Ora i soliti trombettieri delle avanguardie operaie come Vendola o Gad Lerner, strilleranno contro il “ricatto” insito nell’ultimatum lanciato da Marchionne nel suo discorso di presentazione dell’investimento da 700 milioni nello stabilimento della Sevel per produrre il nuovo Ducato. In realtà con toni pacati e anche qualche accenno di autocritica sulla comunicazione che evidentemente non è riuscita a far capire agli italiani il senso e la portata delle trasformazioni che la Fiat ha dovuto affrontare negli ultimi anni per passare da una piccola e marginale azienda automobilistica essenzialmente europea al settimo gruppo mondiale del settore, Marchionne ha cercato di spiegare non solo la logica delle proprie scelte, ma anche come, a suo parere deve muoversi un paese che vuole continuare ad essere ricco e democratico.
Certo non sono mancate le bordate polemiche verso quanti confondono i sacrosanti diritti dei cittadini con consolidate cattive abitudini o verso chi sa ascoltare solo le proteste di una minoranza trascurando le scelte della maggioranza dei lavoratori. Così come dure e precise sono state le parole di Marchionne verso un sistema che non garantisce norme certe: “Prima di avviare qualunque altra iniziativa in Italia – ha detto l’Ad di Fiat- abbiamo bisogno di poter contare sulla certezza di gestione e su un quadro normativo chiaro ed affidabile.” Chi investe si assume dei rischi notevoli in questa difficile congiuntura mondiale, e non si può certo ritenere una provocazione la richiesta di avere un quadro di regole certe e generalmente accettate come ad esempio, quella che le clausole di un accordo devono essere rispettate ed esigibili. In questo quadro Marchionne si è detto pronto ad incontrare Landini per tentare di costruire quella comunione di intenti necessaria non solo alla Fiat ma all’intero Paese che deve ritrovare la strada di potenziare la produzione se vuole affrontare le sfide della globalizzazione e coglierne appieno le grandi opportunità.
Molti sostengono che la Fiat e la Fiom devono entrambi fare un passo indietro per porre fine ad una guerra che sta provocando gravi danni all’immagine dell’Italia nel mondo. Ma Marchionne non vuole e soprattutto non può, tornare indietro ed accettare il solito pasticciato compromesso all’italiana che apparentemente soddisfa tutti gli attori ma poi di fatto danneggia l’intero Paese. E proprio su questo punto la relazione di Marchionne ha parecchie assonanze con le ultime Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia là dove Visco ha sottolineato che in pratica il nostro Paese è stato fermo per 25 anni rifiutando quelle riforme e quelle modifiche ai propri comportamenti richiesti dall’apertura dei mercati internazionali e che sole avrebbero consentito di approfittare delle grandi opportunità offerte ai nostri prodotti dall’uscita dalla povertà di molti grandi paesi dell’Asia e del Sud America.
Marchionne ha riassunto la strategia Fiat ricordando che se l’azienda fosse rimasta solo europea avrebbe già portato i libri in Tribunale. Invece oggi è un gruppo mondiale che, solo nell’auto, fattura 84 miliardi di Euro con 215 mila dipendenti nel mondo. In Europa, nonostante la crisi, i dipendenti sono 100 mila, circa 15 mila in più del 2004. Gli investimenti in Italia nello stesso periodo di tempo sono ammontati a 23,5 miliardi di Euro mentre le agevolazioni pubbliche, previste dalle norme italiane ed europee, sono state di 742 milioni di Euro. I cambiamenti necessari a sostenere questo sforzo sono stati molto grandi ed a volte laceranti, e per di più introdotti ad un ritmo veloce tanto da non consentire una adeguata illustrazione alla pubblica opinione che quindi è rimasta a volte frastornata dagli improvvisi mutamenti del fronte e dalle revisioni della tattica. Il risultato però, è che oggi la Fiat è un gruppo mondiale che vende 4,2 milioni di veicoli nel mondo e che ha un bilancio in utile per cerca 1,5 miliardi. E non è poco in momenti di grave crisi come quelli attuali. Non solo ma gli stabilimenti italiani possono già giovarsi della possibilità di esportare le loro produzioni come avviene ad esempio per Sevel da cui partono le parti di Ducato montate in Sud e Nord America.
Ma la parte più significativa del discorso di Marchionne è quella nella quale indica la strada che l’Italia può seguire per riprendere il proprio ruolo nel mondo e per dare tranquillità economica ai propri cittadini. Citando il discorso dell’avv. Agnelli tenuto nel 1981 all’inaugurazione dello stabilimento Sevel, Marchionne ha ricordato che occorre concentrarsi sulla produzione di ricchezza prima che sulla sua distribuzione. Se questa sequenza non viene rispettata disse allora l’Avv. Agnelli ” la convivenza tra i cittadini finisce per degenerare perché il loro benessere dipende sempre più dalla distribuzione politica delle risorse e sempre meno dalla qualità e degli sforzi necessari per produrle.” Un monito che oggi è attualissimo anche perché sono finite le risorse che i politici possono distribuire con leggerezza.
Oggi l’Italia si trova di fronte ad un passaggio cruciale. Di questo non sembra che ci sia piena consapevolezza tra i nostri politici e i nostri sindacalisti. Molte aziende sono costrette ad andare a produrre all’estero a causa delle vessazioni burocratiche, della elevata tassazione e della rigidità delle condizioni di lavoro. Invece di chiedersi se anche il sindacato può fare qualcosa per modificare il quadro, la segretaria della Cgil dichiara in TV che occorrerebbe penalizzare ( fiscalmente o penalmente?) le aziende che delocalizzano parte della loro produzione. I politici si stanno consumando dietro la questione dell’IMU invece di affrontare i problemi di fondo dell’inefficiente funzionamento delle istituzioni e della burocrazia, della confusione normativa che consente ai vari giudici interpretazioni differenti della stessa legge, o della semplificazione del mercato del lavoro. In più la presidente della Camera, in maniera superficiale, parla di corsa al ribasso dei diritti, mentre la Corte Costituzionale interpretando l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, sostiene che hanno diritto ad essere rappresentati in fabbrica i sindacati che ” partecipano” alle trattive anche senza firmare gli accordi. Cosa significa partecipare alle trattative? Un concetto vago che non potrà non dare luogo a nuova conflittualità. In questa situazione come si può chiedere alle imprese di investire in Italia? Certo bisogna salvaguardare la coesione sociale, ma a patto che essa sia chiaramente finalizzata, tramite l’apporto costruttivo di tutte le parti, alla ripresa della produzione.
Allegati: Discorso Marchionne.pdf