’incirca il 50% dell’indice. Se scomponiamo i Paesi Emergenti in aree geografiche, invece, spicca l’indice relativo ai Paesi Europei e Medio Oriente, seguito dall’indice relativo ai Paesi dell’Asia Pacifico e del Sud America.
A cosa bisogna fare attenzione?
Anche se nel lungo periodo una strategia di tipo value risulta essere vincente(diversi paper accademici supportano questa tesi), tuttavia non si può prescindere completamente dai rischi di breve periodo. Vediamo quali possono essere.
- Periodi di “risk-off”. Normalmente, quando c’è grande avversione al rischio, i Paesi Emergenti sono maggiormente penalizzati. In questo momento, le tensioni politiche europee (Italia, Spagna e Portogallo) e la paura legata ad un atterraggio brutale dell’economia cinese potrebbero generare una fase di “sell-off”, cioè di forti vendite in pochi giorni.
- Riduzione dell’espansione della liquidità. Anche se la fine delquantitative easing non sarà così prematura come anticipato dai mercati, è chiaro che siamo di fronte ad un percorso di riduzione dell’espansione monetaria (almeno per quanto riguarda la Fed). Questo leggero accenno ha ridotto le valutazioni dei mercati azionari e ha aumentato i rendimenti delle obbligazioni dei Paesi emergenti rendendoli più attraenti.
- Apprezzamento del dollaro. Alcuni commentatori parlano di un nuovo Bull Market del dollaro (economia in ripresa, fine del QE, aumento dei tassi d’interesse). Questo potrebbe forzare le Banche Centrali dei Paesi emergenti a ridurre il deprezzamento della propria moneta locale vendendo dollari. Così facendo ridurrebbero la loro riserva in valuta estera, rendendoli più vulnerabili ad eventuali crisi di liquidità. Un rafforzamento del dollaro USA potrebbe inoltre essere un problema per quei Paesi in deficit della bilancia commerciale.
In conclusione, i Paesi emergenti hanno delle buone valutazioni ma la complessità della situazione in cui ci troviamo rende la scelta più difficile di quello che si possa immaginare.